La normativa. L’articolo 7, comma 5, del decreto-legge 158/2012 (come modificato in sede di conversione) introduce la disciplina relativa alle formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dal gioco. Tali formule, in particolare, devono essere: riportate sui tagliandi e sulle schedine del gioco; applicate sugli apparecchi da gioco; riportate su apposite targhe esposte nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati i videoterminali. Si prescrive, inoltre, che i gestori delle sale in esame devono esporre il materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali sul tema del gioco patologico.

Il successivo comma 6 prevede che, in caso di violazione di tali prescrizioni, venga comminata (al concessionario, ovvero al titolare della sala o del punto di raccolta dei giochi, ovvero ancora al solo titolare del punto vendita se diverso dal concessionario, a seconda dei casi) una sanzione amministrativa fissa di cinquanta mila euro.

Il caso. Nel caso di specie, il titolare di un bar si è visto applicare la sanzione amministrativa prevista dal comma 6 in quanto nel locale non risultavano esposte le targhe di avvertimento, pur avendo rispettato tutte le altre prescrizioni contenute nel comma 5.

Il Tribunale Ordinario di Trapani ha, quindi, sollevato questione di legittimità costituzionale, denunciando che la sanzione prevista dal comma 6, in particolare per la sua fissità e la sua non graduabilità a seconda dei casi, si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione (anche in combinato disposto con gli articoli 41 e 42 Costituzione, e con l’articolo 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’articolo 1 del Protocollo addizionale CEDU e agli articoli 16 e 17 della CDFUE).

La Corte costituzionale, con la sentenza 185/2021 che qui si analizza, ha accolto la questione di legittimità costituzionale (salvo che per il riferimento agli articoli 16 e 17 della CDFUE, rispetto ai quali la questione è stata dichiarata inammissibile).

La disciplina di contrasto al GAP. Per prima cosa, i giudici costituzionali rilevano che le prescrizioni di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo 7 del decreto-legge 158/2012 si inseriscono nel contesto di un “articolato quadro d[i] misure intese a contrastare il fenomeno – diffusosi in parallelo al progressivo aumento dell’offerta ludica consentita, sino ad assumere dimensioni allarmanti – della dipendenza da gioco d’azzardo (…) riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcoolismo (sentenza 108/2017), con riflessi, talvolta gravi, sulle capacità intellettive, di lavoro e di relazione di chi ne è affetto, e con ricadute negative altrettanto rilevanti sulle economie personali e familiari”.

Vengono rammentate, quindi, le altre misure assunte dal legislatore nazionale e anche regionale, come quelle di prevenzione logistica (distanziometro), il divieto di pubblicità, il divieto di gioco per i minori. È in questo quadro, dunque, che vanno lette anche le previsioni relative alle formule di avvertimento sul rischio di dipendenza che il gioco può indurre.

Il principio di proporzionalità. Il cuore della vicenda risiede, come poc’anzi accennato, nella contestazione che la previsione di una sanzione amministrativa fissa e di considerevole entità contrasterebbe con il principio di proporzionalità.

La Corte, anzitutto, ricorda che costituisce già principio acquisito della giurisprudenza costituzionale la considerazione che la declinazione del principio di proporzionalità nella materia penale trova applicazione anche con riferimento alle sanzioni amministrative a carattere punitivo.

La fissità della sanzione amministrativa. Sulla base di questa premessa, i giudici della Consulta estendono anche a questa circostanza il principio secondo cui la mobilità o (l’individualizzazione) della pena costituisce naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali: ciò comporta che, in caso di sanzioni rigide, emerge l’esigenza di verificare se anche le infrazioni meno gravi tra quelle comprese nel perimetro applicativo della previsione sanzionatoria siano connotate da un disvalore tale da non rendere manifestamente sproporzionata la sanzione amministrativa comminata.

Nel caso di specie, sostengono i giudici, la fissità del trattamento sanzionatorio impedisce di tener conto della diversa gravità concreta dei singoli illeciti, che è in funzione dell’ampiezza dell’offerta di gioco e del tipo di violazione commessa: un conto è, infatti “l’omissione delle formule di avvertimento in schedine o tagliandi di giochi soggetti ad ampia diffusione, altro conto [sono] le inadempienze relative a sale da gioco o esercizi in cui vi sia offerta di giochi pubblici, la cui gravità varia in modo rilevante secondo la dimensione e l’ubicazione della sala o dell’esercizio, il grado di frequentazione, il numero di apparecchiature da gioco presenti e la circostanza che si sia di fronte a una violazione totale, ovvero solo parziale, degli obblighi previsti”.

Tutti elementi che conducono i giudici della Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale della sanzione di cui all’articolo 7, comma 6, del decreto-legge 158/2012 per violazione del principio di proporzionalità.

Il problema del vuoto giuridico. Non costituisce ostacolo alla pronuncia di incostituzionalità la circostanza, sottolineata dall’Avvocatura dello Stato, che per questa via si determinerebbe una carenza normativa in tema di sanzioni, in attesa di un futuro intervento del legislatore.

La Corte sottolinea che il determinarsi di un vuoto normativo non è, in linea generale, circostanza preclusiva della declaratoria di illegittimità costituzionale.

Alla Corte non mancano, peraltro, gli strumenti di tipo manipolativo o creativo per evitare che si determini questo esito: questa soluzione, tuttavia, va circoscritta a quelle ipotesi in cui dalla pronuncia si determinerebbero insostenibili vuoti di tutela per gli interessi protetti dalla norma.

Non è questo il caso: la norma oggetto del giudizio, infatti, pur inerendo alla tutela della salute, detta una disciplina di carattere preventivo (in breve, obblighi informativi per dissuadere gli utenti dall’abuso del gioco), che non è tale da rendere indispensabile per la Corte la ricerca di altre soluzioni normative immediate.

Il confronto con le sanzioni previste nel caso di violazione del divieto di gioco per i minori. I giudici respingono anche l’ipotesi che il vuoto possa essere colmato dall’estensione della sanzione prevista nel caso di violazione delle prescrizioni che vietano il gioco per i minori (sanzione amministrativa pecuniaria, di minor importo e graduabile, da cinquemila a ventimila euro; sanzioni accessorie più significative, come la chiusura temporanea dell’esercizio e, in determinati casi di recidiva, revoca delle autorizzazioni e delle concessioni amministrative). Le due ipotesi non sono, infatti, assimilabili tra loro, per l’evidente diversità dei presupposti e delle conseguenze sanzionatorie.

Spetterà pertanto al legislatore “determinare, nel rispetto dei principi costituzionali, una diversa sanzione per i comportamenti considerati, stabilendone i relativi limiti minimo e massimo”.

(a cura di Marco De Pasquale)