La normativa. Il Sindaco di Messina, con l’ordinanza 393/2017, ha disciplinato gli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi: in particolare, il gioco è consentito dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 22, mentre nelle altre fasce orarie gli apparecchi devono essere spenti tramite l’interruttore elettrico e mantenuti non accessibili.

Il ricorso. Avverso queste previsioni sono intervenute alcune sale gioco ed esercenti che hanno sollevato dei ricorsi al TAR di Catania, il quale si è pronunciato con tre sentenze: 2566/2018, 1963/2019, 585/2020 (che qui si analizzano congiuntamente, poiché esprimono in buona sostanza il medesimo indirizzo).

Il potere del Sindaco di disciplinare gli orari (e il rapporto con l’attività di indirizzo del Consiglio comunale). Una delle questioni sollevate dai ricorrenti è quella relativa al potere del Sindaco di disciplinare gli orari delle sale e degli apparecchi: viene contestato che questa prerogativa sindacale si dovrebbe fondare e dovrebbe trarre giustificazione nelle esigenze espresse dal Consiglio comunale e dalla Regione (sulla base dell’art. 50, comma 7 del TUEL). Quest’argomentazione viene respinta sulla base di due tipi di motivazione:

1) nella sentenza 2566/2018 si scrive che le misure limitative degli orari devono essere considerate come strumentali al perseguimento di obiettivi (nello specifico, la tutela della salute) che sono pacificamente di competenza del Sindaco anche alla luce del comma 5 del medesimo articolo (ordinanze sindacali contingibili e urgenti). Del resto, l’uso strumentale dell’art. 50, comma 7 del TUEL da parte del Sindaco per il perseguimento di obiettivi orientati alla tutela della comunità è confermato anche dalla sentenza 220/2014 della Corte costituzionale (che viene citata dai giudici);

2) nella sentenza 585/2020 il Collegio fa ricorso a un altro argomento: l’art. 50, comma 7 del TUEL imporrebbe sì un coordinamento con gli indirizzi del Consiglio comunale, ma solo laddove essi siano già stati espressi, mentre non si può dire che l’esercizio da parte del Sindaco del potere in questione sia subordinato alla previa adozione di un atto di indirizzo del Consiglio comunale.

L’obiettivo delle limitazioni orarie. Sotto un ulteriore profilo, la sentenza 585/2020 ricostruisce anche lo scopo delle limitazioni orarie introdotte dai sindaci, rinvenendolo non nell’eliminazione del fenomeno della ludopatia, bensì nella creazione delle condizioni per sfavorire un’offerta di gioco illimitata. Questa considerazione chiaramente è utile anche nell’ottica dell’individuazione dei criteri entro cui i giudici si devono muovere nell’esprimere un giudizio su proporzionalità, ragionevolezza e adeguatezza delle varie misure.

L’Intesa in sede di Conferenza unificata. Altro motivo di censura è quello relativo allo scostamento rispetto a quanto previsto dall’Intesa in sede di Conferenza unificata (ossia l’interruzione del gioco per un massimo di sei ore al giorno).

La sentenza 585/2020 ribadisce che l’Intesa non ha valore vincolante in quanto non recepita con apposito decreto e, comunque, sarebbe sbagliato pretendere di fare un’applicazione atomistica o parcellizzata della stessa, avendo questa invece carattere generale (in vista, cioè, del complessivo riordino della materia).

L’istruttoria. Sul piano della lamentata carenza di istruttoria, le sentenze vanno nella direzione di ritenere che non sia necessario riportare particolari elementi a motivazione dell’ordinanza; in particolare:

1) nelle sentenze 2566/2018 e 1963/2019 viene richiamata la pronuncia del TAR Piemonte 829/2017 (“la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della popolazione costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza”);

2) nella sentenza 2566/2018 si argomenta, più nello specifico, che “stante l’ampiezza del territorio del comune di Messina, esso rappresenta, in termini statistici, un universo campione sufficiente ampio da consentire la proiezione in ambito locale delle risultanze di dati aggregati a livello nazionale”: in sostanza, quindi, è sufficiente richiamare l’esistenza del fenomeno della ludopatia senza che si debba in questo caso scendere nei dettagli della situazione specifica nel Comune.

I principi di ragionevolezza e proporzionalità. Un punto su cui tutte e tre le sentenze intervengono è, poi, quello relativo alla presunta violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. Anche in questo caso le sentenze bocciano le argomentazioni dei gestori delle sale:

1) le sentenze 1963/2019 e 585/2020 operano innanzitutto una ricostruzione delle caratteristiche del settore del gioco d’azzardo, ribadendo che non si tratta di “un’attività economica ordinaria, dati i suoi possibili effettivi negativi per la salute, e dati i suoi costi sociali, quali il gioco compulsivo (le cui conseguenze e i cui costi sono difficili da stimare), la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro e la manipolazione degli incontri sportivi”. Nel fare ciò vengono richiamate varie norme e pronunce, tra cui: la Corte di Giustizia UE (sentenza 22 gennaio 2015, c 463-2013), il Consiglio di Stato (in particolare la sentenza 4867/2018), il Decreto Balduzzi;

2) da queste considerazioni si ricava che l’introduzione di misure limitative nel settore non solo è del tutto legittimo, ma sussisterebbe in questo senso anche un vero e proprio obbligo di intervento per le amministrazioni comunali, sia rispetto alla tutela della salute, sia in ossequio del principio di precauzione (di nuovo si richiama la sentenza 4867/2018 del Consiglio di Stato);

3) sul piano della lamentata eccessiva compressione della libera iniziativa economica, la sentenza 2566/2018, oltre a richiamare la nozione di utilità sociale contenuta nell’art. 41 della Costituzione, qualifica la salute come “bene di rilevanza costituzionale protetto in modo assoluto, che non tollera bilanciamenti o parziali compromissioni”: da ciò discende che “la subordinazione ad essa delle possibilità di profitto individuale è in altri termini sempre idonea, necessaria, adeguata e proporzionale”;

4) nello specifico delle misure introdotte si esprime, inoltre, la sentenza 1963/2019 che ritiene che l’ordinanza abbia realizzato un “ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico perseguito, sintetizzabile nell’esigenza di ridurre il rischio di dipendenza patologica derivante dalla frequentazione di sale da gioco o scommessa e dall’utilizzo di apparecchiature per il gioco”.

Il problema di una tutela “a macchia di leopardo”. Infine, il TAR è chiamato a pronunciarsi sull’asserita irragionevolezza delle limitazioni orarie dovuta alla circostanza che esse vengono applicate solamente nel Comune di Messina e non anche in quelli limitrofi (ossia a macchia di leopardo, con possibilità di spostarsi altrove nelle fasce orarie di interruzione del gioco).

In realtà, secondo i giudici, ciò costituirebbe solo “una mera circostanza di fatto inidonea a determinare la illegittimità” delle misure adottate, e non inciderebbe comunque sull’efficacia del provvedimento.

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)