Premessa. Le sentenze che si prenderanno in esame in questa scheda di sintesi sono la 5 e la 40 del 2020 del TAR della Valle d’Aosta, relative al medesimo ricorso, e la 20 del 2020 sempre del medesimo Collegio ma di un altro ricorrente.

Le prime due sono relative alla licenza (datata 19 Gennaio 2017) di una sala gioco revocata dalla Questura di Aosta nel Settembre 2019 in applicazione della Legge regionale 14/2015 come modificata dalla Legge regionale 10/2018.

La normativa regionale. In particolare, la Legge regionale 14/2015 con l’art. 4, comma 1 e l’art. 12, comma 1 prevedeva il divieto dell’apertura di sale gioco e di spazi per il gioco in luoghi ubicati a meno di 500 metri da vari luoghi sensibili e che per le sale e gli spazi già in esercizio il divieto in questione non si applicasse per un periodo di 8 anni.

Sul punto è poi intervenuta la Legge regionale 10/2018 del 17 Dicembre 2018 che ha anticipato il termine per gli esercizi già autorizzati al 1° giugno 2019 (a distanza quindi di circa 6 mesi dall’entrata in vigore della legge e anticipando complessivamente di circa 4 anni il termine originario).

Inoltre, la Legge regionale 10/2018 con l’art. 1, comma 2 ha modificato anche il criterio di calcolo della distanza dai luoghi sensibili passando dal “percorso pedonale più breve” (previsto nel 2015) alla “misurazione in linea d’aria”.

Il caso. Nel caso di specie, la sala giochi a cui è stata revocata la licenza si trova ad una distanza superiore a 500 metri dal luogo sensibile (costituito dall’Università degli Studi di Aosta) se questa viene calcolata con il metodo del percorso pedonale più breve ed inferiore a 500 metri se invece si usa il calcolo in linea d’aria.

Le censure proposte sono relative a diversi profili.

L’incompetenza della Questura. Innanzitutto la parte ricorrente afferma che la Questura di Aosta sarebbe incompetente a controllare il rispetto delle distanze per gli esercizi già esistenti al 19 Marzo 2018 (come quello in questione) sulla base di due considerazioni:

1) l’art. 10 della Legge regionale 14/2015 attribuisce ai Comuni la vigilanza sul rispetto delle distanze;

2) la circolare del Ministero dell’Interno del 21 Maggio 2018 afferma che le autorizzazioni concesse prima del 19 Marzo 2018 (data in cui è stata introdotta la competenza della Questura a verificare le distanze) devono essere controllate per il profilo in esame solo dagli Enti locali.

Il TAR respinge questa censura: la Questura ha il compito infatti di garantire il rispetto di tutte le norme da parte delle attività il cui esercizio è subordinato ad autorizzazione, indipendentemente da chi le abbia emanate; pertanto, anche alla luce del principio dell’unità dell’ordinamento giuridico, tale verifica deve essere effettuata tanto sulle nuove attività quanto su quelle già autorizzate.

Le Università come luoghi sensibili. Secondo il ricorrente, inoltre, il provvedimento di revoca inserirebbe erroneamente le Università tra i luoghi sensibili: l’art. 4, comma 1 della Legge regionale 14/2015, infatti, parlando di “istituti scolastici di ogni ordine e grado” si riferirebbe al ciclo che va dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado, escludendo pertanto le Università.

Il TAR respinge quest’interpretazione: le Università vanno ricomprese nelle “strutture culturali” che il medesimo articolo inserisce tra i luoghi sensibili.

Il criterio di misurazione della distanza. Il ricorrente solleva un dubbio di legittimità costituzionale rispetto al nuovo criterio di misurazione della distanza dai luoghi sensibile. L’argomentazione si snoda attorno a vari punti tra cui:

1) l’incompetenza regionale in quanto le materie di riferimento sarebbero esclusive dello Stato e cioè quelle dell’ordine pubblico e sicurezza e della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;

2) la violazione delle competenze dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in tema di progressiva riorganizzazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco e della Conferenza Unificata, sancite dal Decreto Balduzzi e dalla Legge di stabilità per il 2016;

3) violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione.

Il TAR reputa manifestamente infondate queste censure poiché:

1) la materia di intervento è quella (concorrente) della tutela della salute, come da giurisprudenza ormai dominante;

2) nelle more della progressiva ricollocazione dei punti gioco con decreto del Ministero dell’Economia a livello nazionale, la Corte costituzionale nella sentenza 27/2019 ha già affermato che la competenza legislativa può essere esercitata; inoltre, anche nell’Intesa in Conferenza Unificata vengono comunque fatte salve le disposizioni regionali di maggior tutela introdotte dalle Regioni;

3) non c’è irragionevolezza tra il criterio di misurazione della distanza in linea d’aria e la finalità del legislatore di prevenire la ludopatia allontanando le sale dai luoghi sensibili (il Collegio sottolinea che per la Corte costituzionale la violazione del principio di ragionevolezza consiste nella “contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata”).

L’anticipazione del termine per gli esercizi già autorizzati. La parte ricorrente ha poi proposto un ulteriore dubbio di costituzionalità relativo alla disposizione che anticipa l’applicazione della disciplina relativa alle distanze per gli esercizi già autorizzati.

Anche in questo caso, il TAR reputa di non dover sollevare questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale perché:

1) la Legge di stabilità per il 2016 e l’Intesa non esonerano esplicitamente gli esercizi già presenti dalle varie previsioni sulle distanze e dunque al legislatore regionale resta una discrezionalità nella definizione dei tempi e modi di applicazione per tutelare le esigenze di salute e la libertà d’impresa;

2) tale discrezionalità in questo caso non è stata esercitata in maniera manifestamente irragionevole perché “il termine di sei mesi non risulta così breve da rendere assolutamente impossibile ai titolari di licenza una riorganizzazione della propria attività”.

La sentenza del TAR per la Val d’Aosta 20/2020. Su quest’ultimo punto è interessante operare un confronto con la sentenza 20/2020 del medesimo Collegio (anche in questo caso la vertenza si incentra sulla revoca di una licenza per una sala già in esercizio sulla base del mancato rispetto delle distanze). In particolare, il TAR è in questo caso chiamato a pronunciarsi sul punto relativo all’anticipazione dell’applicazione della disciplina relativa alle distanze per gli esercizi già autorizzati non per vagliare la sussistenza dei presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale bensì per valutare i profili relativi all’eventuale violazione, con l’atto impugnato, degli interessi e della posizione del ricorrente: quest’ultimo, nello specifico, lamenta la violazione del legittimo affidamento e della certezza dei rapporti giuridici e chiede che l’atto venga qualificato nei termini di annullamento e non di revoca.

L’indennizzo. Il TAR accoglie parzialmente questa richiesta: da un lato, infatti, ribadisce che l’atto va qualificato come revoca; dall’altro intraprende la via segnata dall’art 21-quinquies della Legge 241/1990. Questa disposizione prevede che, in presenza di sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero di un mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, l’Amministrazione può revocare il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole ma deve anche provvedere all’indennizzo in favore dei soggetti interessati se la revoca comporta loro dei pregiudizi; inoltre, qualora la revoca incida su rapporti negoziali (come nel caso di specie), l’indennizzo è limitato al solo danno emergente.

In questo modo, spiega il TAR, si dà rilevanza al principio del legittimo affidamento e della certezza dei rapporti giuridici ed “è indubbio (…) che il venir meno della licenza con chiusura immediata del locale abbia comportato i pregiudizi previsti dal primo comma della disposizione in esame e che questi debbano essere ristorati dall’amministrazione considerato l’affidamento del ricorrente sulla durata della licenza fino al 2023”. L’atto di revoca è dunque in tutto e per tutto un atto legittimo ma, “per ragioni di giustizia distributiva e di parziale traslazione dell’impatto pregiudizievole”, viene introdotto un obbligo indennitario (limitato al danno emergente) a carico dell’Amministrazione.

Il Consiglio di Stato. Si segnala, infine, che i ricorrenti dei casi qui analizzati hanno proposto dei motivi di appello e che il Consiglio di Stato ha emesso due ordinanze e un decreto (ordinanza 4622/2020, ordinanza 6204/2020, decreto 5844/2020) che allo stato attuale di fatto confermano gli orientamenti del TAR.

La sentenza 2018/2021 del Consiglio di Stato. Rispetto ai profili di merito della sentenza 20/2020 del TAR Aosta si è pronunciato in appello il Consiglio di Stato nella sentenza 2018/2021, in cui sono stati confermati gli indirizzi del giudice di primo grado.

In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito la correttezza della scelta di qualificare il decreto del Questore in termini di revoca, e non di annullamento (come invocava il ricorrente), in quanto “nella specie il ritiro del provvedimento è stato (…) determinato da un diverso apprezzamento dovuto alla normativa regionale sopravvenuta la quale (…) ha anticipato il venir meno della licenza indirizzando, del tutto coerentemente, l’amministrazione a un diverso apprezzamento delle esigenze di interesse pubblico”.

Ciò si differenzia rispetto all’annullamento poiché quest’ultimo, invece, “postula l’originaria illegittimità dell’atto e, quindi, una diversa valutazione dell’interesse pubblico riferito al momento dell’adozione dell’atto, trattandosi di una illegittimità originaria che, diversamente dalla revoca, colpisce l’atto sin dalla sua adozione”.

Dalla revoca discende “un generale obbligo di indennizzo in favore di coloro che hanno subito un pregiudizio dall’atto revocato”, senza che possa essere invece accolta la richiesta di procedere con un risarcimento, non configurabile “per la assorbente ragione che non è configurabile in capo alla amministrazione appellata alcuna violazione del principio di buona fede”.

Infine, anche il Consiglio di Stato rigetta la richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale rispetto alle previsioni legislative della Regione Valle d’Aosta in tema di gioco d’azzardo. In questo senso si richiamano:

1) la giurisprudenza della Corte costituzionale “che negli ultimi anni ha reiteratamente evidenziato la legittimità delle normative regionali (…) in ragione della tutela del prevalente interesse alla salute e del contrasto al fenomeno della ludopatia”;

2) “la non assoluta preminenza del principio di libertà dell’attività economica privata di cui all’art. 41 Cost”;

3) il “puntuale rispetto nella materia de qua del principio della potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni”.

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)