La normativa. La disciplina regionale dell’Emilia-Romagna in tema di distanze dei punti gioco dai luoghi sensibili è contenuta nella legge 5/2013, come modificata negli anni successivi. Il Comune di Bologna, con la deliberazione n. 239/2018, ha approvato il Regolamento per la prevenzione e il contrasto delle patologie e delle problematiche legate al gioco d’azzardo lecito che, sul tema del distanziometro, ha proceduto a dare applicazione alla normativa regionale.
Il caso. Nel caso di specie, una società che dichiara di gestire nel territorio del Comune di Bologna, per conto di concessionari dello Stato, un negozio di gioco in forza di titoli abilitativi rilasciati dalle competenti Amministrazioni, ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il Regolamento comunale e avverso il provvedimento con cui il Comune ha paventato la chiusura, entro sei mesi, della sala da gioco perché situata a meno di 500 metri da un luogo di culto (inserito tra i luoghi sensibili).
Sul ricorso straordinario si è espresso il Consiglio di Stato dapprima con il parere interlocutorio 1264/2021 (con cui erano stati disposti alcuni adempimenti istruttori) e poi con il parere definitivo 1840/2021 che qui si analizza.
La ricognizione della disciplina del gioco. Il Consiglio di Stato, per prima cosa, procede con una ricognizione della disciplina in materia di gioco d’azzardo: trattandosi di “un fenomeno ormai radicato nel tessuto sociale e nel costume dei cittadini” con “importanti ricadute sulla vita delle persone”, si è posta l’esigenza di introdurne “un’attenta regolamentazione (…) nella prospettiva di neutralizzarne o quanto meno mitigarne gli effetti nocivi tanto per i singoli quanto per la società complessivamente intesa”, pur temperando ciò con “l’interesse finanziario dello Stato alla gestione e, in ogni caso, alla tassazione del gioco, quale attività lecita produttiva di introiti economici”.
La sfida è dunque quella di “individuare un equilibrato bilanciamento tra i contrapposti interessi in rilievo”, ben sapendo che i livelli di competenza sono diversificati: “il contrasto del gioco illegale o le norme per disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e per individuare i giochi leciti ricadono nell’ambito della materia ordine pubblico e sicurezza” mentre tutto il tema dell’intervento sul rischio dipendenza (con misure quali il distanziometro, ad esempio) ha come sfondo una “finalità di carattere socio-sanitario” e rientra nella “materia di legislazione concorrente «tutela della salute» (Corte cost., sentenza n. 108/2017) e governo del territorio (Corte cost. sent. n. 27 del 2019) nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale”. Un ambito nel quale un ruolo centrale è rivestito anche dai Comuni.
L’adozione formale del Regolamento comunale. Secondo la società ricorrente, il Regolamento comunale, contenendo disposizioni di pianificazione urbanistico-territoriale, aventi anche finalità ambientali, avrebbe dovuto essere adottato seguendo il regime del doppio binario (adozione-approvazione); non solo: secondo l’esercente sarebbe mancato anche un previo contraddittorio procedimentale con i soggetti pregiudicati dalle nuove regole.
Il Consiglio di Stato respinge entrambe le censure: anzitutto, in tema di partecipazione, sostiene che in ogni caso “un vizio procedimentale non è da solo idoneo a determinare l’illegittimità dell’atto finale salvo che si provi che la partecipazione procedimentale avrebbe condotto a risultati diversi in termini di contenuto del provvedimento”.
Rispetto alle formalità di adozione, i giudici ribadiscono invece che “il regolamento impugnato costituisce una pedissequa riproduzione della legge regionale n. 5/2013”. Per questa via, “né la carenza istruttoria (…) né la eccepita assenza di partecipazione dei cittadini” possono essere ammesse, costituendo il regolamento nient’altro che una “applicazione delle disposizioni contenute nella legge regionale” (nello specifico, con applicazione del criterio distanziale e individuazione dei luoghi sensibili).
L’iniziativa economica e l‘utilità sociale. I giudici, poi, entrano nel merito del rapporto tra libertà di iniziativa economica e utilità sociale: sostiene infatti il Consiglio di Stato che “l’introduzione di criteri distanziali … non contrasta con l’utilità sociale di cui all’art. 41, comma 2, Cost., né con la normativa comunitaria”.
In un altro passaggio il Collegio sottolinea come il sistema dei giochi in Italia (quando non esercitato direttamente dallo Stato) sia fondato su un “regime autorizzativo di tipo concessorio” disciplinato dal TULPS: quando l’attività viene conferita “dallo Stato ai privati” si deve ricordare che questi “non hanno libertà di iniziativa economica privata, potendo svolgere tale attività esclusivamente previo rilascio di apposito titolo abilitativo”.
L’effetto espulsivo. Il Consiglio di Stato respinge anche la censura (che era stata al centro dell’approfondimento istruttorio) relativa al presunto effetto espulsivo che il distanziometro avrebbe determinato nel territorio comunale.
Sul punto, anzitutto, l’ente locale ha prodotto diverse autorizzazioni già rilasciate aventi ad oggetto sia sale gioco di nuova costituzione sia richieste di modifica delle attività esistenti, a dimostrazione della non configurabilità dell’effetto espulsivo.
Secondo i giudici, per scongiurare tale prospettiva è sufficiente considerare che l’attività potrà essere esercitata in altra parte del territorio e che l’amministrazione ha comunque agito con gradualità.
La presenta retroattività. Secondo il Consiglio di Stato, inoltre, non è apprezzabile nemmeno la doglianza che mira a censurare, per violazione del principio di irretroattività, l’estensione dell’applicazione del distanziometro anche agli esercizi già in attività.
“In assenza di tale applicazione generalizzata” scrivono i giudici, “la finalità di tutela della salute e di contrasto alla ludopatia verrebbe compromessa, permanendo comunque, pur in aree ‘sensibili’, quelle ‘occasioni di gioco’ che la normativa tende ad evitare” con l’ulteriore rischio di produrre anche “ingiustificati effetti distorsivi della concorrenza tra operatori economici”
Il principio di proporzionalità delle misure distanziali. Concludono i giudici ricordando come le misure distanziali superino pienamente il test di proporzionalità (idoneità del mezzo, stretta necessità, adeguatezza), confermando la giurisprudenza assolutamente maggioritaria formatasi sul punto.
(a cura di Marco De Pasquale)