IL TAR CONFERMA LA SCELTA DEL COMUNE DI MARTIGNACCO DI DISINSTALLARE UN APPARECCHIO POSTO A MENO DI 500 METRI DA UN LUOGO SENSIBILE PREESISTENTE

La normativa. L’art. 6, comma 1 della legge regionale 1/2014 del Friuli-Venezia Giulia dispone il divieto di installazione di apparecchi per il gioco lecito entro la distanza di cinquecento metri da luoghi sensibili; il comma 11 del medesimo articolo, invece, stabilisce una deroga nel caso in cui l’insediamento dell’attività qualificata come luogo sensibile sia successivo all’installazione degli apparecchi per il gioco.

Il caso. La società ricorrente gestisce una sala bingo e slot in un centro commerciale nel Comune di Martignacco dal 2002. All’interno del medesimo centro commerciale, e quindi a una distanza inferiore di 500 metri, si trovano alcuni luoghi sensibili (attivi già prima del Febbraio 2019). La società in questione ha installato, nel Febbraio 2019, un nuovo apparecchio per il gioco all’interno della sala e, successivamente, ha effettuato, con SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), la relativa comunicazione al Comune di Martignacco, dichiarando di avvalersi della deroga ex art. 6, comma 11 della legge regionale 1/2014. Il Comune ha respinto la SCIA e ha emesso un provvedimento di divieto di avvio dell’attività, avverso cui la società ha sollevato ricorso. Il TAR per il Friuli-Venezia Giulia si è pronunciato con la sentenza 110/2020.

La deroga. Il punto centrale per la risoluzione della controversia consiste nella definizione delle caratteristiche e modalità applicative della deroga a cui il ricorrente fa riferimento. Il TAR non condivide l’interpretazione che ne dà la società in questione. In particolare, dicono i giudici, è necessario leggere la disposizione in esame in maniera congiunta con l’art. 7 della legge regionale 26/2017: in quest’ultima norma, infatti, vengono indicati i periodi tempo (5 o 3 anni) entro cui le attività già in esercizio in quel momento devono adeguarsi alla distanza di 500 metri. Per tale via, quindi, risulta evidente che la ratio complessiva delle misure introdotte a livello regionale è quella di un “generalizzato divieto di installare (e mantenere installati) apparecchi per il gioco lecito … entro la distanza di cinquecento metri da luoghi sensibili”, e che la deroga di cui all’art. 6 comma 11 ha soltanto lo scopo di salvaguardare le attività che, al momento del loro avvio, si trovino in regola con il rispetto delle distanze (cosa che nel caso specifico, a detta sempre del TAR, non sussiste, in quanto “l’insediamento dei luoghi sensibili … precede pacificamente l’installazione del nuovo apparecchio per il gioco”).

In definitiva, la deroga su cui poggiava la SCIA presentata dalla sala bingo non è applicabile al caso specifico, mancando del tutto i presupposti (ossia, come si è visto, l’insediamento successivo del luogo sensibile rispetto al punto gioco).

La retroattività. Sulla contestazione del carattere retroattivo del provvedimento, il TAR spende poche parole per bocciare la censura proposta dal ricorrente: è sufficiente infatti notare come l’installazione del nuovo apparecchio sia successiva alle leggi regionali che si sono susseguite nel tempo e che hanno disciplinato la materia delle distanze dei punti gioco rispetto ai luoghi sensibili.

I principi di libertà di iniziativa economica. Infine, per il TAR non merita accoglimento nemmeno l’ultimo motivo di ricorso presentato dalla sala bingo, ossia quello relativo all’asserita violazione dei principi nazionali e comunitari sulla libertà di iniziativa economica. Infatti, tanto l’art. 41 della Costituzione, quanto la giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia UE sono chiare nell’ammettere la possibilità di introdurre limitazioni rispetto al gioco nell’ottica del perseguimento di interessi di carattere generale (su tutti, la tutela della salute).

Rispetto a questo argomento la sentenza porta in rassegna varie fonti giurisprudenziali, tra cui: le sentenze 8298/2019 e 8563/2019 del Consiglio di Stato, le sentenze della Corte di Giustizia UE del 22 Ottobre 2014, 24 Gennaio 2013, 16 Febbraio 2012 e 30 Giugno 2011.

 

LA DISTANZA DAI LUOGHI SENSIBILI NEL COMUNE DI PORDENONE
IN UN CASO DI NUOVA INSTALLAZIONE DEGLI APPARECCHI DA GIOCO

La normativa e il caso. L’art. 6, comma 1 della legge regionale 1/2014 prescrive che sia vietata la nuova installazione di apparecchi per il gioco a una distanza inferiore a 500 metri; i commi 2-bis e 2-ter ricostruiscono il concetto di nuova installazione, in modo tale che in esso possano ritenersi compresi sia il collegamento degli apparecchi alle reti telematiche ADM successivo alla pubblicazione della delibera delle Giunta regionale relativa alla determinazione della distanza dai luoghi sensibili (avvenuta nel 2014), sia le ipotesi di stipulazione di un nuovo contratto nei casi di rescissione o risoluzione di quello in essere.

Nel caso di specie, la società ricorrente ha dapprima (nel marzo 2016) presentato la SCIA al Comune di Pordenone; successivamente ha proceduto alla stipula di un nuovo contratto con altro gestore e concessionario, risolvendo il precedente rapporto contrattuale, e ha quindi conseguentemente installato nuovi apparecchi.

Nel suo ricorso la società dichiara che il Comune avrebbe dovuto prima annullare in autotutela la SCIA (entro i 60 giorni di tempo) e solo dopo procedere con l’ordine di disinstallazione.

La pronuncia del TAR. Il TAR per il Friuli-Venezia Giulia si pronuncia con la sentenza 155/2019 rigettando il ricorso.

In particolare, per quel che concerne la SCIA, viene ricordato come questa “non potrebbe comunque surrogare il rilascio della prescritta autorizzazione all’installazione dei giochi”.

Inoltre, secondo i giudici, non esistono dubbi intorno al fatto che l’intera vicenda ricada sotto il concetto di nuova installazione (secondo quanto previsto dai commi 2-bis e 2-ter dell’art. 6 della legge regionale 1/2014), a cui deve essere pertanto applicato il divieto di cui all’art. 6, comma 1.

 

LE LIMITAZIONI ORARIE NEL COMUNE DI FIUME VENETO SONO CORRETTE

La normativa. L’art 6, comma 12 della legge regionale 1/2014 prevede che i Comuni, nello stabilire gli orari delle sale gioco, siano vincolati ad un massimo di 13 ore di apertura giornaliera (che diventano 8 ore massime per gli apparecchi negli altri esercizi commerciali). Il Consiglio comunale di Fiume Veneto è intervenuto, prima con la deliberazione 4/2018, che ha dettato le linee di indirizzo in materia, poi con l’ordinanza 1/2019 che ha fissato gli orari di apertura delle sale gioco (complessivamente 13 ore di apertura al giorno: dalle 8 alle 12 e dalle 16 alle 01) e ha introdotto anche alcune sanzioni (sempre sulla base di quanto espressamente previsto dall’art. 6, comma 12 della legge regionale).

Il ricorso. Avverso tale ordinanza ha sollevato ricorso una sala giochi che prima dell’entrata in vigore delle misure orarie teneva aperto il locale 24 ore al giorno e senza giorni di sospensione. Il TAR per il Friuli-Venezia Giulia si è pronunciato con: il decreto cautelare 27/2019, l’ordinanza cautelare 34/2019 e la sentenza 67/2020 che qui si analizza.

L’istruttoria e la motivazione. I primi motivi di ricorso sollevati dalla sala gioco sono relativi all’istruttoria e alla motivazione, che a detta loro nell’ordinanza non sarebbero sufficienti e non dimostrerebbero la correlazione positiva tra riduzione degli orari e contestuale diminuzione della diffusione del fenomeno della ludopatia.

Il TAR, però, circoscrive le questioni sollevate ad elementi ben più specifici. Infatti, si ricorda che è la legge regionale a vincolare i Comuni ad un massimo di 13 ore giornaliere di apertura per le sale gioco: il Comune di Fiume Veneto, prescrivendo proprio l’orario massimo e non uno ridotto, ha già adottato un indirizzo senz’altro favorevole alle sale gioco. In ogni caso, se questo elemento discende direttamente dalla valutazione compiuta in sede regionale, ciò rispetto a cui si devono verificare le censure suddette è in realtà solamente la distribuzione oraria delle ore di apertura e chiusura nel corso della giornata.

Ma anche su questo punto, a detta del TAR, non emergerebbero problemi particolari, visto che l’ordinanza si attiene ai criteri indicati nella deliberazione 4/2018 del Consiglio comunale (su tutti spicca la necessità che le fasce orarie di apertura siano distribuite in modo tale da evitare che si verifichi la trasmigrazione degli utenti tra comuni limitrofi, con conseguenze negative anche rispetto alle condizioni di concorrenza tra operatori economici), la quale per altro verso non è stata oggetto di impugnazione.

Inoltre, costituendo l’ordinanza un mero strumento attuativo della deliberazione suddetta, non è necessario che riprenda i dati istruttori già presenti nell’atto di indirizzo del Consiglio comunale, reputati comunque sufficienti (in particolare, si veda la relazione del Dipartimento dipendenze dell’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 “Friuli Occidentale” dell’11 Luglio 2017).

La necessaria consultazione degli operatori. Non merita accoglimento nemmeno la censura fondata sulla mancata previa consultazione degli operatori interessati che secondo i ricorrenti si sarebbe dovuta svolgere sulla base dell’art. 6, comma 5, della legge 180/2011. Il TAR a proposito afferma che: 1) la disposizione richiamata ha un carattere programmatico e pertanto “non pare idonea … a fondare un indiscriminato dovere di consultazione”; 2) l’ordinanza impugnata è attuativa della deliberazione consiliare e della legge regionale e dunque a maggior ragione un dovere di consultazione nel caso specifico è difficile da immaginare; 3) in ogni caso dovrebbero sollevare il punto le organizzazioni maggiormente rappresentative delle imprese (previste nel testo), non i singoli operatori economici che non avrebbero titolo a partecipare al processo consultivo.

Le sanzioni. Il TAR, inoltre, conferma la piena legittimità del Comune di individuare le sanzioni amministrative connesse ad eventuali violazioni: ciò discende sempre dall’art. 6 comma 12 della legge regionale che sul punto è esplicita. Viene comunque ribadito che per sollevare questa censura è necessario che tali sanzioni siano state effettivamente comminate (cosa che nel caso specifico non è avvenuta).

Il contemperamento di interessi. Infine, il TAR si pronuncia rispetto al tema del bilanciamento degli interessi che la sala gioco ha sollevato sia rispetto ai profili di merito, sia per proporre questione di legittimità costituzionale e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.

La sentenza si sofferma ampiamente su questi aspetti, ricostruendo la giurisprudenza comunitaria ed amministrativa sul punto (in particolare, Consiglio di Stato 4509/2019) e richiamando le varie espressioni normative che attestano la pericolosità del gioco d’azzardo. Da ciò discende che sussiste un vero e proprio obbligo in capo alle amministrazioni comunali di intervenire con misure limitative e che esse debbano considerarsi ragionevoli e proporzionate, e sicuramente “compatibili con il diritto euro-unitario, in quanto manifestazione attuativa del principio di precauzione” (art. 191 TFUE).

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)