La normativa. Il Consiglio comunale di Avellino, con deliberazione 138/2017, ha approvato il Regolamento sale da gioco e giochi leciti per la prevenzione e il contrasto alle ludopatie, che tra le altre cose contiene all’articolo 18 l’indicazione delle fasce orarie in cui il gioco è consentito (9-12 e 15-22, compresi i festivi escluse le domeniche) “salvo diversa determinazione del Sindaco nell’esercizio dei poteri previsti dalla legge”.
Il Sindaco è quindi successivamente intervenuto con l’ordinanza sindacale n. 35 reg. ord. del 25.01.2018 che ha confermato le limitazioni previste nel Regolamento.
Il caso. Avverso questi due provvedimenti ha presentato ricorso una società deputata alla raccolta e commercializzazione di scommesse su eventi sportivi, ospitante anche videolotteries (VLP), attiva nel territorio comunale di Avellino. Si è pronunciato, respingendo il ricorso, il TAR per la Campania – Sezione staccata di Salerno con la sentenza 422/2022 che qui si analizza.
L’Intesa in sede di Conferenza Unificata. Il ricorrente lamenta, in primo luogo, la violazione dei contenuti dell’Intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata (che, tra le varie previsioni, annoverava anche la sospensione quotidiana del gioco per un massimo di sei ore giornaliere). Il TAR aderisce all’orientamento assolutamente prevalente in giurisprudenza che ritiene l’Intesa non idonea a produrre effetti invalidanti rispetto alle determinazioni comunali in quanto non ancora recepita con apposito decreto ministeriale, come invece prevede la legge. In ogni caso, specificano i giudici, in assenza di tale recepimento, non sarebbe comunque ammissibile “una paralisi dell’attività amministrativa di contrasto alla ludopatia”.
Il principio di proporzionalità. I giudici ritengono poi correttamente superato anche il test di proporzionalità (fondato su idoneità, necessarietà ed adeguatezza della misura).
I limiti orari previsti sono misura idonea a prevenire, contrastare e ridurre il gioco d’azzardo patologico (lo scopo non è invece quello di eliminare ogni forma di dipendenza patologica dal gioco) perché “il permanere un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresce oggettivamente il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sulla vita personale e familiare dei cittadini e con aggravio per il servizio sanitario e per i servizi sociali operanti sul territorio, chiamati ad affrontare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie”.
La misura è, poi, rispondente al canone della necessarietà perché “solo incidendo sull’offerta del gioco d’azzardo, limitandone la fruibilità sul piano temporale, è possibile, mediante uno strumento di carattere e portata generale (…), porre le condizioni per la riduzione del gioco patologico, al fine di prevenire e contenere il fenomeno ludopatico”, posto che comunque anche altre misure possono utilmente concorrere al medesimo scopo.
Infine, sul piano dell’adeguatezza, i giudici sottolineano come la delibera realizzi “un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico, a prevenire e contrastare fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, interesse di rango primario e da qualificare come imperativo secondo la disciplina comunitaria”, senza in alcun modo arrivare a “preclude[re] la prosecuzione dell’attività d’impresa”.
Sulla ripartizione delle prerogative tra Consiglio comunale e Sindaco. I giudici respingono, inoltre, anche la censura che mirava a caducare i limiti orari sulla base di un’asserita invasione di campo da parte del Consiglio comunale rispetto al Sindaco.
I poteri del Sindaco in materia di disciplina degli orari degli esercizi commerciali (comprese le sale gioco) trovano pacifico fondamento nell’art. 50, comma 7, del TUEL, norma che “attribuisce al Consiglio comunale il compito di delineare gli indirizzi di carattere generale in tema di orari, sul cui tracciato il sindaco esercita il proprio potere discrezionale teso a fissare un orario più o meno contenuto nell’ambito delle fasce orario predeterminate dal consiglio medesimo, in coerenza con l’interesse pubblico perseguito”; qualora il Consiglio non esercitasse tale prerogativa il risultato sarebbe, anzi, proprio quello “di ampliare la discrezionalità del Sindaco che, con propria ordinanza, non sarebbe stato più soggetto ad alcuna cornice di riferimento regolamentare”.
Nel caso di specie, il Consiglio comunale non ha effettuato alcuna invasione di competenze, alla luce anche del fatto che è fatta espressamente salva, proprio nel Regolamento, qualunque “diversa determinazione del Sindaco nell’esercizio dei poteri previsti dalla legge”.
Il potere sanzionatorio. Il TAR infine respinge anche le doglianze del ricorrente in merito all’apparato sanzionatorio previsto dal Regolamento.
Aderendo ad ampia giurisprudenza sul punto (tra cui TAR Salerno 1658/2018), i giudici ricordano in primo luogo come dal potere sindacale di disciplinare gli orari delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi non può non discendere “la sussistenza anche di un corrispondente potere sanzionatorio, che sia effettivo e dunque non meramente simbolico o sproporzionato, in modo da garantire l’effettività della stessa disciplina sindacale”, con un adeguato effetto di deterrenza anche rispetto alle ipotesi di reiterata violazione delle prescrizioni. I giudici confermano, inoltre, che tale potere sanzionatorio è da considerarsi in capo ai Comuni (per un confronto con altra giurisprudenza concorde su questo punto si veda qui).
Rispetto all’asserita mancanza di criteri di graduazione della sanzione pecuniaria e al censurato deficit di tassatività (che risiederebbe nella mancata specificazione, nell’ordinanza sindacale impugnata, dei casi di “particolare gravità” che giustificano la sospensione da uno a sette giorni dell’attività), il TAR conclude che la valutazione “in ordine alla gravità dei fatti addebitati, in relazione all’applicazione di una sanzione amministrativa accessoria (nella specie: di sospensione dell’attività esercitata), costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, sindacabile solo nei casi di manifesta irragionevolezza, evidente sproporzionalità e travisamento dei fatti”.
(a cura di Marco De Pasquale)