Premessa. La Regione Puglia ha disciplinato il distanziometro con l’art. 7 della Legge regionale 43/2013: in particolare, nell’elenco dei luoghi sensibili sono ricomprese anche le strutture sanitarie.

Nel caso affrontato nella sentenza TAR Puglia 274/2023, il ricorrente ha presentato istanza alla Questura di Barletta Andria Trani per il rilascio in suo favore della licenza ex art. 88 TULPS per lo svolgimento di attività di raccolta scommesse.

La Questura ha rigettato il rilascio di tale licenza sulla base della considerazione che i locali prescelti distano a meno di 250 metri da due luoghi sensibili catalogati come strutture sanitarie, in particolare uno studio dentistico e uno studio pediatrico privato.

L’assimilazione dei due studi medici privati tra le strutture sanitarie di cui alla legge 43/2013. Secondo il ricorrente, la Questura avrebbe sbagliato a ricomprendere tra i luoghi sensibili i due studi medici privati in quanto: a) non sarebbero studi privati accreditati; b) non sarebbero strutture presenti in pubblici elenchi accessibili al pubblico; c) sarebbero studi nell’ambito dei quali il medico esercita individualmente l’attività medica; d) consistono in appartamenti o locali privati di ordinarie dimensioni all’interno dei quali viene prestata una attività di assistenza specialistica di base.

Il TAR respinge tutte queste argomentazioni. In particolare, secondo i giudici, la definizione di “struttura sanitaria” di cui all’art. 7 della legge regionale 43/2013 può essere ricostruita facendo riferimento a quanto previsto dalla pertinente disciplina regionale: l’art. 2, lettera f) della legge regionale 9/2017 definisce come “struttura sanitaria e socio sanitaria, qualunque struttura che eroghi prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e mantenimento delle abilità acquisite”; inoltre, l’art. 5 della medesima Legge Regionale prevede, al punto 3.2, che sono soggetti ad autorizzazione sanitaria, fra gli altri gli “studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche, volte anche a favore di soggetti terzi, e per l’erogazione di cure domiciliari”.

La ratio del distanziometro. Per quanto esposto, dunque, il dato letterale della normativa in materia conforta il rigetto del ricorso dell’esercente. Accanto a ciò, secondo i giudici un altro argomento milita a favore di tale soluzione: la ratio del distanziometro, infatti, è quella di “evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti fragili e, come tali, più esposti al rischio della ludopatia, cioè della dipendenza da gioco d’azzardo, fenomeno da tempo riconosciuto come disturbo del comportamento assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcolismo”.

Se è così, è chiaro che il distanziometro persegue in via preminente una finalità di carattere socio-sanitario, il che consente di escludere che la nozione di “struttura sanitaria” possa relazionarsi alla procedura dell’accreditamento della struttura, come sostenuto da parte ricorrente.

Anzi, ribadiscono i giudici che uno studio odontoiatrico e uno studio pediatrico sono oggetto di un flusso costante e notevole di utenza, ciò che rimarca l’esigenza di “garantire la fondamentale tutela di specifiche categorie deboli della popolazione”.

L’interpretazione della Questura è stata, inoltre, confermata anche dalla ASL competente.