La normativa e il caso. La legge regionale 5/2013 dell’Emilia-Romagna all’art. 6, comma 2 bis vieta l’esercizio di sale da gioco e sale scommesse in locali che si trovino a meno di cinquecento metri da una serie di luoghi sensibili.

Il successivo comma 3 ter del medesimo articolo chiarisce l’ambito applicativo del precedente comma 3 bis (relativo al permesso di costruire in caso di nuova costruzione, di interventi edilizi di recupero delle sale da gioco, di mutamento di destinazione d’uso), specificando che esso si riferisce ai “locali pubblici, aperti al pubblico e [a]i circoli privati nonché per le attività commerciali e i pubblici esercizi, comunque denominati, che siano destinati alla raccolta di scommesse o che offrano servizi telematici di trasmissione dati anche al di fuori dai confini nazionali, finalizzati al gioco d’azzardo e alle scommesse”.

Il Comune di Castel San Giovanni (Piacenza) è intervenuto (in applicazione della suddetta legge e della delibera della Giunta regionale 831/2017) con la delibera della Giunta comunale 136/2017, con la quale ha provveduto ad individuare i luoghi sensibili.

La società ricorrente, sulla base di quest’ultimo atto, è stata oggetto di un provvedimento di chiusura dell’attività di raccolta scommesse esercitata in un sito che dista meno di cinquecento metri da alcuni luoghi sensibili. Tale decisione è stata impugnata e il TAR per l’Emilia-Romagna, sede distaccata di Parma si è pronunciato con la sentenza 64/2020 che qui si analizza.

Le competenze statali, regionali e comunali. Buona parte dei motivi di ricorso sollevati sono relativi all’asserita assenza di competenza del Comune e della Regione nell’ambito della regolazione del gioco d’azzardo. Tale profilo, in particolare, viene dalla società ricorrente richiamato sotto diversi punti di vista: in particolare, nelle loro memorie si concentrano:

1) sull’art. 1, comma 644 della Legge di Stabilità 2015 (che prevederebbe la possibilità di chiudere un centro scommesse solo per ragioni di ordine pubblico);

2) sulla competenza in materia della Questura (che peraltro non ha presentato obiezioni rispetto ai profili di ordine pubblico) e non del Comune;

3) sull’applicazione dell’istituto della SCIA per cui l’Amministrazione può esercitare solo poteri di vigilanza, i quali a loro volta possono sfociare in un provvedimento di chiusura solo in caso di comprovata mancanza dei requisiti soggettivi di ordine pubblico;

4) sulla competenza statale, e non comunale, della competenza in materia di lotta alla ludopatia.

Il TAR, una ad una, rigetta tutte queste censure, ribadendo la competenza comunale e regionale in materia di gioco d’azzardo patologico relativamente ai profili di tutela della salute. In particolare, i giudici richiamano le sentenze 108/2017 e 27/2019 della Corte costituzionale, che sul punto sono state molto esplicite: viene affermato, pertanto, che “la chiusura di una sala scommesse ben può essere disposta per ragioni diverse da quelle afferenti l’ordine pubblico e concernenti, invece, la tutela della salute, e, conseguentemente, da Amministrazioni diverse da quelle statali (preposte alla tutela dell’ordine pubblico), ossia i Comuni delegati dalle Regioni (che dispongono di competenza concorrente in materia di tutela della salute) per l’intervento in materia di tutela della salute”.

Se è ricostruita in questi termini la competenza in via generale di Comuni e Regioni, indubbia è anche la sussistenza dei profili di correttezza e legittimità anche in merito alle disposizioni rilevanti nel caso specifico (richiamando l’inequivoco titolo della legge regionale 5/2013 e la circostanza che il Comune di Castel San Giovanni altro non ha fatto se non dare applicazione alla legge in questione).

Gioco online e scopo del distanziometro. Del resto, se l’obiettivo dell’intervento regionale e comunale è la lotta al gioco d’azzardo patologico, nemmeno la censura relativa alla non idoneità e non proporzionalità delle misure in questione rispetto al tema del gioco online trova sorte migliore. Anzitutto i giudici chiariscono che “la previsione di distanze da luoghi sensibili per gli esercizi di raccolta scommesse non ha il fine di disincentivare il gioco tout court ma quello, diverso, di prevenire l’insorgere della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico e si rivolge, dunque, ad una ben precisa fascia di giocatori, ossia quelli che possono sviluppare tale patologia di dipendenza”. Inoltre, si nota, che “la possibilità per il consumatore italiano di poter accedere on line a centinaia di nuovi siti scommesse non muta i termini del problema con riferimento alle sale scommesse fisiche ed alla loro influenza sul fenomeno della ludopatia, atteso il fatto, incontestato, che tale proliferare di siti on line non ha certo condotto allo svuotamento della clientela dai punti di raccolta scommesse fisici”.

Slot machine e sale scommesse. Altra questione sollevata dal ricorrente è quella relativa alla differenza che sussiste tra sale gioco con la presenza di slot machine e sale scommesse, poiché “l’attività di raccolta scommesse non [sarebbe] equiparabile a quella di installazione di slot machine, in quanto non presenta gli stessi problemi di ludopatia”.

Il TAR è di diverso avviso: l’equiparazione tra le due tipologie di sale è prevista direttamente dall’art. 6, comma 3 ter della legge regionale 5/2013 e certamente il Comune non avrebbe potuto discostarsi da questa previsione.

Il bilanciamento degli interessi. La società ricorrente si concentra poi su altri profili di merito: in particolare contesta la sostanziale violazione delle norme in materia di liberalizzazione degli esercizi pubblici (di cui alla legge 148/2011) e dell’art. 41 della Costituzione sulla libera iniziativa economica. Proprio con riferimento a quest’ultima disposizione, i giudici richiamano la nozione di utilità sociale ivi contenuta, a sostegno delle previsioni regionali sulla tutela della salute. Inoltre, non sussisterebbe alcune “totale inibizione della libertà imprenditoriale” (come sostenuto dal ricorrente), visto che è ben possibile dislocare l’attività in altro punto (incidendo, peraltro, le misure solo sul quomodo dell’esercizio del gioco, non sull’attività in sé e per sé). Inoltre, viene dato risalto alla proroga dei termini per pervenire ad una ricollocazione, previsione senz’altro favorevole alle attività economiche già in essere.

La tutela dell’affidamento. Il ricorrente, infine, solleva anche una censura relativa all’asserita violazione del principio di tutela dell’affidamento. Il TAR tuttavia nega che in questo caso si possa parlare di affidamento: quest’ultimo, infatti, si determina (e merita di essere tutelato) “nel caso in cui tutte le amministrazioni preposte alla relativa disciplina siano intervenute con provvedimento favorevole”, circostanza che nel caso in specie non si è verificata (il Comune, preposto alla valutazione in merito alla tutela della salute, non si è espresso favorevolmente).

Sulla questione dell’affidamento, si veda anche la sentenza della Corte di Giustizia UE 11 Giugno 2015, Berlington Hungary, in cui viene specificato in che modo tale principio deve essere considerato dagli attori economici: “un operatore economico non può basare il suo affidamento sulla mancanza totale di modifiche normative, ma unicamente mettere in questione le modalità applicative di siffatte modifiche”.

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)