Premessa. Il Comune di Cinisello Balsamo (Mi), con l’ordinanza 197/2014, ha disciplinato gli orari delle sale giochi e degli apparecchi da gioco prevedendo un orario di apertura dalle ore 10:00 alle ore 22:00.

Avverso tale ordinanza aveva presentato ricorso una società che gestisce una sala da gioco nel territorio comunale. Il TAR Lombardia, con la sentenza 2180/2017, ha respinto il ricorso, ritenendo adeguata l’attività istruttoria svolta dal Comune (fondata su un provvedimento della Asl che aveva dato conto dell’aumento di utenti affetti da “ludopatia”), considerando corretto l’esercizio dei poteri sindacali ex art. 50, comma 7, Tuel e escludendo che si fosse determinata un’illegittima compressione della libertà di iniziativa economica dell’operatore.

Avverso tale pronuncia ha presentato appello la società che gestisce la sala giochi: il Consiglio di Stato, con la sentenza 10894/2023 (che qui si analizza), ha definitivamente respinto le doglianze dell’operatore.

L’istruttoria. In primo luogo, anche il Consiglio di Stato reputa adeguata l’istruttoria effettuata dal Comune. Quest’ultimo, infatti, secondo i Giudici, “ha preso in esame i soli dati di riferimento in concreto esistenti cioè quelli della Asl di Milano e del centro ascolto comunale”; sottolinea, inoltre, che è “un dato di comune esperienza che il prolungamento dell’orario di apertura, aumentando la possibilità di utilizzare gli apparecchi da gioco con vincita, favorisce il comportamento compulsivo di coloro che soffrono di ludopatia”.

Deve invece essere escluso, inoltre, secondo il Collegio, che la riduzione degli orari determini uno spostamento verso i canali illegali, almeno per quel che concerne gli apparecchi tipici delle sale gioco: secondo il Consiglio di Stato, “non vi è un mercato parallelo poiché i canali alternativi a quelli ufficiali riguardano il settore delle scommesse che coinvolge un altro tipo di utenti”.

Le fonti normative. Il Collegio respinge anche il secondo motivo di appello, con cui l’operatore del gioco evidenziava un contrasto tra la disciplina locale e quella introdotta dal legislatore nazionale con la legge 23/2014 e con l’Intesa in Conferenza unificata.

Sostiene il Consiglio di Stato, aderendo all’orientamento assolutamente maggioritario sul punto, che la legge 23/2014 era una legge delega che, all’art. 14, fissava i principi cui si sarebbe dovuto attenere il legislatore delegato nel regolare la materia dei giochi. Tuttavia, sottolineano i Giudici, “la disciplina attuativa di tale legge non è mai stata approvata ed anche l’intesa della Conferenza Stato regioni del 7 settembre 2017 non è mai stata tradotta in nel previsto decreto ministeriale che costituisse un indirizzo certo per i Comuni”. Ciò esclude in radice l’esistenza, addotta dall’appellante, di una fonte normativa più favorevole agli operatori del gioco.

Il bilanciamento degli interessi. L’ultimo motivo di appello concerne il bilanciamento fra gli interessi in gioco. Il Consiglio di Stato, anche in questo caso riprendendo argomentazioni consolidate in giurisprudenza, ritiene che le limitazioni orarie siano una modalità bilanciata di contemperamento delle diverse esigenze: da un lato la massimizzazione del profitto per gli operatori (che puntano, con una più ampia durata giornaliera di apertura dell’esercizio, a remunerare di più gli investimenti sostenuti per aprire l’attività, secondo il principio dell’affidamento), dall’altro “la necessità di garantire la salute pubblica limitando al massimo il fenomeno della ludopatia”. I limiti orari introdotti consentono, in definitiva, secondo il Collegio, un contemperamento che non mortifica nessuno dei due principi.