La normativa e i casi. La legge regionale dell’Emilia-Romagna 5/2013, come modificata dalla legge regionale 18/2016, prevede, all’articolo 6, commi 2 e 2-bis,  lo strumento del distanziometro rispetto ad una serie di luoghi sensibili (individuati per categorie) per le sale gioco, le sale scommesse, i punti di raccolta scommesse (cd. corner), la nuova installazione di apparecchi da gioco. Si stabilisce, inoltre, che ai Comuni è concessa la possibilità di individuare ulteriori luoghi sensibili.

La deliberazione della Giunta Regionale 831/2017 ha introdotto l’obbligo, per i Comuni, di effettuare la mappatura dei luoghi sensibili, ciò che i Comuni di Bologna e di Cattolica (che rilevano per le sentenze che qui si analizzano) hanno fatto con le deliberazioni, rispettivamente, 239/2018 del Consiglio Comunale di Bologna e 218/2017 della Giunta Comunale di Cattolica.

Inoltre, in tema di ricollocazione delle attività in zone non sottoposte al divieto, la delibera della Giunta regionale 68/2019 ha introdotto ulteriori periodi di proroga per gli esercenti.

Sulla base di questa disciplina, i Comuni di Bologna e di Cattolica hanno adottato alcuni provvedimenti di chiusura di esercizi ubicati a distanze inferiori a quelle previste dai luoghi sensibili. Avverso questi provvedimenti sono stati sollevati vari ricorsi, decisi dal TAR per l’Emilia-Romagna con le sentenze 703/2020, 855/2020 e 856/2020 (per il Comune di Bologna) e 704/2020 (per il Comune di Cattolica).

L’articolazione dei poteri. La sentenza 856/2020 affronta la questione, sollevata da uno dei ricorrenti, rispetto alla compatibilità della normativa regionale con l’articolo 117 della Costituzione: richiamando la sentenza 108/2017 della Corte costituzionale, i giudici affermano che “le Regioni esercitano un potere riconducibile alla potestà concorrente in materia di ‘tutela della salute’ estranea alla materia della tutela dell’ordine pubblico di competenza esclusiva statale”. Da escludere, inoltre, anche l’eventualità che possa essersi verificata una violazione del principio di sussidiarietà in tema di riparto di competenze tra Regione e Comuni (a discapito di questi ultimi, secondo la tesi del ricorrente): infatti, “l’individuazione ad opera del legislatore regionale dei siti c.d. sensibili non poteva che essere effettuata per categorie generali (…) demandando ai comuni l’ulteriore specificazione dei luoghi sensibili”.

La discrezionalità legislativa regionale e la natura vincolata dei successivi provvedimenti. Di interesse sono, poi, le considerazioni dei giudici rispetto alla natura dei vari atti regionali e comunali. Innanzitutto, il Regolamento del Comune di Bologna, nella parte in cui effettua la mappatura dei luoghi sensibili, viene definito dai giudici “rigidamente vincolato rispetto alle previsioni legislative e attuative regionali, risultando la mappatura dei luoghi sensibili in definitiva un mero adempimento”. Gli stessi provvedimenti di chiusura impugnati “risultano del tutto vincolati e consequenziali rispetto alle disposizioni legislative ed attuative regionali, senza alcuna nuova ponderazione di interessi, invero interamente compiuta a monte dalla Regione”.

La definizione della natura dei provvedimenti in esame non è priva di conseguenze: la sentenza 704/2020 definisce la mappatura dei luoghi sensibili effettuata dal Comune di Cattolica come “atto scindibile in distinte ed autonome determinazioni, autonomamente lesive delle posizioni di ciascun titolare di sale giochi o scommesse ove emerga ‘icto oculi’ la violazione dei (…) limiti di distanza”. Per questo motivo, vista e considerata l’immediata e diretta lesività dell’atto generale stesso, in caso di sicura conoscenza da parte del soggetto interessato dell’atto, è dalla data di questo che deve considerarsi la decorrenza dei termini per l’impugnazione. In modo analogo si esprime la sentenza 855/2020 (richiamando la sentenza 4464/2020 del Consiglio di Stato) che definisce l’atto regolamentare del Comune di Bologna come di volizione-azione tale da “vincolare le successive decisioni dell’Amministrazione stessa, senza lasciare margine di discrezionalità in materia”: dal carattere direttamente lesivo dell’atto regolamentare e alla luce della comunicazione di questo effettuata al soggetto interessato si conclude con l’irricevibilità del ricorso, poiché questo è stato proposto solo in seguito all’adozione del provvedimento specifico di chiusura.

La presunta retroattività del distanziometro. I giudici smentiscono, inoltre, che la disciplina regionale che obbliga al rispetto delle distanze dai luoghi sensibili anche gli esercizi già in attività abbia carattere retroattivo. Infatti, afferma il TAR:

1) “le suddette prescrizioni si applicano dall’entrata in vigore della legge, e non sono mirate alla immediata cessazione delle attività, contemplandosi la delocalizzazione mediante il riconoscimento di una specifica tempistica anche per la tutela della continuità occupazionale”;

2) “la d.G.R. n. 68 del 21 gennaio 2019 ha altresì previsto un periodo di proroga di sei mesi connesso alla richiesta di delocalizzazione che in ragione di particolari esigenze ciascun comune potrà valutare essere ulteriormente prorogato per massimi ulteriori sei mesi”;

3) l’esistenza di un’autorizzazione pregressa non può giustificare “una deroga permanente, che sottragga l’operatore all’applicazione della disciplina regolamentare a tutela della salute”;

4) se così fosse, infatti, oltre a “vanificare la portata della disciplina di tutela”, si determinerebbe anche una “distorsione della concorrenza”.

L’effetto espulsivo. È centrale, dunque, nella disciplina regionale, la previsione della possibilità per gli esercizi che si trovano a distanza inferiore di rilocalizzarsi in altri locali rispettosi delle distanze. Su questo punto, forte è l’obiezione degli operatori del gioco che, a causa delle previsioni inerenti al distanziometro, la ricollocazione in parola sarebbe di fatto impossibile, con la conseguenza di un effetto espulsivo per l’attività del gioco lecito. In questo senso, nelle sentenze in esame, viene spesso richiamata una perizia tecnica con cui i ricorrenti intenderebbero dimostrare la preclusione di fatto.

Per prima cosa, i giudici affermano (in parte discostandosi da un precedente orientamento del medesimo TAR espresso nella sentenza 54/2020, e anche da quello contenuto nelle sentenze 1261, 1262, 1263/2018 del TAR Piemonte) che la valutazione dell’effetto espulsivo va effettuata con riferimento al territorio comunale e non, come asseriva il Comune di Bologna nelle sue memorie, all’ambito regionale: infatti, benché le limitazioni spaziali siano state introdotte dal legislatore regionale (e nella sentenza 703/2020 si contesta la legittimità costituzionale di tale disciplina nella parte in cui non prevede la possibilità per i Comuni di adeguare lo strumento del distanziometro alle esigenze locali), la valutazione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità deve concentrarsi sulla situazione nel territorio comunale. Questo perché “la localizzazione delle sale giochi e della sale scommesse (…) non può che demandarsi che alla naturale ‘sedes materiae’ ovvero alla pianificazione comunale, la quale deve garantire l’equilibrata distribuzione degli esercizi sul territorio comunale tenendo conto delle esigenze di delocalizzazione, mediante un necessario contemperamento delle esigenze di tutela della salute pubblica”.

Sciolto in questi termini il nodo relativo all’ambito della questione, i giudici escludono che in relazione al territorio del Comune di Bologna si possa parlare di effetto espulsivo, e ciò senza disporre un’ulteriore perizia tecnica d’ufficio, ma semplicemente alla luce di quella depositata dai ricorrenti. Si legge, infatti, nella sentenza, che la relazione peritale “pur nell’indicare l’impossibilità di delocalizzazione per il 99,97% del territorio bolognese, conferma in realtà l’esistenza di aree all’uopo idonee seppur pari ad una minuscola porzione di territorio superstite (0,39 Kmq pari allo 0,28% del totale)”, cosicché “l’asserito effetto espulsivo risulta smentito proprio dalla documentazione depositata dalla ricorrente”.

Il principio di proporzionalità. Le disposizioni sui limiti distanziali, anche alla luce di quanto esposto rispetto all’assenza di una preclusione di fatto alle attività del gioco lecito, vengono considerate come un “proporzionale contemperamento tra i principi europei in tema di libertà di stabilimento con l’interesse generale al contrasto della ludopatia quale motivo imperativo di interesse generale”.

L’indennizzo. I giudici smentiscono che alle attività a cui oggetto del provvedimento di divieto della prosecuzione dell’attività debba essere corrisposto un indennizzo ai sensi dell’art. 21-quinquies della legge 241/1990 “non intervenendo l’Amministrazione comunale sull’efficacia della licenza ottenuta dalle ricorrenti ex art. 88 t.u.l.p.s. non avendone per giunta alcun potere”. Sul punto si segnala che, invece, in un altro caso l’indennizzo era stato corrisposto (si tratta della sentenza 20/2020 del TAR Aosta).

L’Intesa. Il TAR è chiamato a pronunciarsi anche sull’asserita violazione dell’Intesa in sede di Conferenza Unificata Stato Autonomie locali (la quale, secondo i ricorrenti, salvaguarderebbe le attività esistenti e imporrebbe una procedura di delocalizzazione più articolata): riprendendo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza sul punto, i giudici affermano che “nelle more del recepimento normativo [dell’Intesa stessa mediante decreto ministeriale, come previsto dall’art. 1 c. 936 legge 208/2015] deve escludersi che la violazione possa avere effetto cogente e invalidante dell’impugnato provvedimento di chiusura”.

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)