La normativa. La legge provinciale 13/2015 della Provincia Autonoma di Trento prevede, all’articolo 14, che gli apparecchi da gioco posti a una distanza inferiore di 300 metri dai luoghi sensibili sono rimossi entro sette anni dalla data di entrata in vigore della legge se collocati nelle sale da gioco ed entro cinque anni dalla medesima data negli altri casi.
Il Comune di Storo, con deliberazione 8/2019, ha proceduto ad aggiornare l’elenco dei luoghi sensibili presenti nel territorio comunale; quindi, con nota prot. n. 7435 del 12 agosto 2020, ha comunicato a tutti gli operatori economici interessati l’obbligo previsto dall’articolo 14 della legge provinciale 13/2015 di rimozione degli apparecchi da gioco con vincita in denaro posti ad una distanza inferiore a 300 metri dai luoghi sensibili, con termine a cinque anni dall’entrata in vigore della legge, trattandosi di apparecchi collocati in luoghi diversi dalle sale gioco.
Il caso. Tra i destinatari della nota (invitati quantomeno a spegnere e non utilizzare gli apparecchi da gioco in attesa della loro materiale rimozione) rientrava anche la titolare di una ditta individuale che gestisce un esercizio di somministrazione aperto al pubblico di alimenti e bevande (tipologia B1), con insegna “Bar”.
Avverso alcuni provvedimenti a vario titolo connessi a quelli citati, la titolare ha presentato ricorso al TRGA di Trento che, con la sentenza 27/2022, si è espresso nel senso dell’inammissibilità dello stesso (pur pronunciandosi anche nel merito).
L’inammissibilità del ricorso. In primo luogo, i giudici analizzano l’eccezione di inammissibilità sollevata da Comune e Provincia: questa viene ritenuta fondata in quanto il ricorso è stato presentato avverso un atto di natura interlocutoria, come tale non idoneo a produrre effetti di lesività in capo alla ricorrente.
La qualificazione del bar con apparecchi da gioco. I giudici si spingono, comunque, ad analizzare anche il merito del ricorso, respingendo la prospettazione della titolare dell’esercizio che mirava a veder applicato al suo caso il termine di sette anni (anziché quello di cinque) previsto dall’articolo 14 della legge provinciale.
Centrale in questo senso è la definizione di sala giochi, quale luogo in cui l’attività di gioco viene esercitata “in via esclusiva o principale o prevalente o specifica o specialistica” anziché quale “mera attività secondaria e accessoria al pubblico esercizio di somministrazione”.
Proprio in quest’ultimo caso ritiene il Collegio che ricada l’attività gestita dalla ricorrente; a tal proposito sono considerati rilevanti alcuni indicatori, tra cui:
- Il riferimento, nella licenza per la gestione di una sala giochi e sala biliardi, alla circostanza che quest’ultima è “attività accessoria” a quella di “Bar” con coincidenza dei relativi orari;
- La circostanza che la SCIA presentata dalla ricorrente è di tipologia B1 (somministrazione di bevande), anziché di tipo C (somministrazione congiunta con altre attività, tra cui quella di sala giochi);
- Il Codice Ateco riportato nella visura camerale, relativo solo all’attività di bar quale attività prevalente (quella di sala giochi risulta come attività secondaria).
Le valutazioni di legittimità costituzionale. I giudici, infine, considerano manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata rispetto all’asserito contrasto tra l’art. 42 della Costituzione e l’art. 14 della legge provinciale, dalla cui applicazione deriverebbe una forma di esproprio di diritti economici non indennizzati.
Il TRGA, a tal proposito, chiarisce che la disposizione impugnata “non scalfisce in alcun modo la facoltà di esercitare impresa nell’ambito del gioco lecito, poiché riguarda unicamente le relative modalità”, risultando pertanto del tutto infondata ogni pretesa di indennizzo. Del resto, sottolineano i giudici, “l’introduzione di un regime di distanziamento tra gli apparecchi da gioco e i luoghi considerati sensibili assolve alla funzione di tutelare il diritto alla salute della collettività (art. 32 Cost.) a fronte di possibili fenomeni di ludopatia e risponde ad un’utilità sociale: si tratta di restrizioni e limitazioni della libera iniziativa economica che trovano giustificazione in altri interessi similmente di rango costituzionale”, su cui sussiste una potestà legislativa concorrente (“tutela della salute” e “governo del territorio”), tale per cui sono legittimate a intervenire anche Regioni e Province Autonome.
(a cura di Marco De Pasquale)