Il caso. Una società operante nel settore dei giochi ha presentato, nel Gennaio 2018, al Comune di Monteforte Irpino (Av) una Cila (Comunicazione inizio lavori asseverata) di avvio lavori per l’esercizio dell’attività di videolottery e raccolta scommesse, e, nel Maggio dello stesso anno, un’istanza al Suap (Sportello unico attività produttive) per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività stessa.

Il Comune di Monteforte Irpino, tuttavia, nell’Agosto 2018 ha rigettato l’istanza e, poco dopo, ha ordinato la cessazione dell’attività già avviata sulla base della Cila. Alla base di ciò, l’incompatibilità sul piano urbanistico delle attività richieste con la destinazione d’uso dell’area interessata.

Anche la Questura è quindi intervenuta, disponendo la revoca della licenza rilasciata.

Avverso questi provvedimenti, la società ha quindi presentato ricorso al TAR Campania – Sezione di Salerno che, con la sentenza 1071/2020, ha accolto il ricorso.

Il Comune di Monteforte Irpino ha, quindi, presentato appello al Consiglio di Stato che si è pronunciato con la sentenza 8369/2021 che qui si analizza.

La destinazione urbanistica. Il Consiglio di Stato accoglie l’appello dell’Ente locale.

Anzitutto, ricorda il Collegio, in assenza di una mappatura di luoghi sensibili, la normativa che deve essere applicata è quella urbanistica.

Nel caso di specie, l’area in cui si trova l’immobile in questione ricade nella categoria “G4 – Area privata sportiva a uso collettivo”: questa categoria, secondo i giudici, presenta una “palese e frontale incompatibilità urbanistica” con il gioco d’azzardo, non potendosi porre “sullo stesso piano urbanistico e d’uso (…) l’attività sportiva privata a uso collettivo con l’attività di sala giochi a mezzo videolottery”, che è “di natura prettamente commerciale”.

Tra le due attività possono, certo, esserci alcune analogie (l’aspetto ricreativo, ludico e di abilità) ma, sottolinea il CdS, da ciò non si può ricavare “alcuna assimilazione ontologico-funzionale stante il diverso e incisivo impatto che esse esercitano sulla persona (implicazioni sanitarie, economiche, familiari), con rilevanti risvolti di tipo sociale e collettivo”.

Questa conclusione deve essere confermata anche se l’art. 38 delle N.T.A. non esclude espressamente le sale giochi dagli insediamenti praticabili nella zona “G4”: questa circostanza, infatti, ricordano i giudici, “non implica che le stesse debbano intendersi implicitamente consentite”.

La revoca della licenza da parte della Questura. Bene ha fatto, inoltre, secondo il Consiglio di Stato, la Questura a revocare (o meglio, ad annullare d’ufficio per vizio di legittimità originario della licenza, come precisano i giudici di Palazzo Spada) la licenza alla società: “il rilascio dell’autorizzazione di pubblica sicurezza, e il suo mantenimento (…), presuppongono il rispetto di tutte le norme di polizia urbana, sanitaria, urbanistiche, edilizie (incluse le destinazioni d’uso)”.

(a cura di Marco De Pasquale)