La normativa e il caso. Il Comune di Marostica (Vi) è intervenuto sulla materia del gioco d’azzardo con il Regolamento comunale per sale giochi e installazione di apparecchi da intrattenimento (approvato con delibera consiliare 45/2016) e con l’ordinanza sindacale 11/2016 sulla disciplina degli orari di funzionamento degli apparecchi per il gioco lecito.

Avverso tali provvedimenti è stato sollevato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e, pertanto, il Consiglio di Stato si è espresso con il parere definitivo 402/2019 che qui si analizza.

La relazione ministeriale. Innanzitutto, nel parere si dà conto della relazione ministeriale, allegata agli atti trasmessi, che sostanzialmente propende per l’accoglimento del ricorso. Ciò, in particolare, sulla base di alcune considerazioni:

1) “l’adozione di misure limitative del gioco lecito … avrebbe come effetto quello di orientare la domanda dei giocatori verso offerte di gioco illegali”;

2) con questo tipo di normativa si cagionerebbe un “pregiudizio pure al gettito erariale”;

3) “le iniziative degli enti locali possono confliggere con la competenza statale in materia di contrasto e di prevenzione delle ludopatie”: anche per questo, si “richiede un sufficiente grado di uniformità regolatoria su tutto il territorio nazionale”.

Il Consiglio di Stato è di diverso avviso ed esprime parere negativo al ricorso.

Gli strumenti di pianificazione urbanistica e il distanziometro. Per prima cosa, il Collegio interviene sugli strumenti normativi da utilizzare: per la società ricorrente, infatti, anche in base all’art. 20 della legge regionale 6/2015 (oggi superata con la legge regionale 38/2019, che comunque sul punto non si discosta particolarmente rispetto alla normativa precedente), il Comune avrebbe dovuto utilizzare i “tipici strumenti urbanistici e/o gli atti del governo del territorio, i quali imporrebbero alle Amministrazioni comunali l’obbligo di osservare un regime di cd. ”doppio binario”, dovendosi consentire agli interessati adeguate forme di partecipazione procedimentale”.

Il Consiglio di Stato respinge questa censura: la materia, infatti, afferisce anzitutto all’ambito della tutela della salute pubblica; la legge regionale, inoltre, “non prevede alcun obbligo in capo al Comune di esercitare tale potere mediante strumenti di pianificazione urbanistica”.

La sovrapposizione con la normativa statale. Il ricorrente, poi, solleva la questione relativa alla sovrapposizione tra la normativa nazionale di primo grado e quella locale, paventando così l’illegittimità di quest’ultima.

I giudici ricostruiscono in altri termini il nodo delle competenze: “la normativa in materia di gioco d’azzardo – con riguardo alle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso ai giochi degli utenti – non è riferibile alla sola competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza … ma alla tutela del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica … tutela che rientra nelle attribuzioni del Comune ex artt. 3 e 5 del d.lgs. n. 267 del 2000”.

Gli orari. L’altro aspetto centrale del ricorso è relativo alla contestazione della disciplina degli orari delle sale gioco (10-13 e 17-22). Anche in questo caso il Consiglio di Stato avalla la normativa introdotta nel Comune, in quanto:

1) non è dimostrata, dalla società ricorrente, la pretesa diretta causalità “tra la contestata riduzione dell’orario e la diminuzione, fino al limite della non convenienza economica, dell’attività di gioco gestita”;

2) in ogni caso il diritto di iniziativa economica (art. 41 Cost.) non è assoluto ma deve essere bilanciato con la sicurezza, la dignità umana e l’utilità sociale;

3) la riduzione degli orari di apertura è, pacificamente, “una delle molteplici misure delle quali le autorità pubbliche possono avvalersi per contrastare le ludopatie”;

4) nello specifico, il frazionamento in due periodi giornalieri dell’orario di funzionamento non è illogico “trattandosi di accorgimento regolatorio che disincentiva soprattutto le fasce più giovani, e quindi più deboli, di utenti e, sotto questo profilo, detta limitazione supera il test di proporzionalità”.

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)