La normativa e il caso. Il Consiglio comunale di Verbania, con la deliberazione 136/2017, ha approvato il “Regolamento per la detenzione e il funzionamento di apparecchi da gioco o da intrattenimento nelle diverse tipologie di esercizi, per la disciplina delle sale giochi e di piccoli trattenimenti presso i pubblici esercizi”. Questo intervento si pone in scia della normativa contenuta nella legge regionale del Piemonte 9/2016 (come noto, è stata recentemente approvata una nuova legge regionale sul gioco: legge regionale 19/2021).

Avverso questo Regolamento (e, in particolare, avverso l’asserito effetto espulsivo che si determinerebbe) ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica una società che opera nel settore dei giochi e che gestisce due sale da gioco nel territorio comunale interessato.

Si è quindi pronunciato il Consiglio di Stato con il parere definitivo 1492/2021, che qui si analizza.

Il respingimento nel merito del ricorso. Il Consiglio di Stato, nelle argomentazioni di merito con cui ha respinto il ricorso, sottolinea che il Regolamento comunale si sostanzia in una pedissequa applicazione della norma regionale, senza aggiunte e senza altre o diverse previsioni: per questa via, dunque, i giudici concentrano le loro argomentazioni di merito intorno al contenuto della legge regionale 9/2016 nelle parti contestate dalla parte ricorrente.

Riprendendo il parere, sempre del Consiglio di Stato, 3162/2019, il Collegio sottolinea che la legge regionale 9/2016, nella parte relativa al presunto effetto espulsivo, era già stata considerata in linea con i dettami della Corte costituzionale: in particolare con riferimento alle sentenze 300/2011, 108/2017 e 27/2019 della Consulta.

La legge regionale 9/2016 viene giudicata, poi, rispettosa della considerazione della diversità tra Comuni grandi e piccoli, dal momento che essa prevede un limite distanziale differenziato tra Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti (il distanziometro in questi casi è di 300 metri) e gli altri Comuni (in cui invece la distanza era fissata nei canonici 500 metri, oggi ridotti a 400).

L’inammissibilità del ricorso. Il ricorso viene comunque dichiarato da subito inammissibile. Il Collegio rileva, infatti, che le censure proposte in merito al distanziometro, non riguardano i due esercizi commerciali gestiti dalla società ricorrente, i quali non ricadono nelle fasce di rispetto dai luoghi sensibili e pertanto non sono interessati da provvedimenti di chiusura o di rilocalizzazione.

Nello stesso senso si è pronunciato, in un caso relativo alle limitazioni orarie, anche il TAR Veneto (sentenza 321/2021) che ha dichiarato inammissibile un altro ricorso privo del requisito dell’attualità; non basta, cioè, contestare la generica possibilità che i Comuni intervengano in modo limitativo: per considerare sussistente il requisito dell’attualità dell’interesse ad agire è necessario che sussista una lesione della posizione giuridica del ricorrente, e che si individui un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento.

(a cura di Marco De Pasquale)