La normativa. L’art. 5 della legge della Provincia Autonoma di Trento 13/2015 vieta la collocazione di apparecchi da gioco a una distanza inferiore a 300 metri da una serie di luoghi sensibili, concedendo anche ai Comuni la facoltà di ampliare la distanza e di individuare altre aree circoscritte a cui estendere il divieto.
Il Comune di Storo, con la delibera del Consiglio comunale 8/2019 ha individuato i luoghi sensibili (in linea con quelli in astratto indicati nella legge regionale), prescrivendo la non installazione di apparecchi da gioco nel raggio di 300 metri.
Il caso. Una società del settore del gioco (non operante in quel momento nel territorio in esame) ha presentato ricorso dinanzi al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento che si è pronunciato con la sentenza 12/2020.
L’istruttoria. Il primo motivo di ricorso è relativo alla lamentata assenza di un’istruttoria puntuale e riferita alla situazione specifica del Comune di Storo: viene infatti affermato che gli unici dati presentati riguarderebbero l’intero territorio provinciale. I giudici respingono questa censura: il Comune altro non avrebbe fatto che applicare l’art. 5 della legge provinciale, il quale a sua volta “non riserva alcun margine di apprezzamento discrezionale in capo all’ente locale”. I dati istruttori, semmai, hanno orientato le scelte del legislatore provinciale che, facendo uso della discrezionalità sul punto riconosciuta anche dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza 300/2011 della Consulta), ha optato per l’introduzione del distanziometro in modo uniforme su tutta la provincia.
Il Comune avrebbe potuto, anzi, eventualmente restringere ulteriormente le maglie (es. introducendo la distanza di 500 metri o ampliando i luoghi sensibili) ma nel caso specifico non l’ha fatto.
L’effetto espulsivo del distanziometro. Altro punto chiave del ricorso è il lamentato effetto espulsivo delle attività di gioco che, in concreto, il distanziometro produrrebbe nel territorio comunale. In questo senso, il ricorrente ha presentato anche una perizia tecnica per esporre il sostanziale divieto di insediare attività di gioco. Sono argomentazioni, queste, che non convincono i giudici del TRGA: anzitutto viene smentito che le misure introdotte determinerebbero l’impossibilità di trovare luoghi utili ove svolgere le attività in esame (si nota che rimarrebbe a disposizione circa il 6% dell’area residenziale e l’intera zona industriale/artigianale; sulla correttezza di includere nel divieto i centri abitati viene citata anche la sentenza 8298/2019 del Consiglio di Stato). In ogni caso, l’eventuale difficoltà in concreto di trovare locali nelle porzioni libere non rileva ai fini dello scrutinio della norma, non essendo questa una circostanza “imputabile alla misura restrittiva”, bensì una “barriera meramente fattuale, dipendente dallo stato di fatto dei luoghi”.
Si tratta, quindi, in conclusione di una scelta proporzionata, perché idonea a perseguire l’interesse pubblico con il minor sacrificio possibile per il privato.
Il conflitto di competenze. I ricorrenti lamentano poi che la legge provinciale, a fondamento della delibera comunale impugnata, di fatto invaderebbe le competenze statali in materia di sicurezza ed ordine pubblico e in tema di concorrenza e libertà dei mercati (in quanto, in sostanza, altererebbe in modo illegittimo il mercato nel settore del gioco). Anche questa doglianza non trova accoglimento: si ribadisce che il legislatore provinciale è intervenuto nell’ambito della tutela della salute e del territorio, senza disporre su ordine pubblico e sicurezza, mentre un’eventuale incidenza sul mercato sarebbe solo riflessa.
Gli articoli 41 e 42 della Costituzione. Parimenti non trovano accoglimento altri due profili di censura relativi agli articoli 41 e 42 della Costituzione. Con riguardo al primo, infatti, la legge provinciale dà corretta attuazione al concetto di utilità sociale ivi contenuto; per il secondo, invece, si afferma che la richiesta di indennizzo, previsto nel caso di esproprio, è nel caso specifico impropria in quanto, non incidendo la legge provinciale “sulla facoltà di esercitare impresa in tema di gioco lecito, ma [solo] sulle modalità relative” è in sé scorretto parlare di esproprio.
La giurisprudenza comunitaria. Infine, si segnala che il TRGA non ha accolto le censure fondate sulla violazione del principio (comunitario) di legittimo affidamento: con una disamina della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, si ribadisce che sono ammissibili restrizioni al gioco in presenza di “ragioni imperative di interesse generale” ricordando anche che “in assenza di un’armonizzazione eurounitaria in materia, spetta ad ogni singolo stato membro valutare in tali settori, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi di cui trattasi implica”.
(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)