Il caso di specie e la normativa. L’art. 2 della legge regionale della Liguria 17/2012 ha disciplinato lo strumento del distanziometro (quantificato in 300 metri dai luoghi sensibili) con riferimento alle sale da gioco e al gioco lecito nei locali aperti al pubblico (richiamando l’art. 1 della medesima legge).
Nel giudizio di primo grado, un’agenzia di raccolta delle scommesse aveva visto accogliere il proprio ricorso avverso il provvedimento della Questura di Genova concernente il respingimento dell’istanza per il rilascio della licenza per la raccolta di scommesse. Il diniego della Questura era fondato sul presupposto che i limiti di distanza dai luoghi sensibili previsti dalla legge regionale 17/2012 e dal Regolamento comunale relativo trovassero applicazione anche nei confronti delle sale scommesse.
Il TAR per la Liguria, invece, aveva valorizzato la differenziazione tra sale gioco e sale scommesse nella legge regionale, sostenendo che le prime sono connotate da maggiori rischi per la ludopatia, escludendo la possibilità che i limiti distanziometrici potessero essere applicati in via analogica anche alle sale scommesse, e ciò anche in ragione della necessità di interpretare in senso restrittivo la legge regionale stessa, la quale incide negativamente sulla libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione.
Avverso questa pronuncia, ha presentato ricorso il Ministero dell’Interno. Il Consiglio di Stato si è pronunciato con la sentenza 2579/2021 che qui si analizza.
La distinzione tra sale da gioco e centri di raccolta delle scommesse. Il punto centrale di questo caso concerne proprio la distinzione tra le sale da gioco e i centri di raccolta scommesse. Nelle sue argomentazioni, il Collegio parte dalla ricostruzione del quadro legislativo nazionale e, nel farlo, richiama la sentenza, sempre del Consiglio di Stato, 5327/2016. In particolare, questa pronuncia viene citata nella parte in cui afferma che “ai fini della tutela della salute (art. 32 Cost.), l’attività di gestione delle scommesse lecite, prevista dall’art. 88 del r.d. n. 773 del 1931, è parificata alle sale da gioco invece disciplinate dal precedente art. 86”, cosicché si dovrebbe applicare la legislazione regionale “ad entrambe le attività, fonti entrambi di rischi di diffusione della ludopatia”.
A questo primo argomento, si affianca poi l’ulteriore considerazione, più specifica, per cui non risulterebbe “decisivo né discretivo, in senso contrario, il fatto che la legge regionale e il regolamento comunale sembrino riferirsi letteralmente alle sole sale da gioco e non alle agenzie per le scommesse ai fini delle distanze dai luoghi sensibili perché (…) se il legislatore regionale, per ipotesi (e irragionevolmente), avesse voluto davvero circoscrivere l’applicabilità di cui all’art. 2 della L.R. n. 17 del 2012 alle sole sale da gioco, avrebbe menzionato solo le sale da gioco al comma 2 dell’art. 1 e non anche il “gioco lecito”, più in generale, e avrebbe usato una dizione non equivoca utilizzando espressioni come ‘esclusivamente’, ‘unicamente’, riferite alle sale da gioco”.
In altri termini, l’unica via per poter inquadrare la normativa regionale all’interno del corretto bilanciamento tra articolo 32 e articolo 41 della Costituzione, anche alla luce di quanto espresso dall’art. 7, comma 5, del decreto-legge 158/2012, è quella di parificare, ai fini dell’applicazione dello strumento del distanziometro, le sale gioco e le sale scommesse, in quanto produttrici dei medesimi rischi a carico della salute delle persone, “meritevole della massima protezione proprio a difesa dell’integrità psicofisica dei soggetti più vulnerabili e, in quanto tali, esposti al rischio del gioco d’azzardo patologico”.
Da queste considerazioni discende, dunque, l’accoglimento dell’appello del Ministero dell’Interno, ribaltando l’esito del TAR.
Il trasferimento della sede. Il Consiglio di Stato si pronuncia, inoltre, anche rispetto ad un ulteriore motivo di ricorso: l’Agenzia di scommesse, infatti, sostiene che la legge regionale e il Regolamento comunale, nelle parti relative al distanziometro, avrebbero potuto trovare applicazione soltanto per le aperture di nuovi esercizi e non anche per il trasferimento di sede di quelli già esistenti.
Di diverso avviso è il Consiglio di Stato: i limiti distanziometrici, chiariscono i giudici, “si applicano anche al trasferimento di sede perché, diversamente, sarebbe consentito ad un soggetto che esercita la propria attività in un luogo di trasferirla in altra sede situata ad una distanza ravvicinata rispetto ad un luogo sensibile o, addirittura, nello stesso luogo sensibile, con una conclusione la cui irragionevolezza, oltre che contrarietà alla Costituzione, è evidente”.
(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)