Premessa. La Direzione Investigativa Antimafia ha trasmesso alle Camere, il 3 gennaio 2017, la Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla DIA nel primo semestre del 2016 (Doc. LXXIV, n. 8), ai sensi dell’articolo 109 del decreto legislativo n.159 del 2011. Di seguito sono sintetizzati i passaggi più significativi (per la precedente Relazione leggi questa scheda; per il dettaglio delle varie organizzazioni criminali, vedi invece: Cosa nostra; camorra; ‘ndrangheta; Sacra corona unita; altri gruppi criminali)

Cosa nostra, una crisi persistente. La sistematica azione di contrasto condotta da magistratura e forze dell’ordine ha da tempo posto Cosa nostra in una situazione di crisi. Crisi che non ha modificato le caratteristiche principali della struttura criminale “avente un proprio ordinamento, un vasto bacino di reclutamento ed elevate potenzialità offensive”. L’inabissamento, già descritto nelle precedenti Relazioni della DIA, si conferma una scelta strategica della struttura, allo scopo di sottrarsi alla pressione dello Stato seguita agli anni delle grandi stragi degli anni Novanta.  Con tale strategia Cosa nostra si specializza “nel controllo e nella fornitura di beni e servizi di varia natura”, adottando un “disegno di mercato” selettivo, mirato a soddisfare le puntuali esigenze del mercato criminale, in cui “il rapporto con la controparte risulta spesso basato su un reciproco vantaggio”.

A fianco di questo modus operandi resta la capacità di utilizzare il proprio radicamento e la propria influenza sul territorio. “Cosa nostra riesce così non solo a condizionare gli apparati politico-amministrativi locali” scrive la DIA “ma potendo disporre di consistenti capitali a basso costo, altera inevitabilmente il sistema economico-finanziario”. Le indagini condotte dalla DIA fanno emergere un’organizzazione che si conferma verticistica, ma nei fatti “multipolare”, che si avvale di “molteplici centri di comando ed opera in uno scenario eterogeneo, in cui si rilevano sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autoreferenziali e, ancor più, la tendenza di famiglie e mandamenti ad esprimere una maggiore autonomia” (per ulteriori approfondimenti sull’evoluzione di Cosa nostra leggi questa scheda).

L’unitarietà della ‘Ndrangheta. La sentenza pronunciata dalla Cassazione il 17 giugno 2016 sull’inchiesta “Crimine” ha definitivamente sancito il concetto di unitarietà della ‘ndrangheta “un tutt’uno solidamente legato, con un organismo decisionale di vertice ed una base territoriale”. Un vertice riconoscibile nell’organismo definito “Crimine” o “Provincia”, che copre idealmente l’intero territorio della provincia di Reggio Calabria.

Viene confermata la bivalenza della ‘ndrangheta: da un lato un carattere arcaico, cementato nelle prassi, nei giuramenti e nelle regole che rappresentano la base e la forza di un sistema che si perpetua. Dall’altro un carattere versatile, capace di adattarsi a nuovi contesti, di mutare forma, di cogliere ogni occasione di profitto. La versatilità della ‘ndrangheta viene fuori nella capacità di stringere relazioni con “soggetti corrotti degli apparati istituzionali” e “professionisti piegati alle logiche mafiose”. La capacità di unire alle nuove generazioni ‘ndranghetiste, figli e nipoti dei vecchi boss, perfettamente inseriti nel tessuto economico e sociale del Nord, i professionisti locali “attratti consapevolmente alla ‘ndrangheta”.

“Una strategia” scrive la DIA “che si esprime con la stessa forza e con le stesse logiche anche sul piano internazionale, dove le importanti investigazioni concluse nel semestre testimoniamo come la ‘ndrangheta sia in grado di spaziare indifferentemente dalle sofisticate operazioni finanziarie finalizzate al riciclaggio e al reimpiego di capitali, al tenere contatti con le organizzazioni colombiane per la gestione dei grandi traffico di stupefacenti, in questo potendo contare su una rete strutturata di affiliati distribuiti sui principali hub portuali internazionali” (per ulteriori approfondimenti sull’evoluzione dell’ndrangheta leggi questa scheda).

La struttura pulviscolare della Camorra napoletana. La complessa evoluzione della Camorra, già trattata dalla DIA nelle precedenti Relazioni, viene confermata anche nell’ultimo documento. Sebbene fortemente radicata sul territorio della regione, non è possibile inquadrare il fenomeno mafioso campano in una condizione di unitarietà.

A proposito di Napoli la DIA restituisce un quadro già delineato dalla cronaca: violenze quotidiane tra gruppi che hanno una struttura discontinua e frammentaria (definita pulviscolare), struttura che tende ad alimentare queste violenze. Denominatore comune di questi gruppi è la mancanza di strategia e la spregiudicatezza dell’operato, caratteristiche che ne determinano un’esistenza piuttosto breve e che rendono particolarmente difficile l’opera di investigazione, essendo una realtà criminale costantemente in divenire.

Accanto a questi gruppi che hanno vita breve e non perseguono obiettivi sul lungo termine, vi sono clan più strutturati che limitano il ricorso alla violenza, appaltandolo a gruppi satellite, per dedicarsi ai business di alto profilo, in primo luogo il riciclaggio di denaro sporco. Il reimpiego dei capitali illeciti viene messo in atto attraverso il settore del commercio dei capi di abbigliamento, nell’acquisizione di commesse pubbliche, nelle truffe ai danni dello Stato, utilizzando agganci presenti in ambienti imprenditoriali e istituzionali.  “Tra le metodologie utilizzate per orientare le gare di appalto – scrive la DIA – la linea di tendenza è quella di attuare il cosiddetto “metodo del tavolino”, che consiste nel programmare una rotazione illecita degli appalti pubblici, che si fonda sull’accordo tacito secondo il quale, a turno, tutte le imprese partecipanti al “sistema” si impegnano preventivamente ad offrire, nel corso della gara, il maggior ribasso – già concordato – acquisendo in questo modo la certezza di ottenere l’aggiudicazione dell’appalto pubblico. Il previo accordo oltre a rendere meno visibile la presenza mafiosa, eviterebbe il generarsi di contrasti, rendendo allo stesso tempo più complessa l’attività repressiva” (per ulteriori approfondimenti sull’evoluzione della Camorra leggi questa scheda).

Le caratteristiche del contesto criminale pugliese e lucano. Contraddistinto dalla residuale presenza della SCU (Sacra Corona Unita), il contesto criminale pugliese presenta caratteristiche profondamente diverse rispetto a quelle delle altre mafie storiche, Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. Se queste ultime, ormai da tempo, puntano maggiormente alle infiltrazioni nel tessuto economico della società e agli appalti, la criminalità pugliese (paragonata dalla DIA alla camorra napoletana) è ancora legata alle ‘classiche’ attività delittuose. “A questo stato di cose sembra aver concorso la detenzione degli storici capi dei clan – evidenzia la DIA –  e la progressiva assunzione dei ruoli di vertice da parte di giovani emergenti, lontani dagli schemi gerarchici e dalle regole tramandate dai predecessori”.

La Basilicata, data la sua collocazione geografica, si trova ad essere esposta agli appetiti delle mafie storiche provenienti dai territori limitrofi (Calabria, Campania e la stessa Puglia). “Allo stesso modo” evidenzia la DIA “proprio in ragione della peculiare posizione geografica che si presta a forme di pendolarismo criminale, numerosi sono stati i casi di soggetti di origine calabrese e pugliese tratti in arresto sul territorio” (per ulteriori approfondimenti sull’evoluzione della criminalità pugliese e lucana leggi questa scheda)..

Le organizzazioni criminali straniere. Queste organizzazioni, il cui centro decisionale opera nei Paesi di origine, insediano nel nostro Paese delle “cellule terminali” chiamate a gestire, spesso in coabitazione con le mafie italiane, traffici di stupefacenti, il mercato della contraffazione, la tratta degli esseri umani e la prostituzione.

Proprio in relazione alla tratta degli esseri umani, la DIA sottolinea come tali organizzazioni abbiano sviluppato un’ampia capacità di gestione e autonomia della filiera: reclutamento, abbandono programmato in mare per provocare l’intervento di supporto, fornitura di documenti falsi, arrivo alla destinazione finale per inserire gli immigrati nei mercati illegali preesistenti. La capacità di organizzazione è tale da essere in grado di pianificare gli allontanamenti dai centri di accoglienza per “dirottare” gli immigrati nelle zone del centro-nord.

Questi gruppi criminali di origine straniera mantengono rapporti di collaborazione con le organizzazioni italiane, soprattutto per quanto concerne il mercato degli stupefacenti. In alcuni casi, come nel rapporto con gruppi albanesi, la collaborazione sfocia in una vera e propria struttura organizzata con alle spalle anni di esperienza. Una collaborazione che si estende anche alla fase successiva, vale a dire il reimpiego dei proventi illeciti (per ulteriori approfondimenti sull’evoluzione dei gruppi criminali stranieri leggi questa scheda)..

Il settore degli appalti pubblici. La criminalità organizzata pone da sempre un grande interesse al settore degli appalti: ciò si manifesta sia attraverso i classici metodi intimidatori mafiosi sia con iniziative “legali”, volte a reinvestire gli ingenti capitali accumulati con le attività illecite e ricavarne così ulteriori profitti, estromettendo aziende “sane”.

La Relazione si sofferma sulle diverse modalità utilizzate dalle organizzazioni criminali per aggiudicarsi le commesse pubbliche. Una particolare attenzione è dedicata al c.d. “metodo del tavolino” che consiste, come sopra accennato, in un accordo tacito volto a programmare la rotazione illecita degli appalti pubblici: tutte le imprese partecipanti al “sistema” si impegnano ad offrire, nel corso della gara, il maggior ribasso concordato, acquisendo in questo modo la certezza di ottenere l’aggiudicazione a turno dell’appalto pubblico. L’impresa vincitrice acquisisce – in cambio di una percentuale sul corrispettivo percepito – anche una sorta di “pacchetto” di assistenza, che comprende la difesa da richieste estorsive da parte di altri gruppi criminali e l’intervento nei confronti di dipendenti ed amministratori comunali nel caso di rallentamenti dell’esecuzione dei lavori.

In alternativa, le mafie esercitano una forte pressione sulle ditte aggiudicatarie al fine di ottenere in subappalto una parte consistente dei lavori (ad esempio per i noli a caldo e/o freddo, il movimento terra, il trasporto di materiali, forniture di materie prime, smaltimento dei rifiuti etc). La stessa logica di una ripartizione condivisa si rinviene nei casi di affidamento dei lavori da parte dei consorzi alle imprese consorziate, basata sulla scomposizione della commessa in vari sub-contratti.

La Dia assicura un importante contributo al monitoraggio delle commesse e degli appalti, grazie all’istituzione di una efficiente banca dati di tutti gli appalti pubblici (di cui al DPCM n.193 del 2014). La Dia infatti assicura una rapida istruttoria delle richieste di certificazione antimafia inoltrate dalle prefetture, volte a verificare tempestivamente – senza quindi ritardi nella esecuzione delle opere – l’assetto delle imprese coinvolte e le possibili infiltrazioni mafiose nelle aziende: nel primo semestre 2016 sono stati eseguiti nel complesso oltre 1.000 monitoraggi sulle aziende ed oltre 16.500 accertamenti sulle persone fisiche ad esse collegate. L’attenzione si è concentrata sui grandi lavori relativi ad Expò 2015, al Giubileo della Misericordia e ad una serie di settori particolarmente delicati (ad esempio l’estrazione di materiali inerti), in quanto si tende ad una progressiva estensione dell’azione di monitoraggio, rivolta, oltre che alle imprese impegnate direttamente nella realizzazione delle opere, anche a tutte le attività connesse; in generale, il monitoraggio degli appalti, che include anche gli accessi ai cantieri (nel semestre sono stati sottoposti a controllo 1.750 persone fisiche, 585 imprese e 1.184 mezzi), è assicurato dai Gruppi interforze istituiti a livello provinciale.

La Dia partecipa infine al Comitato di Coordinamento per l’Alta Sorveglianza delle Grandi Opere (CCASGO) che ha promosso un innovativo monitoraggio finanziario di una delle opere ricomprese nel Programma infrastrutture strategiche di cui alla legge-obiettivo), volto ad assicurare il monitoraggio costante di tutte le transazioni finanziarie che intercorrono fra le imprese impegnate nella realizzazione dell’opera.

Attività di contrasto del riciclaggio. Il sistema di antiriciclaggio, delineato dal decreto legislativo n. 231 del 2007, si fonda, da un lato, sulla tracciabilità dei flussi finanziari (attraverso la previsione di modalità standardizzate di registrazione e conservazione delle informazioni che consentano di individuare origine, destinazione e beneficiari dei movimenti) e, dall’altro, sulla partecipazione attiva dei soggetti intermediari abilitati: tali segnalazioni vengono trasmesse dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia (sull’attività della Banca d’Italia e dell’Uif vedi l’audizione del 14 gennaio 2015 svolta dalla Commissione Antimafia) ai fini della successiva elaborazione e controllo dei dati da parte della Dia e della magistratura.

Nel primo semestre del 2016 risultano pervenute 46.587 Segnalazioni di Operazioni Sospette (SOS), che ha dato luogo alla verifica di 127.948 soggetti segnalati o collegati (93.653 persone fisiche e 34.295 persone giuridiche. Le segnalazioni provengono soprattutto dagli istituti di credito (75% circa dei casi) ed interessano per oltre il 50% le regioni settentrionali: le regioni maggiormente interessate sono la Lombardia, la Campania ed il Lazio. Sulla base degli approfondimenti svolti, nel primo semestre 2016 risultano 903 segnalazioni potenzialmente ascrivibili ai gruppi criminali (più del 50% delle quali relative all’’ndrangheta).

Relazioni internazionali. Un capito della Relazione è dedicato alle relazioni instaurate dalla Dia con le omologhe strutture degli altri Paesi per poter realizzare un costante scambio di informazioni ed analizzare compiutamente l’attività svolta da alcune organizzazioni criminali. In questo contesto si inserisce l’iniziativa della “Rete Operativa Antimafia – @ON”, in collaborazione con l’Agenzia Europol, che è stata estesa anche ad altri importanti Paesi come gli Usa, il Canada e il Giappone. La Relazione dà conto puntualmente dei risultati derivanti da tale collaborazione internazionale.

Considerazioni conclusive. La Relazione sottolinea l’evoluzione del fenomeno mafioso e l’importanza assunta, accanto alle tradizionali attività illecite del traffico di stupefacenti e delle estorsioni, dalle attività “legali” (almeno in apparenza) in settori strategici quali l’edilizia (pubblica e privata), i trasporti, la distribuzione commerciale, l’agroalimentare, il turistico-alberghiero, l’assicurativo.

In questo contesto riveste un ruolo essenziale l’attività di fiancheggiamento e supporto di una vasta “area grigia” che mette a disposizione delle organizzazioni criminali la propria professionalità per facilitare il reinvestimento dei capitali illeciti e favorire anche rilevanti forme di evasione fiscale (utilizzando società costituite ad hoc per emettere o ricevere fatture per operazioni inesistenti oppure costringendo a farlo alcune aziende – magari perché vittime di usura).

Ci sono innanzitutto molti professionisti qualificati (avvocati, ingegneri, commercialisti etc) di cui si avvalgano i gruppi mafiosi anche per lo stesso traffico di stupefacenti (che viene perpetrato spesso grazie alle indicazioni di esperti operatori doganali, incardinati nei principali scali portuali, che consentono così di eludere i controlli sui container nelle fasi di sdoganamento delle merci). C’è poi il ruolo svolto dalle imprese che decidono di operare – magari perché inizialmente oggetto di atti di intimidazione – nell’interesse dei gruppi criminali, beneficiando, di contro, di alcuni “servizi” (protezione, liquidità, garanzie nell’aggiudicazione di appalti). Ed infine c’è la collaborazione prestata da amministratori e dipendenti delle amministrazioni pubbliche, utile per ottenere servizi e lavori pubblici oppure autorizzazioni, concessioni e varianti urbanistiche, come testimoniato anche dai numerosi procedimenti avviati per la verifica delle infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni locali.

Nel corso del primo semestre del 2016 risultano 904 soggetti complessivamente denunciati e arrestati per corruzione e concussione (2.000 nell’intero 2015 e 1.700 nel 2014). In crescita anche i soggetti denunciato per lo scambio elettorale politico mafioso (art. 416 bis c.p.): 19 denunce nel primo semestre 2016 (a fronte di 19 dell’intero 2015 e 9 del 2014).

Di fronte a questa realtà così complessa ed in evoluzione la relazione sottolinea la necessità di un ulteriore affinamento degli strumenti attualmente previsti dall’ordinamento, a partire dal “metodo mafioso” previsto come aggravante dell’articolo 7 del decreto legge n. 152/1991: a tale riguardo son ben 1.377 i soggetti denunciati o arrestati nel primo semestre 2016 (2.300 nell’intero 2015; 1600 nel 2014); o al “concorso esterno in associazione mafiosa”, volto a perseguire coloro che contribuiscono al rafforzamento della mafia, pur non facendone organicamente parte.

Essenziale risulta l’attività di prevenzione coordinata svolta da magistratura e forze di polizia, fondata su un’analisi attenta dei dati ed una intelligente integrazione delle informazioni raccolte a vasto raggio. E la Dia è rivolta prioritariamente ad un ulteriore ampliamento delle attività di prevenzione, a partire dal contrasto del riciclaggio, delle infiltrazioni negli appalti pubblici fino all’adozione delle misure di prevenzione patrimoniale.

 

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)