Premessa. La Direzione Investigativa Antimafia ha trasmesso alle Camere la Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla DIA nel primo semestre del 2016 (leggi questa scheda; per la precedente relazione leggi quest’altra scheda). Di seguito sono sintetizzati i passaggi più significativi del capitolo dedicato a Cosa nostra.

Una crisi persistente e una nuova strategia. La sistematica azione di contrasto condotta da magistratura e forze dell’ordine ha da tempo posto Cosa nostra in una situazione di crisi. Crisi che non ha modificato le caratteristiche principali della struttura criminale, “avente un proprio ordinamento, un vasto bacino di reclutamento ed elevate potenzialità offensive”. L’inabissamento, già descritto nelle precedenti Relazioni della DIA, si conferma una scelta strategica della struttura, allo scopo di sottrarsi alla pressione dello Stato seguita agli anni delle grande stragi degli anni Novanta.

Strategia che vede Cosa nostra specializzarsi “nel controllo e nella fornitura di beni e servizi di varia natura”, adottando un “disegno di mercato” selettivo, mirato a soddisfare le puntuali esigenze del mercato criminale, in cui “il rapporto con la controparte risulta spesso basato su un reciproco vantaggio”.

A fianco di questo modus operandi resta la capacità di utilizzare il proprio radicamento e la propria influenza sul territorio. “Cosa nostra riesce così non solo a condizionare gli apparati politico-amministrativi locali – scrive la DIA – ma potendo disporre di consistenti capitali a basso costo, altera inevitabilmente il sistema economico-finanziario”.

Un’organizzazione verticistica e multipolare. Le indagini condotte dalla DIA fanno emergere un’organizzazione che si conferma verticistica, ma nei fatti “multipolare”, che si avvale di “molteplici centri di comando ed opera in uno scenario eterogeneo, in cui si rilevano sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autoreferenziali e, ancor più, la tendenza di famiglie e mandamenti ad esprimere una maggiore autonomia”.

In questo scenario emerge l’insofferenza di Cosa nostra palermitana nei confronti della leadership corleonese, detenuta al 41bis. Le consorterie della provincia di Trapani a loro volta allargano i loro interessi e la propria sfera di influenza sia sul palermitano che sulla governance generale di Cosa nostra. Questo perché le cosche trapanesi si confermano tra le più omogenee e impenetrabili, che mantengono una struttura compatta retta dalla leadership del latitante Matteo Messina Denaro.

Usura, estorsioni, scommesse e stupefacenti. Tra gli affari illeciti gestiti da Cosa nostra, estorsioni e usura si confermano al tempo stesso fonte di finanziamento e strumento di controllo del territorio. Il settore delle scommesse clandestine, praticate tramite reti informatiche e società estere, rappresenta un’altra fonte di guadagno che si affianca al traffico degli stupefacenti, in cui ‘ndrangheta e camorra collaborano come fonti di approvvigionamento. Alcune piazze di spaccio vengono gestite (“non senza frizioni” specifica la DIA) da altri gruppi criminali, perlopiù stranieri. “Oltre che nello spaccio di stupefacenti – sottolinea la DIA – le attività criminali dei gruppi stranieri verrebbero tollerate da cosa nostra perché ritenute tra quelle di secondario interesse, anche con riferimento allo sfruttamento della prostituzione o del lavoro nero”.

Proiezioni territoriali. La riorganizzazione delle famiglie mafiose in provincia di Palermo è proseguita anche nel semestre esaminato dalla Relazione, in modo tale da garantire “un sufficiente raccordo tra le evoluzioni nelle reggenze delle principali famiglie”. Tuttavia, come sopra accennato, viene confermata l’esigenza di rinnovare la leadership, mettendo in discussione i corleonesi. Emerge da parte dei clan palermitani la necessità di “risolvere le questioni del rinnovamento degli organi decisionali e di comando”.

In provincia di Agrigento Cosa nostra si conferma organizzazione unitaria in stretto contatto con la provincia trapanese e soggetti collegati direttamente a Matteo Messina Denaro. “L’analisi dello scenario criminale della provincia conferma una evidente attenzione dell’organizzazione ad attingere ai finanziamenti pubblici, riuscendo a condizionare l’assegnazione delle commesse e ad inserirsi, in forma diretta e indiretta, nella gestione degli appalti e dei subappalti”.

Nella provincia di Trapani, condizionata dalla leadership e dalla latitanza di Messina Denaro, “ i rapporti tra articolazioni criminali mafiose appaiono tuttora connotati da uno stato di pacificazione e di cooperazione: famiglie e mandamenti sembrano preferire, anche in questo caso, una minore esposizione, mantenendo un basso profilo”. Cosa nostra trapanese conferma tra le sue caratteristiche una elevata capacità di mimetizzazione, che le consente di infiltrare e radicarsi nell’economia locale.

In provincia di Caltanissetta prosegue la convivenza tra Cosa nostra e Stidda, organizzazione criminale di tipo mafioso originariamente contrapposta a Cosa nostra. Ora il modello è di collaborazione e contiguità anche tra consorterie un tempo antagoniste. La provincia di Enna viene vista dalle organizzazioni criminali delle altre province come una potenziale area su cui espandersi. Questo crea un conflitto con le famiglie locali che, meno forti e strutturate, provano ad affermare la loro autonomia.

In provincia di Catania persiste una dicotomia fra schieramenti criminali da tempo delineati, da una parte Cosa nostra e dall’altra gli strutturati clan Cappello, Bonaccorsi e Laudani. “Questi ultimi hanno subito, nel mese di febbraio, un forte ridimensionamento in seguito ad un’operazione di polizia denominata Vicerè che ne ha colpito i vertici e attualizzato l’organigramma”. I clan del catanese puntano ad adottare strategie per infiltrarsi nell’economia legale, condizionando l’operato delle pubbliche amministrazioni e con la collaborazione “più o meno spontanea di soggetti del mondo imprenditoriale”.

In provincia di Siracusa il panorama è caratterizzato dall’operatività di due gruppi mafiosi su tutti: i Bottaro – Attanasio e i Nardo-Aparo-Trigila. Entrambi collaborano e sono in stretto contatto con gruppi catanesi. I gruppi mafiosi della provincia di Messina rappresentano “la risultante di una contaminazione criminale che vede interessate cosa nostra palermitana, cosa nostra catanese e la ‘ndrangheta”. La zona si conferma caratterizzata da un generale clima di “fibrillazione”. Tra i vari gruppi il più strutturato e organizzato sul modello di Cosa nostra palermitana si conferma quello dei “Barcellonesi”, originario di Barcellona Pozzo di Gotto. Anche i Barcellonesi come gli altri clan della provincia stanno attraversando una fase di ristrutturazione interna, finalizzata alla “scalata” di giovani leve.

Cosa nostra sul territorio nazionale. Presenze più radicate o sporadiche di Cosa nostra sono presenti su larga parte del territorio nazionale. Il Piemonte è una sede di approvvigionamento per le sostanze stupefacenti, mentre la Lombardia è storicamente una sede dove i clan siciliani sono in grado di mantenere relazioni con ambienti economici e finanziari. Ingerenze e presenze che mirano a infiltrarsi nel tessuto economico vengono registrate nel Nord-Est del Paese, mentre in Emilia Romagna “si sono registrate presenze di esponenti di consorterie palermitane, catanesi e gelesi”. Nel Lazio si conferma la strategia del basso profilo, utilizzata per infiltrarsi nel mondo imprenditoriale attraverso le ingenti risorse economiche a disposizione.

Le propaggini estere. “La leva motivazionale che permea le strategie di azione di cosa nostra risiede innanzitutto nella cospicua disponibilità di liquidità d’illecita provenienza da riciclare e reimmettere nel circuito economico legale – scrive la DIA – Sempre all’estero si segnala un rinnovato interesse di cosa nostra per il traffico internazionale di stupefacenti e per le attività di riciclaggio connesse alla gestione illegale dei giochi e delle scommesse”. Tra i paesi citati Germania, Spagna, Olanda, Malta, Stati Uniti, Canada e Sudafrica.

 

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)