Premessa. La settima edizione del Rapporto Mafie nel Lazio, realizzato dall’Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio, prende in considerazione il periodo che va dal 1° marzo 2021 al 31 maggio 2022.
LE MAFIE NELLA CAPITALE
Da diversi decenni a Roma operano gruppi di criminalità organizzata, con una varietà di forme di coabitazione che spaziano tra cooperazione e conflitto, strategie egemoniche e accordi per la spartizione di settori e campi di attività. Da una parte le mafie tradizionali, dall’altra i gruppi romani autoctoni.
“Il primo ventennio del Duemila segnala una novità per la città di Roma: il riconoscimento dell’esistenza di attività esercitate con il metodo mafioso in capo a uomini che sono tutti romani”.
Nella Capitale sono presente forme di criminalità ibride, ovvero forme diverse dalla vera e propria colonizzazione della struttura della casa madre, mafie autoctone e organizzazioni non mafiose che utilizzano il metodo mafioso. Questi diversi agglomerati talvolta si uniscono per singoli affari, talvolta hanno patti per convivere, raramente entrano in guerra.
Un altro punto chiave è la presenza di quasi tutta la filiera del traffico di droga: dall’importazione attraverso mare, aria o terra, al brokeraggio di alto livello e infine alla distribuzione.
La criminalità romana funziona soprattutto per la rete di relazioni tra quel che è mafia e quel che mafia non è, per questo le figure fondamentali diventano quelle di imprenditori e professionisti. “La vera forza delle mafie sta fuori dalle mafie”.
L’EVOLUZIONE DELLE COSCHE DI ‘NDRANGHETA NELLA CAPITALE E LA PRIMA “LOCALE”
Già dai precedenti rapporti l’Osservatorio aveva individuato come per le attività del gioco e del traffico di droga, la gestione era passata dai semplici emissari a gruppi con radici a Roma. Questo cambiamento desta evidentemente preoccupazioni poiché “il sistema mafioso, quello delle cosche calabresi, ha già mostrato tutta la sua forza nei territori in cui ha scelto di replicare pienamente la propria struttura criminale, tramite l’ormai noto modello nelle locali” che avviene attraverso tre passaggi: clonare dal territorio di origine la struttura criminale che va ad insediarsi nel territorio di espansione, esportare il metodo mafioso e creare relazioni con il mondo non mafioso.
La ‘ndrangheta gioca un ruolo determinante nelle dinamiche criminali romane, dal narcotraffico internazionale sino al reinvestimento dei capitali illeciti. Le cosche interagiscono con le mafie tradizionali e autoctone imponendosi soprattutto nella filiera del narcotraffico, facendo pesare il proprio ruolo di player unico sul mercato internazionale.
A Roma l’inchiesta “Propaggine” della primavera 2022 fa emergere per la prima volta che la ‘ndrangheta ha creato una locale sul territorio; con l’operazione vengono eseguiti molti arresti nel Lazio e in Calabria e si sequestrano 24 tra società, ristoranti, bar e pescherie, in particolare nel quartiere Primavalle. La cosca a cui appartengono tutti gli indagati è quella degli Alvaro e tutti i capi vengono colpiti dalle ordinanze di custodia cautelare: Francesco, Nicola, Antonio e Vincenzo Alvaro, e Domenico Carzo. Al vertice della locale c’erano due capi, una diarchia senza precedenti ma che segna un’altra evoluzione dei clan che si adattano alla natura del territorio. Il primo è Vincenzo Alvaro, originario della provincia di Reggio Calabria, così come il secondo, Antonio Carzo.
Gli inquirenti scrivono: “è risultata fortemente improntata al rispetto delle doti di ‘ndrangheta l’operatività delle locali di Sinopoli e Cosoleto”. Siamo nel periodo in cui le retate della procura guidata da Giuseppe Pignatone spazzano via i quattro “re” di Roma: Massimo Carminati, il camorrista Michele Senese, i Casamonica e il clan Fasciani. Questo vuoto di potere criminale avrebbe spinto i grandi capi della ‘‘ndrangheta a fare il salto di qualità e a mettere radici nella Capitale. In un’intercettazione Carzo dice:” prima c’erano tanti calabresi, ma tutti sparpagliati, ora invece siamo una carovana per fare una guerra”. Le menti pensanti dell’associazione si sarebbero accorte che Roma non vuole capi e quindi avrebbero deciso di iniziare dagli investimenti; Alvaro aveva l’esperienza perfetta per farlo. Il suo punto di forza sarebbe stata la disponibilità di una schiera di professionisti. Egli ha saputo cogliere le opportunità offerte dal lockdown, insieme ad una disponibilità economica di fatto illimitata. Egli rappresentava il dominus assoluto per gli investimenti nl settore delle attività commerciali tanto che si rivolsero a lui anche esponenti di altre cosche di ‘ndrangheta e altri sodalizi criminali. Gli uomini del pianeta Alvaro si sono sempre mossi con estrema discrezione. Pasquale Vitalone è altro uomo importante dell’associazione. Antonio Carzo è un personaggio schivo e attentissimo.
LA CAMORRA, DALLE ORIGINI AL GRUPPO DI MICHELE SENESE
La consorteria riconducibile a Michele Senese, pur mantenendo vivi i legami con ambienti camorristici di provenienza, si è connotata nel tempo di una propria autonomia criminale interagendo anche con criminali locali operando soprattutto nell’area sud est della Capitale. Il processo Affari di Famiglia ripercorre l’ascesa criminale del clan Senese. Un’altra presenza di origine camorristica è quella dei Moccia, che a partire dal 2010 avrebbero iniziato ad investire ingenti capitali soprattutto nel settore della ristorazione nonché in quello immobiliare e caseario.
Di particolare importanza appare l’inchiesta “Petrol-Mafie spa” che ha fatto emergere i convergenti interessi criminali di sodalizi di diversa matrice, formando una vera e propria joint venture criminale. Il business riguardava l’illecita commercializzazione di carburanti e il riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a meri prestanome.
COSA NOSTRA
Una delle famiglie di Cosa Nostra più radicate nella città di Roma è quella dei Rinzivillo, tanto che una recente sentenza della Corte di Cassazione ha sottolineato come il sodalizio sia attivo in Gela e nelle contrade laziali e tedesche. Ovviamente gli affari dei Rinzivillo si sono spostati anche a Roma riciclando i propri guadagni negli appalti pubblici e nella grande distribuzione alimentare e ortofrutticola. Per la prima volta nel panorama siciliano essi hanno mutuato il modello di decolonizzazione della ‘ndrangheta. Il procuratore aggiunto Michele Prestipino ha ricostruito un quadro d’insieme sul significato di questi spostamenti: “se io voglio investire a Roma non ho bisogno di portare la mamma, il fratello e la sorella, posso farlo direttamente con altri soggetti, se si spostano c’è un motivo ed è bene che noi lavoriamo per capirlo fino in fondo”.
L’operazione “Gerione” del 2021 riscontra l’infiltrazione nell’economia legale con una serie di attribuzioni fittizie di aziende operanti nella ristorazione. L’inchiesta delinea una precisa strategia pianificata e poi concretamente realizzata di penetrazione nel tessuto economico della città nell’interesse dell’organizzazione mafiosa palermitana.
Nel febbraio del 2022 inoltre, i carabinieri arrestano Giuseppe Guttadauro nella sua casa nel quartiere vip dell’Axa e il figlio Mario Carlo. Essi avrebbero intessuto rapporti criminali nella Capitale e a Palermo, ed è emerso chiaramente il ruolo autorevole che ha continuato ad occupare Mario Carlo all’interno di Cosa Nostra palermitana, fungendo da referente mafioso in virtù dell’autorevolezza che si era creato.
LE MAFIE DI ROMA
Casamonica
Una delle più importanti presenze mafiose di tipo autoctono è quella dei Casamonica. Il clan attivo nella periferia sud est della Capitale e operativo in diversi settori criminali, nel tempo ha costruito “uno stato di vero e proprio assoggettamento e omertà determinato non solo nelle persone offese, ma anche in larghi settori della cittadinanza romana che ben conosce la fama dei Casamonica”. La loro struttura organizzativa è orizzontale ed equilibrata tra autonomia delle singole famiglie e il comune senso di appartenenza alla stessa associazione, senza che vi sia un “capo dei capi”. I membri di queste famiglie che portano tutte lo stesso cognome, si sono imparentate anche con altre famiglie sinti come i Di Silvio, i De Rosa, i Di Lauro, gli Spada ecc.
I Casamonica hanno forti legami con altri ambienti criminali, rapporti con la ‘ndrangheta e la camorra nonché con esponenti della banda della magliana. Il processo contro il gruppo mafioso di Ferruccio Casamonica, a seguito dell’operazione “Noi Proteggiamo Roma” fa emergere uno spaccato di violenze e pestaggi nei confronti di chi ha contratto debiti con il clan.
La più importante operazione contro la consorteria è stata “Gramigna”, che dopo gli arresti del 2018 è arrivata alla prima sentenza nel 2021 con queste importanti condanne: Domenico 30 anni, Giuseppe 20 anni e 6 mesi, Luciano 12 anni e 9 mesi, Salvatore 25 anni e 9 mesi, Pasquale 23 anni e 8 mesi e Massimiliano 19 anni. Nella lunga e meticolosa requisitoria si ricostruisce la grave sottovalutazione di cui ha beneficiato il clan negli anni fino all’inchiesta Gramigna. Nel processo contro il clan dell’area di Porta Furba, dove il sodalizio ha costituito una vera e propria roccaforte, i giudici sottolineano come le vittime abbiano paura e siano sottoposte al costante timore di vendetta anche se i loro carnefici sono in carcere poiché sanno su quanti sodali possa contare l’associazione. La forza e il controllo del clan di spinge persino dentro al carcere di Rebibbia come si legge da questo estratto: “perché noi, qua dentro il carcere, ce la comandiamo”.
Ostia
“Uno dei versanti territoriali che continua a conservare una spiccata significatività per cogliere le linee evolutive delle presenze mafiose sul territorio metropolitano è rappresentato dal comprensorio di Ostia”, qui hanno numerose attività i Fasciani e gli Spada e accanto a queste si sono radicati gruppi tra qui i napoletani di Ostia. Da tempo è però in atto “un continuo riposizionamento delle zone di influenza come si evince dalla serie ininterrotta di attentati e atti intimidatori che hanno interessato il litorale”.
Ad un certo punto il clan Spada si è trovato in particolare vulnerabilità e quindi costretto a proporre un accordo di non belligeranza col clan di Esposito Marco. Accanto ai Fasciani e agli Spada ha assunto sempre più importante la figura di Michele Senese. I Fasciani e Senese misero in atto una strategia per allontanare definitivamente il clan dei Triassi, molto attivo nel litorale e vicino alla famiglia mafiosa dei Cuntrera/Caruana. Nonostante la gambizzazione di uno di loro, Vito, Carmine Fasciani, quale emissario di Senese, avrebbe proposto a Triassi un accordo per evitare ulteriori vendette, contro i suoi carnefici, Roberto De Santis detto Nasca e Giordani Roberto detto Cappottone, poiché la continua violenza avrebbero avuto risvolti negativi sulle attività di tutti i gruppi criminali a causa dell’aumentato allarme delle forze dell’ordine.
Da questa vicenda nasce il patto di Grottaferrata che rappresentava gli interessi degli Spada da una parte, e di Fabrizio Piscitelli dall’altra, il quale curava gli interessi di Marco Esposito. L’accordo è stato svelato dall’inchiesta “Tom Hagen” della Guardia di finanza, a cui avrebbe partecipato anche l’avvocatessa romana Lucia Gargano, che era l’anello di congiunzione perché conosceva bene gli Spada (era collaboratrice dell’avvocato difensore di numerosi Spada) e anche Piscitelli (era la sua legale di fiducia). Lei è stata condannata per concorso esterno in associazione mafiosa a 6 anni e 8 mesi.
Nasca e Paolo Papagani, imprenditore di Ostia, finiscono in manette per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. In questo delicato contesto il clan Spada continua ad essere una realtà criminale importante. “Il costante assoggettamento delle vittime crea in loro un forte stato di sudditanza psicologica, legato non solo alla violenza ma, soprattutto, alla compattezza e solidità del gruppo nel controllo del territorio di riferimento testimoniato dalla scarsità delle denunce e dalla omertà manifestatasi”.
L’ultima operazione contro gli Spada “Mater Matuta” porta all’arresto di due rampolli del clan Spada, Juan e Francesco.
Il delitto di Diabolik e gli equilibri criminali della capitale
Nel 2019 Fabrizio Piscitelli venne ucciso. L’inchiesta “Tom Hagen” e la prima sentenza contro l’avvocato Gargano raccontano di un Diabolik figura chiave per la nuova pax mafiosa, attraverso il cosiddetto patto di Grottaferrata per garantire la fine degli scontri ad Ostia. La figura di Piscitelli emerge anche nelle carte dell’inchiesta sul clan Madaffari-Gallace, avendo intrattenuto rapporti col boss di ‘ndrangheta Bruno Gallace. Nel 2021 si compie un altro omicidio eccellente, quello di Selavdi Shehaj; egli era a capo di un’organizzazione criminale dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, e aveva già subito un tentato omicidio. L’omicidio di Shehaj, si inserisce nella guerra tra i due gruppi, è secondo i magistrati la risposta al tentato omicidio di Leandro Bennato che i componenti della banda di Diabolik ritenevano responsabile dell’omicidio del suo capo. Durante questo periodo avvengono tentati omicidi sia verso Bennato che verso Fabrizio Fabietti, braccio destro di Diabolik. Altro nome che emerge nella rete di contatti di Leandro è quello di Alessandro Fasciani. Per l’omicidio viene arrestato il boss Giuseppe Molisso, boss romano vicino a Michele Senese, già noto alle forze dell’ordine, per aver fornito l’arma per l’agguato, le indagini sono ancora in corso.
Le organizzazioni criminali albanesi dopo il delitto di Diabolik
I malviventi di origine albanese su gran parte del territorio nazionale dimostrano tipologie organizzative e operative fra loro differenti: possono essere organizzati in piccoli gruppi o avere strutture simili a quelle delle mafie tipiche; utilizzano un efferato uso della violenza e le affiliazioni si basano spesso su legami familiari o sulla provenienza dal medesimo luogo. Il settore di interesse prevalente è il traffico di sostanze stupefacenti, sebbene risultino attivi anche nel traffico di armi, nella tratta di esseri umani e nello sfruttamento della prostituzione talvolta in accordo funzionale con organizzazioni di diversa etnia, inoltre hanno fama di essere affidabili. Essi riuscirebbero infatti a movimentare ingenti quantità di cocaina ed eroina attraverso la cooperazione di connazionali presenti in madrepatria, nel centro America e in altri paesi europei, specie nei Paesi Bassi. Proprio la capacità dei sodalizi albanesi ad operare a livello globale e a disporre di droga a prezzi concorrenziali ha favorito il consolidamento dei rapporti con le organizzazioni mafiose italiane in seno a relazioni che sarebbero agevolate dall’assenza di conflittualità per il predominio sul territorio. Le organizzazioni albanesi spesso si affidano a figure carismatiche come Elvis Demce, Ermal Arapaj, Arben Zogu, Doran Petroku, Daliu Luzlim, alcuni di loro sono stati più volte arrestati per reati associativi connessi al traffico di droga ed altri gravissimi delitti. Negli anni sono cresciuti a fianco alla figura di Piscitelli.
Arben Zogu, detto “Riccardino l’albanese” gode di ampio rispetto e considerazione persino nell’élite della ‘ndrangheta, in particolare nel clan Bellocco di Rosarno.
I carabinieri del gruppo di Frascati hanno colpito due gruppi feroci, armati e in guerra tra di loro, prima che si arrivasse a epiloghi già scritti, capeggiate da Demce e Arapaj; il secondo aveva cercato di espandere la sua sfera di influenza entrando in contrasto col primo.
L’associazione criminale di Demce non teme di usare la forza e di porsi in contrasto con altre organizzazioni criminali alle quali fornisce droga. È del recupero crediti verso la potente famiglia Primavera. L’organizzazione dell’albanese ha una dimensione particolarmente violenta che costituisce lo strumento principale dell’azione su due versanti: quello del recupero crediti derivanti dalla cessione di stupefacenti e quello della conquista di pezzi del territorio da sottoporre al controllo del gruppo.
La carriera criminale di Dorian Petoku è stata favorita dalla detenzione dei suoi capi, Zogu e Demce. Egli ha un legame fortissimo con Piscitelli e Fabietti.
Daliu Lulzim invece durante la sua permanenza in Italia ha eseguito delitti in modo sistematico: reati contro il patrimonio, detenzione di armi, illeciti di falso, traffico di stupefacenti e tentato omicidio.
LE PIAZZE DI SPACCIO E I SISTEMI CRIMINALI
Il sistema di gestione delle piazze di spaccio nella Capitale è un modello rodato, diffuso e conosciuto ai vari gruppi criminali che operano nelle periferie della capitale. Le aziende-piazze di spaccio contribuiscono in misura significativa ad un vasto e diffuso welfare garantendo stipendi e assistenza legale ai propri dipendenti. I punti cardine organizzativi sono: l’utilizzo di sentinelle, la divisione di compiti, l’impiego sempre più forte di minorenne in tutte le attività, la capacità di sviluppare una forza intimidatrice per creare un controllo del territorio. Le piazze di spaccio, come sottolineato anche nei Rapporti precedenti, possono essere chiuse o aperte in base alla presenza di sentinelle, ostacoli fissi ecc.” Gestire le piazze di spaccio in queste zone della capitale implica la capacità di crearle, gestirle e proteggerle. La capacità di tessere alleanze, attraverso matrimoni oppure convivenze, con altre famiglie criminali è uno dei punti di forza dei narco-criminali di Roma che, negli anni hanno creato e rafforzato un welfare criminale parallelo”.
Una delle piazze più importanti è quella di Ponte Nona, che nel 2021 è stata colpita con l’indagine “Limes”. Il gruppo contrastato è quello capeggiato da Christian Ventre, e viene confermata la sua statura criminale e le grandi potenzialità economiche della piazza: il giro d’affari, calcolato dagli inquirenti era di circa 100 mila euro di guadagno al mese. Lo spaccio avviene in appartamenti dotati di porte blindate e sorvegliati da vedette, la disciplina tra spacciatori e vedette è mantenuta con fermezza e violenza. A Ponte Nona opera poi un gruppo criminale costituito intorno alla figura di Claudio Cesarini e la sua famiglia, con importanti legami con gli albanesi, che hanno addirittura predisposto volantini pubblicitari sulla piazza di spaccio. La base logistica è lo spazio antistante un edificio, organizzato militarmente, con vedette e sentinelle che controllano chiunque passi, lo identificano e lo indirizzano ai luoghi di spaccio.
Tor Bella Monaca a San Basilio sono altre due piazze di spaccio popolate da una galassia di gruppi criminali in rapporti anche con importanti famiglie di camorra e ‘ndrangheta, divisi in una logica di spartizione mafiosa dove convivono momenti di accordo operativo con altrettante fasi di conflitto, molti gli episodi di violenza registrati nei rapporti tra i gruppi. In questa zona della Capitale, come in altre periferie romane, è ormai avvenuta una “metamorfosi” e ci si trova di fronte a gruppi di stampo mafioso con contatti con la ‘ndrangheta dei Gallace e propaggini fino al litorale di Anzio e Nettuno. Ci sono famiglie come gli Sparapano e i Moccia, i quali attraverso il matrimonio hanno costituito un solido legame, i Cordaro-Sparapano, i Bevilacqua e le figure carismatiche di Manolo Monterisi, Christian Careddu e Vincenzo Nastasi. Tutti gruppi criminali più volte colpiti dalle indagini, anche se le indagini hanno documentato una straordinaria capacità di recupero e dimostrato di poter comandare anche dal carcere. Contro il clan Cordaro è importante il processo in Corte d’Assise. Nel 2021 scatta un’importante inchiesta della Dda romana sullo scacchiere criminale di Tor bella Monaca che colpisce il gruppo Longo con 51 misure restrittive. A capo del gruppo c’è David Longo, che gestiva in maniera efferata l’interno del clan, contemplando punizioni per gli affiliati che non rigavano dritto; due collaboratori di giustizia sono stati una risorsa fondamentale per conoscere più a fondo l’organizzazione: “ogni settimana vengono rotti i telefonini e si bruciano le schede usate per la gestione dello spaccio, David Longo non usa telefoni… sono adottate una serie di contromisure per evitare il carcere sfruttando la normativa che prevede la possibilità ai tossicodipendenti iscritti al SERT di scontare la pena nelle comunità”.
Nel quartiere di San Basilio opera la famiglia Primavera e il clan di ‘ndrangheta Marando. Tante le occupazioni abusive riconducibili ai Marando ai Papillo anche se durante la primavera scorsa le istituzioni sono riuscite a sgomberare tutte le case occupate dai clan.
La Rustica è un’altra delle piazze di spaccio della Capitale; qui è presente l’associazione criminale guidata da Daniele Carlomosti. Egli gambizzò brutalmente il fratello Simone durante una guerra di famiglia per la gestione della piazza di spaccio. L’associazione conosce e rispetta le gerarchie criminali come si evince dal sequestro di Maurizio Cannone, uomo vicino ai Senese a cui gli uomini di Carlomosti hanno chiesto il permesso prima di poterlo uccidere.
IL LABORATORIO CRIMINALE DI ANZIO E NETTUNO
Continua la latitanza di Antonio Gallace e Cosimo Damiano Gallace, vertici del sodalizio dell’omonimo clan. Dopo la scarcerazione nel 2014, Cosimo Damiano ha ripreso la sua leadership a Guardavalle. I due latitanti sono fratelli di Vincenzo Gallace, storico capo bastone della cosca, che ha radici profonde nella piana dello Stilaro nei comuni di Anzio, Nettuno e nelle regioni Lombardia e Toscana. In questi anni il clan si è oltremodo rafforzato. La sentenza Appia racconta di due figure di fiducia del clan che contano ancora molto nella vita economico-politica di Nettuno. Quello dei Gallace è un clan di peso nello scacchiere criminale del litorale romano, come si racconta nell’inchiesta Equilibri contro il clan Fragalà. Per un lungo periodo, secondo gli inquirenti, i Gallace hanno fornito cocaina alle piazze di spaccio di San Basilio. L’ultima inchiesta che colpisce il clan è del 2021 e viene documentato l’uso di strumenti sofisticati per la comunicazione, chat criptate e mezzi di comunicazione degni dei servizi segreti. Un altro dei fratelli, Bruno, è stato recentemente condannato a 20 anni, si tratta del primo pronunciamento di un giudice sull’asse tra i Gallace e i Bellocco sul litorale sud di Roma. uno dei colpi investigativi più importanti alla ‘ndrangheta arriva però agli inizi del 2022, con le ordinanze di custodia cautelare a carico di 65 persone, tutti uomini del clan Gallace e della locale di Santa Cristina d’Aspromonte di Anzio e Nettuno costituente il distaccamento della locale di Santa Cristina d’Aspromonte. Tra gli arrestati anche due carabinieri del nucleo investigativo. Le manette scattano per il capo della ‘ndrangheta di Anzio e Nettuno, Giacomo Madaffari, detto Giacomino. Al vertice della locale ci sono altri due esponenti di spicco, Bruno Gallace, e l’imprenditore Davide Perronace detto il capellone. Il processo di colonizzazione del litorale romano da parte dei nuclei delle famiglie Gallace-Perronace-Tedesco-Madaffari è pertanto consolidato e risale agli anni 50-60. “i Gallace dominano il territorio di Anzio e Nettuno e Giacomo ricopre il ruolo di capo locale con il consenso dei Gallace”. Il controllo del territorio di Anzio e Nettuno esercitato dal clan calabrese si manifesta in molte vicende, arrivando anche a prevenire conflitti con gruppi minori. Il clan ha dispiegato la sua azione contaminando anche il tessuto sociale-economico e politico locale. Giova sottolineare che la Prefettura di Roma ha insediato in seno ai Comuni di Anzio e Nettuno due commissioni di accesso per verificare l’esistenza del condizionamento esterno di tipo mafioso.
Sempre nello stesso territorio hanno operato anche diramazioni del clan calabrese dei Bellocco. Nel quartiere Europa, la piazza di spaccio è gestita da esponenti del clan Spada-Di Silvio. Le sentenze definitive relative all’inchiesta Sfinge hanno statuito l’operatività in queste realtà locali dei clan dei casalesi. Si sono inoltre visti all’opera anche esponenti del clan degli Esposito. La famiglia Sparapano è inoltre radicata anche nel contesto territoriale di Nettuno.
LATINA
L’istituzione di un pool della Dda di Roma destinato alla provincia di Latina, unitamente all’apporto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ha cambiato in modo sostanziale sia l’approccio investigativo che l’analisi delle criminalità organizzata presente sul territorio. Si è innescata una collaborazione sempre più stretta con la Dda di Napoli, la quale, seguendo l’espansione geografica ed economica dei clan campani, ben conosce l’area del sud del Lazio, tradizionale feudo della criminalità organizzata di Napoli e Caserta.
“Risulta confermata la presenza di un significativo numero di organizzazioni criminali qualificabili ai sensi dell’art. 416 bis c.p., appaiono tuttavia accomunate dall’utilizzo del metodo mafioso per conquistare e dividersi il mercato illegale ed intervenire attivamente su quello legale”. Vige in un simile pianeta criminale una sorta di pax, dove l’episodio violento eclatante è attuato solo se inevitabile. I distaccamenti delle mafie tradizionali presenti sul territorio, pur avendo una loro autonomia nell’operare, hanno conservato i legami e il modus agendi delle associazioni da cui traggono origine. Ciò ha fatto sì che esse, nel periodo preso in considerazione dal presente lavoro, fossero qualificate anche giuridicamente quali associazioni di tipo mafioso, come accaduto per la famiglia dei Di Silvio a Latina, sulla quale più sentenze, a partire dal 2019, hanno confermato tale conformazione.
La città di Fondi, oltre a essere condizionata economicamente per l’inserimento mafioso nel Mof, è uno snodo fondamentale del traffico di droga come delineato nell’operazione di cattura da parte della polizia italiana e brasiliana di un elemento di spicco del clan Zizzo, egemone nel territorio di Fondi e del basso Lazio. In più con l’operazione “Babele”, si descrive bene l’assetto di supermercato della droga ad Aprilia.
In più operazioni del 2021 gruppi diversi riferibili all’area di Fondi vengono individuati dalle Dda di Roma e Napoli, quali importanti elementi nello scacchiere del traffico di droga. Il 2021 conta una sequenza impressionante e al tempo stesso esplicativa della presenza di gruppi criminali organizzati nell’area pontina. Il clan Antinozzi nasce dalla scissione di una mafia tradizionale del posto; il clan Mendico-Riccardi, come ricostruito con sentenza definitiva emessa in seno al procedimento denominato “Anni Novanta”, rappresenta la proiezione fuori dal territorio di origine del clan dei casalesi. Per quanto riguarda, invece, la presenza stabile di figure di spicco della criminalità organizzata campana sul litorale pontino, fenomeno risalente nel tempo; si è concluso il processo per l’omicidio di Gaetano Marino che viene ricondotto nel contesto della faida di Scampia. Sempre in riferimento a importanti sodalizi l’inchiesta “Touch&Go” nei confronti di 22 indagati tra cui Domenico e Ferdinando Scotto, quali capi dell’associazione e storicamente legati all’alveo camorristico del clan Licciardi, poi transitati nel clan Sacco-Bocchetti, è contestata un’associazione armata finalizzata al traffico di stupefacenti. Se sul capoluogo della provincia di Latina si sono accesi i riflettori sui clan autoctoni di origine rom, il sud pontino continua ad essere una sorta di estensione della criminalità campana e ha destato clamore l’agguato ai danni di Gustavo Bardellino, nipote di Antonio, fondatore del clan dei casalesi. Le indagini della Dda di Roma sono tuttora in corso.
Se sul fronte del condizionamento dell’economia e della riconoscibilità e pericolosità sociale dei clan grandi passi in avanti si sono fatti già a partire dal 2014 con la sentenza Caronte, solo nel 2021 si avrà chiaro il quadro dei tentacoli dei clan sulla politica, per l’attuazione di due procedimenti per voto di scambio. A Latina avviene la più importante rivoluzione culturale nell’analisi del fenomeno della criminalità organizzata riguardante clan autoctoni e i loro legami con l’economia e le professioni, spesso anche con una parte della politica. Nel 2021 si è ricostruito minuziosamente il dominio del sodalizio Di Silvio riferito alla figura cardine di Armando nel quartiere di Campo Boario. Nel processo principale “Alba Pontina” si è proceduto contro 29 imputati per il reato di associazione mafiosa relativo alla compagine facente capo ad Armando. Su di lui alcuni passi della sentenza scrivono: “alla fama criminale e all’esercizio della violenza si è accompagnata la capacità di penetrazione nei confronti di ambienti della politica e dell’amministrazione locale, evidenziatasi in una significativa ingerenza nella campagna elettorale di diversi candidati alle consultazioni amministrative del 2016 nei comuni di Latina e Terracina, culminata in alcuni episodi di vera e propria compravendita del consenso elettorale”. Dall’inchiesta “Scheggia” del 2020 viene messo alle misure cautelari l’ex consigliere reginale del Lazio Gina Cetrone e tre appartenenti al clan Di Silvio. Per tale procedimento è in corso il dibattimento al Tribunale di Latina. All’inizio del 2021 il Gup di Roma ha rinviato a giudizio 3 persone per il reato di voto di scambio riferito alle elezioni amministrative di Latina del 2016. Questa è la costola politica di “Alba Pontina”, nella quale l’amministrazione comunale si è costituita parte civile. Tre gli imputati tra cui un candidato a quelle elezioni. Il 13 luglio 2021 è stata eseguita una misura cautelare personale per il reato di voto di scambio politico mafioso in relazione all’intervento del clan Di Silvio per garantire pacchetti di voti nelle aree di influenza del clan a un candidato alle elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio Comunale di Latina del 5 giugno 2016, in seguito divenuto europarlamentare, attraverso la mediazione di un imprenditore operante nel settore rifiuti, interessato ad ottenere una posizione monopolistica nel territorio di Latina. Il processo con rito immediato è iniziato davanti al Tribunale di Latina a marzo 2022 a carico di Raffaele Del Prete, imprenditore del settore dei rifiuti, ed Emanuele Forzan, suo collaboratore ed ex coordinatore della Lega a Sezze Romano. Fungono da prova per questo procedimento, oltre alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Agostino Riccardo, alcune intercettazioni di un altro procedimento della Procura di Latina, denominato “Touchdown” ed inerente a episodi di corruzione nel Comune di Cisterna di Latina.
Nel periodo in considerazione si sono realizzati anche importanti snodi processuali su omicidi riconducibili al periodo della cosiddetta “guerra criminale pontina” che ha visto la contrapposizione armata tra organizzazioni col tentativo dei soggetti di etnia non rom di soppiantare le famiglie Ciarelli-Di Silvio che detenevano di fatto il controllo delle principali attività criminali sul territorio. Ben undici anni dopo quella guerra si è arrivati a una ricostruzione più approfondita, e nel 2021 sono state eseguite misure cautelari personali nei confronti di presunti autori di uno degli omicidi di quella faida, l’omicidio Moro, per cui sono accusati Ferdinando Ciarelli, Andrea Pradissitto e Simone Grenga attestata anche la configurabilità dell’aggravante mafiosa.
Lo spazio “disponibile” sulle piazze di spaccio e sul controllo della città creatosi dopo gli arresti dei fratelli Travali con l’indagine “Reset”, e il pentimento di alcuni soggetti rilevanti nell’organizzazione del clan autoctono hanno fatto sì che fosse possibile un ritorno in grande stile di Giuseppe Di Silvio detto Romolo, il quale è la figura di spicco e primo indagato nel procedimento “Scarface” che a ottobre 2021 ha portato a 33 arresti. La sua figura è talmente importante che i suoi fratelli detenuti a Rebibbia, organizzano periodicamente dei summit per poi relazionare a lui tramite i parenti.
L’autunno del 2021 apre su Latina una serie di squarci di notevole importanza al fine di un’analisi temporale del fenomeno della criminalità proiettato sui livelli economici. Si conclude la prima fase dell’indagine “Ottobre rosso” che ruota attorno alle figure di Gianluca Tuma e Costantino Di Silvio. Tuma aveva ricominciato a lavorare sottotraccia per imbastire una nuova rete di prestanome e società. Va ricordato che Tuma è tuttora sotto processo in uno dei filoni dell’inchiesta “Don’t touch” per le minacce ad un giornalista. Il legame tra criminalità e diversi livelli dell’economia pontina è una costante. Come dimostra, tra gli altri, il filone bis dell’indagine “Arpalo”, in cui è coinvolto l’ex parlamentare Pasquale Maietta, e il successivo filone “Arpalo2” dove si contesta l’esistenza di “un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali di riciclaggio in più di uno stato”, nel quale gli imputati a vario titolo “in concorso fra loro e con altri soggetti rimasti ignoti impegnavano denaro in attività economiche e finanziarie provenienti da delitti tributari”.
Le maggiori emergenze ambientali continuano ad essere il traffico e lo stoccaggio di rifiuti. Viene scoperto un gruppo considerato vicino ai casalesi che voleva inserirsi su una serie di gare d’appalto dei rifiuti e sul porto di Gaeta per poi spedirne da lì una parte in Bulgaria. A latere di quest’indagine c’è anche la confisca di beni al principale imputato per un milione e mezzo di euro. È poi pendente il procedimento per la discarica abusiva realizzata all’interno di una cava di Aprilia.
Intanto nel settore dell’agricoltura negli ultimi anni si è fatto spazio un fenomeno di sfruttamento del lavoro sempre più ampio nonostante iniziative di deterrenza. L’inchiesta “No Pain”, su un analogo filone è alle fasi finali del processo a carico di 37 persone condannate per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al falso. Si tratta dii una delle più severe sentenze di sempre in questo ambito e sicuramente la prima del genere nel Lazio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Nel 2021 sono state nove le interdittive di cui due nei confronti di altrettante società cancellate dalla white list. Merita senza dubbio attenzione l’analisi sequenziale avviata su cinque società di mediazione, operanti a vario titolo nel Mof di Fondi. L’aggressione dei patrimoni illeciti è stata una delle caratteristiche fondanti dell’attività investigativa, e la riprova dell’espansione nel territorio del basso Lazio dei più importanti sodalizi criminali campani. Nei Comuni di Formia e Sperlonga sono stati confiscati beni appartenuti all’avvocato Cipriano Chianese e sono passati nei loro patrimoni alcuni appartamenti e un albergo. La provincia di Latina annovera un patrimonio di beni confiscati amplissimo e di elevato valore economico. Nel 2021 son stati confiscati 36 beni e di questi 16 sono stati assegnati ad amministrazioni locali e nazionali.
FROSINONE
Nella provincia di Frosinone appare prevalente la presenza di gruppi di origine camorristica, soprattutto dei casalesi. A inizio 2021, nell’ambito dell’inchiesta “Autoriciclo”, sono state attuate misure restrittive nei confronti di 17 persone ritenute responsabili di associazione per delinquere, evasione e frode fiscale. Inoltre, è stato disposto il sequestro preventivo di beni per un valore di oltre 13 milioni di euro.
Resta sempre al centro degli interessi dei clan l’attività di spaccio su larga scala, come si evince dalla recente sentenza del 2022 con rito abbreviato, che ha portato a un totale di 145 anni di carcere inflitti a 27 dei 28 imputati per i reati di spaccio, estorsione e riciclaggio.
Nel territorio provinciale hanno poi trovato rifugio numerosi latitanti, come dimostrano gli arresti avventi nel recente passato di esponenti di spicco legati al clan Amato-Pagano, Polverino e dei casalesi. Analogamente al territorio pontino, anche nel frusinate ci sono proiezioni delinquenziali campane con i casalesi e i Mallardo. Nell’area di Cassino invece troviamo sempre i casalesi, gli Esposito di Sessa Aurunca, i Belforte di Marcianise, i Licciardi, i Giuliano, i Mazzarella, i Di Lauro e i Gionta di Torre Annunziata. Si registra contemporaneamente anche la presenza di propaggini criminali autoctone rappresentate principalmente dalle famiglie Spada e Di Silvio. Nel 2022 la Dia e la Sezione Operativa dei Carabinieri di Cassino, insieme alle Procure, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di confisca beni patrimoniali del Tribunale di Roma nei confronti di 9 soggetti appartenenti al nucleo familiare di etnia rom Spada-Morelli, stanziali nel basso Lazio, già noti per appartenere a un sodalizio criminale. Nel provvedimento spicca la figura di Maria Spada, che aveva specifiche mansioni nel fissare i prezzi e nel quantitativo di droga da cedere; personaggio tanto importante che la piazza di spaccio dove operava veniva chiamata in gergo “Piazza zia Maria”.
Nel carcere di Frosinone, nel 2021 è avvenuto un episodio tra i più gravi registrati nelle case circondariali. Un detenuto è stato rinchiuso in una cella sequestrato e picchiato. La vittima Alessio Peluso, è un esponente di spicco della criminalità organizzata campana. La Procura responsabile ha chiesto il rinvio a giudizio per Marco Corona, esponente di due clan napoletani, Genny Esposito, figlio di un boss dei Licciardi, e due albanesi: Andrea Kercanaj e Blerim Sulejmani. L’aggressione ebbe un seguito su cui tuttora si sta indagando perché Peluso riuscì a ricevere una pistola all’interno del carcere poi utilizzata per sparare all’impazzata contro i suoi aggressori, senza però alcun ferimento.
(a cura di Riccardo Datteo,
corso di laurea magistrale in Amministrazioni e Politiche Pubbliche – Università di Milano )