Premessa. La Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ha presentato a giugno 2017 la Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo luglio 2015 – giugno 2016. Di seguito viene sintetizzato il capitolo dedicato all’analisi della tratta di esseri umani ad opera delle organizzazioni criminali.

Quadro generale. “La schiavitù esiste ancora sebbene sia vietata nella maggior parte dei Paesi dov’è praticata” è una frase contenuta nell’introduzione di questa sezione: è un fenomeno che va ben al di là delle cifre ufficiali, dato che, svela il documento, la maggior parte delle vittime si rifiuta di rendere testimonianza perché intimorita per le probabili ripercussioni, ma anche perché non si fidano delle forze di polizia del proprio Paese. Viene inoltre sottolineato come siano le fasce più deboli della popolazione, in particolare donne e bambini, il prezzo più alto in relazione a questo tema di allarmante attualità.

Inizialmente il documento prende in esame la realtà internazionale nel suo insieme, con dati tratti nella grande maggioranza dal Global Report on Trafficking in persons del 2016, redatto a cura dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e la Criminalità (UNODC). In particolare, risulta che nel periodo 2012 – 2014 oltre la metà delle oltre 60.000 vittime di tratta registrate a livello mondiale siano state coinvolte nello sfruttamento della prostituzione o di altre forme a carattere sessuale; circa il 38%, dato in costante crescita nell’ultimo decennio, sono state sfruttate per fini lavorativi; altre forme di sfruttamento si attestano all’8% dei casi. Per quanto riguarda genere ed età, le donne rappresentano ancora la maggioranza assoluta (il 51% delle vittime di trafficking sono donne adulte), seguono uomini (21%) bambine (20%) e bambini (8%). Anche se il genere femminile costituisce ancora il 71% delle vittime di tratta, il dato si dimostra in netta diminuzione: nel 2004 le donne e bambine vittime di tratta costituivano l’84% del totale. Questa diminuzione è compensata, ovviamente dall’aumento degli uomini vittime di tratta, in netta crescita e in grande maggioranza sfruttati a fini di lavoro forzato. Relativamente ai trafficanti, essi sono prevalentemente di genere maschile e generalmente condividono nazionalità, provenienza etnica e lingua parlata con le loro vittime: tali comunanze generano fiducia nelle vittime e le spingono nelle mani dei trafficanti. Purtroppo le cifre riferite a questo ignobile commercio sono in costante crescita, ed anche il Trafficking in Persons Report del 2016, a cura del dipartimento di Stato americano, conferma i dati e le statistiche poco rassicuranti presenti nel documento dell’ONU. Nella relazione statunitense si sottolinea inoltre il ruolo fondamentale svolto dalle vittime ai fini del contrasto di questo delitto. Con lo scopo di spingere tutti i Paesi del mondo verso una più efficace azione di contrasto, nel 2015 l’UNODC ha invitato i governi di tali Paesi ad uniformare e rendere effettive le rispettive politiche in materia; in tale occasione, l’Ufficio delle Nazioni Unite ha anche istituto una giornata mondiale contro la tratta di esseri umani al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale.

La situazione in Europa. La relazione si basa in gran parte sui dati ricavati dall’ultimo rapporto Eurostat in materia di traffico di esseri umani. I numeri a livello di Unione europea parlano di un fenomeno che ha avuto come vittime, nel triennio 2010 – 2012, circa 30.000 persone, in grande maggioranza donne, di cui oltre 1.000 bambini. Rispetto al dato globale, quello riferito all’Unione vede coinvolte un maggior numero di donne (67% del totale), mentre i dati riferiti agli uomini, alle bambine e ai bambini si attestano su cifre più basse, rispettivamente al 17%, 13% e 3%. Di queste la quasi totalità, il 95% per la precisione, sono vittime di tratta a fini sessuali. Il 65% delle vittime registrate risultano avere la cittadinanza di uno degli Stati membri: ai primi cinque posti di questa triste classifica si piazzano Romania, Bulgaria, Paesi Bassi, Ungheria e Polonia. Per quanto riguarda i cittadini dei Paesi extracomunitari essi provengono in maggior misura da Nigeria, Brasile, Cina, Vietnam e Russia. Questi dati sono ovviamente riferiti alla parte emersa del fenomeno, ma dai dati si evince la tendenza dei cittadini di determinate nazionalità a collaborare maggiormente con la giustizia, ma anche la maggiore attenzione che alcuni Stati membri dedicano a questo fenomeno rispetto ad altri. Per quanto riguarda i trafficanti, circa il 70% sono di genere maschile, e, analogamente ai dati sulle vittime, circa i 2/3 del totale sono composti da cittadini comunitari (69%), soprattutto bulgari, romeni, belgi (queste tre nazionalità da sole contribuiscono al 59% del totale), tedeschi e spagnoli. Il restante 31% è composto in prevalenza da cittadini di Nigeria, Turchia, Albania, Brasile e Marocco. Questi dati, combinati con la grande crescita delle condanne per questo tipo di reato, dimostrano l’accresciuta attenzione degli Stati membri nei confronti di questo fenomeno. Allo scopo precipuo di contrastare la tratta di esseri umani, l’Unione ha approvato la direttiva 2011/36/UE; nel maggio 2016 una risoluzione del Parlamento Europeo ha valutato l’efficacia dello strumento e delle politiche nazionali di contrasto alla tratta. Ne emerge un quadro desolante, dove emergono l’inadeguatezza delle sanzioni comminate contro i trafficanti rispetto ai possibili guadagni e la mancanza di strumenti adeguati, in primo luogo una non adeguata armonizzazione legislativa, per contrastare congiuntamente il problema. Fra i suggerimenti indirizzati agli Stati si segnala il rafforzamento della cooperazione ai fini della confisca ed il congelamento dei beni dei trafficanti, depotenziando la convenienza di un’attività che passerebbe da “alto profitto, basso rischio” a “basso profitto, alto rischio” e contestualmente devolvere tali somme, sotto forma di aiuti, alle vittime.

La situazione in Italia. La relazione pone al centro del sistema di contrasto alla tratta di esseri umani il Piano Nazionale di Azione, adottato nel 2016 in applicazione della direttiva 2011/36 UE. Seguendo un approccio unitario a livello europeo, l’obiettivo strategico del Piano è quello di migliorare la risposta nazionale al fenomeno della tratta, operando nei settori della prevenzione del reato, della persecuzione dei crimini e nella protezione ed integrazione delle vittime. A tal fine è prevista un “Cabina di regia” presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in nome del coordinamento dell’azione nazionale. Sulla base delle indicazioni del Piano stesso, sono state elaborate dal Ministero dell’Interno delle linee guida funzionali all’identificazione delle vittime di tratta nell’ambito della procedura di determinazione della protezione internazionale; questo passaggio è infatti considerato fondamentale sia allo scopo di reprimere i trafficanti tramite le testimonianze delle vittime, ma serve anche, e soprattutto, per fornire assistenza materiale e psicologica alle vittime stesse. In Italia operano prevalentemente trafficanti di origine romena, nigeriana, albanese ed italiana, ed anche le vittime, in prevalenza, sono di cittadinanza nigeriana, romena ed italiana. I dati a disposizione confermano anche sul nostro territorio una tendenza di crescita sia dei reati di traffico che dei procedimenti in corso.

Il ruolo delle organizzazioni criminali. In Italia, così come in Europa, il fenomeno della tratta delle donne si traduce, nella stragrande maggioranza dei casi ed in percentuali nettamente più elevate rispetto alla media mondiale, in reati di sfruttamento della prostituzione. Il nostro Paese assume rilevanza, nell’ambito dei fenomeni di tratta, sia come destinazione finale che come luogo di transito verso il resto d’Europa. Tutti i passaggi relativi al viaggio, l’immigrazione e la strutturazione del business sono appannaggio di organizzazioni criminali transnazionali etniche, sia comunitarie che straniere, descritte a più riprese nella relazione come organizzazioni stabili, strutturate e formate da individui di diverse nazionalità. I vertici di queste organizzazioni solitamente risiedono nel Paese di origine, ed in Italia vengono mandati solo gli ultimi anelli della catena, i quali talvolta sono anche italiani; solitamente, i principali Paesi di origine delle vittime di tratta coincidono con quelli dei network criminali. Recenti analisi investigative hanno permesso l’emergere di alcuni nuovi fattori, fra i quali si annoverano il crescente utilizzo di internet e dei social network sia per il reclutamento che per lo sfruttamento delle vittime, un aumento dei casi di sfruttamento per motivi lavorativi, il progressivo passaggio dalla violenza fisica a quella psicologica da parte degli aguzzini ed il crescente ruolo assunto dalle donne in questo genere di organizzazioni. Tali indagini hanno inoltre prospettato la possibilità di uno sfruttamento del sistema di accoglienza ed asilo italiano per far arrivare le vittime di tratta maniera sicura in Italia; queste, una volta giunte in un centro di asilo, possono essere comodamente recuperate dai “criminali” e sfruttate. Tuttavia, in linea con le tendenze internazionali, anche nel nostro Paese sono in evidente crescita i casi di sfruttamento lavorativo, che in questo caso interessano generalmente uomini adulti. Tale forma di schiavitù risulta essere meno evidente, più subdola e di difficile identificazione. In minore misura la tratta è finalizzata all’accattonaggio e alla commissione di reati di microcriminalità: per questi compiti, invece, tendenzialmente sono preferiti i bambini

Fra queste organizzazioni criminali un ruolo predominante è assunto dalla criminalità nigeriana, da tempo stabilitasi nel nord Italia e recentemente stanziatasi anche nel sud del Paese, la quale è in possesso di una struttura piuttosto stabile, collaudata e capillare. Oltre ai reati di tratta essa è solita operare nei settori del traffico internazionale di stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione e nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un rapporto dell’Agenzia Europea si Supporto all’Asilo (EASO) dell’ottobre 2015 pone l’accento sul caso nigeriano, indicandolo come esemplificativo ed in un certo senso trainante per il mercato del sesso in Europa, e di riflesso per la tratta di donne nigeriane che riforniscono questo abominevole mercato. Le organizzazioni criminali nigeriane, composte anche da individui provenienti da altri Paesi africani, come Gambia e Paesi del Mahgreb, sfruttano diversi tipi di modus operandi: è possibile divenire vittime per debiti, con l’inganno o per altri motivi; gran parte delle donne vittime di tratta sono state reclutate da un conoscente o addirittura un parente. La relazione fornisce descrizioni molto crude e dettagliate su come si articola il processo di reclutamento delle vittime, nel quale grandissima importanza è rivestita delle madam, trafficanti di sesso femminile. L’assoggettamento delle vittime avviene soprattutto tramite minacce, fisiche e psicologiche, attraverso riti di magia nera (juju o voodoo), ed un sistema di debito molto oneroso riguardante le spese di viaggio per arrivare in Europa. Anche una volta pagato tale debito, estinguibile in vari anni, le vittime rimangono soggetti vulnerabili ed abbandonate a sé stesse. Questo dà alle madam un grande potere, sia prima che dopo l’estinzione del debito, il quale è quantificato e gestito proprio da queste figure.

Nell’ottica del contrasto di tali dinamiche, ormai stabilizzatesi nel nostro Paese, l’Italia ha promosso un’intesa bilaterale di reciproco aiuto, sia a livello giudiziario che investigativo, con la Repubblica Federale della Nigeria. Sebbene tale intesa non sia stata formalizzata a livello pattizio, il governo nigeriano è ritenuto interlocutore stabile ed affidabile dalle istituzioni italiane, e la sua collaborazione è ritenuta imprescindibile al fine di contrastare i fenomeni appena descritti. Il lungo paragrafo dedicato alla tratta di esseri umani si chiude con una serie di casi, ritenuti esemplificativi, che hanno coinvolto le DDA di tutta Italia.

(a cura di Francesco Casella, Master in analisi, prevenzione e contrasto della corruzione e della criminalità organizzata – anno 2016 – Università di Pisa)