Premessa. La terza edizione del Rapporto Mafie nel Lazio, realizzato dall’Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio, prende in considerazione il periodo che va dal luglio 2016 al 31 dicembre 2017 (per l’edizione precedente del Rapporto clicca qui).

Nella fase introduttiva del Rapporto si fa una panoramica sulla presenza storica delle organizzazioni mafiose tradizionali (Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra) nel territorio regionale e, in particolar modo, nella città di Roma. Si sottolinea, nello specifico, come tale presenza risalga al periodo compreso tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 dello scorso secolo, e come, pur essendo questi gruppi criminali significativamente impegnati sul territorio capitolino nel riciclaggio e reimpiego dei proventi derivanti dalle attività illecite, essi mantengano comunque una porzione consistente del loro ambito operativo rivolta verso la gestione di quei traffici illeciti “tipici” ed invece assolutamente preponderanti nelle regioni d’origine: traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, usura, ecc. Nel periodo cui si riferisce il Rapporto in oggetto si segnala, in particolare, una rediviva azione criminale da parte della mafia siciliana, segnatamente del clan Rinzivillo, originario di Gela (Cl). Quanto poi alle consorterie criminali di matrice ‘ndranghetistica, viene messo in evidenza quello che è stato definito un “cambiamento di fase” nella presenza e nel modello di gestione delle attività illecite da parte delle cosche calabresi. Sebbene non vi sia attualmente prova dell’esistenza di locali di ‘ndrangheta all’interno della città di Roma, infatti, la progressiva stabilizzazione in quest’area di segmenti di ‘ndrangheta consegna un dato: le ‘ndrine hanno deciso di stare su Roma in maniera diversa rispetto al resto del centro-nord. Ma questo non sembra in alcun modo corrispondere ad una minore incisività della propria azione.

Le mafie di Roma. Dal 1990 ad oggi, sul territorio romano, in particolare sul litorale corrispondente al X Municipio della Capitale, ha operato la consorteria criminale riconducibile ai Fasciani, gruppo di origine abruzzese avente il suo vertice in Carmine Fasciani. Il sodalizio, fino alla recente ed importante azione di repressione della magistratura, era essenzialmente dedito all’usura, le estorsioni, il controllo di intere piazze di spaccio, le infiltrazioni negli apparati amministrativi per l’assegnazione di abitazioni popolari nonché il controllo delle attività balneari di Ostia e la gestione delle slot machine.

L’azione dei Fasciani, negli anni, si è snodata e rafforzata anche in interazione con un altro gruppo criminale operante sul territorio ostiense e nella Capitale. Si tratta della famiglia Spada, consorteria di origine nomade, oggi radicata ad Ostia, imparentata con il gruppo Casamonica, con il quale mantiene stretti rapporti criminali. La crescita del gruppo Spada in questa zona e la sua significativa disponibilità nel commettere reati cosiddetti “di manovalanza” hanno spinto Carmine Fasciani – secondo quanto emerso da diversi processi – ad “inglobare” la famiglia nel suo gruppo criminale. Le recenti vicende giudiziarie con protagonisti i Fasciani, inoltre, stanno determinando un riposizionamento dei rapporti di forza su Ostia, con nuovi spazi aprentisi per il clan Spada. Scenari ed equilibri che sembrano infine trovare un quadro interpretativo complessivo nella recente operazione, denominata Eclissi, portata a termine nella notte tra il 24 e il 25 gennaio del 2018 in un’azione congiunta di polizia e carabinieri, coordinati dalla locale Direzione distrettuale antimafia. Si tratta di un’inchiesta che per la prima volta contesta al gruppo Spada, dopo diversi episodi efferati, il reato di associazione mafiosa; lo stesso contestato a più riprese, ma con alterne vicende, al gruppo collegato dei Fasciani.

Nel febbraio del 2015 l’inchiesta Tulipano aveva portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 61 soggetti per i delitti di associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga ed altri delitti. Le indagini del nucleo investigativo dei Carabinieri del comando provinciale di Roma hanno individuato un’organizzazione di stampo camorristico – come scrissero i magistrati della Direzione nazionale antimafia nella loro relazione annuale – «capeggiata da Domenico Pagnozzi, per lungo tempo al vertice della omonima consorteria familiare operante nelle province di Avellino e Benevento, strettamente legata al clan dei Casalesi. Trasferitosi a Roma, Pagnozzi vi aveva costituito un proprio e autonomo gruppo criminale caratterizzato dall’integrazione tra soggetti di origine campana e criminali romani, del tutto sganciato dalla originaria matrice camorrista». Al gruppo criminale il Gip distrettuale di Roma, Tiziana Coccoluto, aveva contestato il delitto associativo di stampo mafioso e la specificità dell’organizzazione: un tertium generis rispetto alle mafie delocalizzate e alle mafie autoctone. Nel periodo preso in esame dal Rapporto, per la precisione il 21 dicembre 2016, è stata emessa la sentenza di primo grado di detto procedimento, che ha confermato per intero l’impianto accusatorio.

Tra le principali consorterie criminali autoctone attive sul territorio romano si rileva la famiglia dei Casamonica, un gruppo di origine nomade da decenni stanziale nella Capitale. «I Casamonica vengono deportati a Roma durante il fascismo — ha spiegato il magistrato Guglielmo Muntoni. Si tratta di un fenomeno criminale complesso, composto da diverse famiglie: Casamonica, Di Silvio, Di Guglielmo, Di Rocco e Spada, Spinelli, tutte strettamente connesse tra loro sulla base di rapporti fra capostipiti, a loro volta sposati con appartenenti alle varie famiglie. Complessivamente parliamo di un migliaio di persone operanti illegalmente a Roma». Queste famiglie operano principalmente nella periferia sud di Roma (Tuscolana, Anagnina, Tor Bella Monaca e altre aree meridionali della città), ma sono presenti anche nella zona della Borghesiana, nonché in località dei Castelli Romani, a Ciampino, Albano, Marino e Bracciano. I Casamonica sono molto attivi nel settore dello spaccio di stupefacenti, praticano attività usurarie gestite tramite numerose società finanziarie e di recupero crediti, appositamente costituite anche per le truffe. Il quartier generale del gruppo, come dimostrato dalle numerose indagini che lo hanno riguardato, è nella borgata Romanina, un popoloso quartiere posto a ridosso dello svincolo del Grande raccordo anulare, verso l’autostrada A/1 Roma-Napoli. Qui il clan ha costituito una “enclave” fortificata creando una sorta di mercato permanente per i tossicodipendenti di tutta l’area sud di Roma e per quella dei Castelli Romani.

Nel periodo preso in esame dal Rapporto dell’Osservatorio, l’autorità giudiziaria ha proceduto all’arresto di Guerino Casamonica, uno dei membri più influenti del gruppo criminale, nonché alla disposizione di numerosi sequestri e confische di beni riconducibili alla famiglia. Ciò si è reso necessario ai sensi del nuovo codice antimafia, vista la sproporzione fra i redditi dichiarati dalla stessa e i beni realmente posseduti, e considerando anche i precedenti penali di alcuni membri di questa per i reati di usura, traffico di droga e di armi, associazione a delinquere.

Mafia Capitale. Il Rapporto prosegue con l’analisi delle risultanze dell’indagine denominata Mondo di mezzo. Nell’ambito di tale inchiesta, il 2 dicembre 2014 sono state tratte in arresto dai carabinieri trentasette persone. La procura di Roma ha chiesto di procedere per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e altri reati. Un centinaio gli indagati coinvolti nell’inchiesta condotta dal Ros e coordinata dai pm Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino con i sostituti procuratori Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli; inchiesta che ha portato al sequestro di beni per un valore di oltre 300 milioni di euro.

Secondo il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, Giovanni Salvi, Mafia Capitale è un’organizzazione con un profilo del tutto originale ed originario. Originale perché l’organizzazione criminale presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note; originario perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali. Questo gruppo criminale costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione di estrema destra, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che evolse, in alcune sue componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana. In vari provvedimenti giudiziari ne è stata sottolineata la differenza con le mafie tradizionali, con modelli organizzativi pesanti, rigidamente gerarchici, nei quali i vincoli di appartenenza sono indissolubili e inderogabili. Un tale modello organizzativo è storicamente e sociologicamente incompatibile con la realtà criminale romana, che invece è stata sempre caratterizzata da un’elevata fluidità nelle relazioni criminali, dall’assenza di strutture organizzative rigide, compensata però dalla presenza di figure carismatiche di grande caratura criminale e da rapporti molto stretti con le organizzazioni mafiose tradizionali operanti sul territorio romano.

Articolando la propria attività fra un “mondo di sotto”, ovvero il mondo della criminalità romana da cui trae origine e in cui opera per il recupero crediti, l’usura e altri reati tipici dell’organizzazione mafiosa e un “mondo di sopra”, quello degli imprenditori, degli operatori economici finanche della pubblica amministrazione, Mafia Capitale, con l’uso del metodo mafioso, sarebbe riuscita a condizionare e alterare le regole del mercato legale e le scelte delle istituzioni legali, per trarne giovamento e profitto e rafforzare la propria posizione sul territorio romano e laziale. Secondo i giudici della Cassazione, «le indagini hanno rintracciato una progressiva evoluzione di un gruppo di potere criminale che si è insediato nei gangli dell’amministrazione della capitale d’Italia, cementando le sue diverse componenti di origine – criminali “di strada”, pubblici funzionari con ruoli direttivi e di vertice, imprenditori e soggetti esterni all’amministrazione – sostituendosi agli organi istituzionali nella preparazione e nell’assunzione delle scelte proprie dell’azione amministrativa e, soprattutto, mostrando di potersi avvalere di una carica intimidatoria decisamente orientata al condizionamento della libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali concorrenti nelle pubbliche gare, al fine di controllare gli esiti delle relative procedure e, ancor prima, di gestire gli stessi meccanismi di funzionamento di interi settori della vita pubblica».

Sei mesi dopo l’indagine Mondo di mezzo, il 4 giugno 2015, un secondo provvedimento ha portato all’arresto di altre 44 persone, accusate di associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori e altri reati. L’operazione “Mafia Capitale bis” ha evidenziato ulteriori relazioni tra il gruppo capeggiato da Massimo Carminati e l’amministrazione di Roma Capitale, con il condizionamento delle attività del municipio di Ostia – poi per questo sottoposto ad un decreto di scioglimento dal Consiglio dei Ministri – ed episodi corruttivi che hanno visto anche il coinvolgimento dell’amministrazione regionale.

La sentenza emessa il 20 luglio del 2017 dalla X Sezione del Tribunale di Roma, tuttavia, ha escluso la fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p., emettendo comunque una dura condanna per reati associativi semplici, contro la Pubblica amministrazione e contro il patrimonio. Si legge nella motivazione: «I gruppi criminali – come individuati – appaiono distinti per la diversità dei soggetti coinvolti nelle due categorie di azioni criminose (condizionamento della PA per il conseguimento illecito di appalti pubblici, e recupero crediti mediante intimidazione, ndr), per la diversità stessa delle azioni criminose e per la eterogeneità delle condotte organizzative ed operative; sicché non può essere condivisa la lettura unitaria proposta dall’accusa circa l’esistenza di un unicum criminale che, cementando le sue diverse componenti (criminali di strada, imprenditori e soggetti esterni alla amministrazione, pubblici funzionari corrotti) giunge ad avvalersi di una carica intimidatoria condizionante, da un lato, la legalità dell’agire amministrativo e, dall’altro, la libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali». Avverso l’esito del procedimento di primo grado è stato proposto ricorso in appello. Il processo è iniziato il 5 marzo del 2018.

Uno scenario criminale complesso. Il monitoraggio effettuato dall’Osservatorio rileva nel periodo preso in esame 93 organizzazioni criminali. Un dato sostanzialmente in linea con quello del 2016, quando i gruppi attivi censiti sul territorio romano e nel resto della regione erano stati 92. In questa occasione si è proceduto anche all’evidenziazione del numero di clan (62) già presenti sul territorio regionale ma non citati in indagini da almeno quattro anni. Il fatto che queste consorterie criminali non siano state interessate negli ultimi anni da attività repressiva, infatti, non comporta automaticamente che gli stessi non siano più operativi.

Nonostante si tratti di un percorso giudiziario in pieno sviluppo sotto il profilo investigativo e processuale, è comunque possibile fissare, alla luce della storia criminale della Capitale e delle più recenti indagini giudiziarie, alcuni punti-chiave sulla presenza delle mafie nella città di Roma e in buona parte del territorio provinciale. Il primo elemento che è possibile mettere in evidenza riguarda la confermata esistenza di una “pax mafiosa”: nata negli anni Ottanta, è sopravvissuta sino ad oggi, attraversando cambiamenti economico-sociali, ristrutturazioni interne dei vertici delle proiezioni mafiose sul territorio laziale, e affrontando la stabilizzazione di cosche nella Capitale, perché – come spiega il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone – «a Roma ci sono soldi per tutti e non c’è bisogno di uccidere; Roma non è una città in mano alla mafia, ma sono presenti varie organizzazioni di tipo mafioso. È una città troppo grande per una sola organizzazione criminale di questo tipo e quindi si impone una convivenza pacifica».

Un secondo elemento caratterizzante la questione criminale a Roma afferisce alla sempre più numerosa presenza di sistemi corruttivi. Non solo mafia, dunque, ma anche corruzione. Significativo è, in particolare, il frequente intreccio tra i due modelli criminali, con gruppi di derivazione mafiosa, o che adottano il metodo mafioso, che “contaminano” il loro agire con numerosi reati di tipo economico-finanziario.

Il terzo elemento – fortemente connesso al secondo – che emerge dalle indagini e dalle constatazioni di magistrati e investigatori riguarda il ruolo rivestito dagli “intermediari”, quelle figure, cioè, appartenenti alla cosiddetta “area grigia” ed in grado di mettere in contatto i diversi protagonisti dello scenario criminale. Si tratta spesso di soggetti legati al mondo delle professioni: commercialisti, notai, avvocati, solo per citarne alcuni. Il “potere di relazione” che le mafie sono in grado di esercitare sul tessuto economico e sociale, anche in conseguenza dell’azione di questi facilitatori, è ben evidenziato dall’indagine Mondo di mezzo, ed è particolarmente vantaggioso per la quantità e la qualità dei contatti stabiliti.

La provincia di Roma. La seconda parte del Rapporto focalizza l’attenzione sugli aggiornamenti riguardanti tutto il resto della regione, a partire dalla provincia di Roma. In particolare nei comuni del litorale a sud della Capitale, si registra la prosecuzione dell’attività in pianta stabile d’una famiglia ‘ndranghetista. Risale ormai al 22 ottobre 2013 l’accertamento del Tribunale di Velletri, in sede giudicante, circa «l’esistenza tra Anzio e Nettuno di un clan di stampo mafioso denominato clan Gallace». La sentenza ha segnato un passaggio “storico” per le mafie nel Lazio poichè ha accertato per la prima volta, da parte di un Tribunale penale, l’esistenza di un locale di ‘ndrangheta sul territorio della provincia di Roma.

Nell’area di Pomezia si segnala invece la presenza di un gruppo criminale essenzialmente dedito a delitti quali l’estorsione e l’usura. Esso è denominato Fragalà, ha origini catanesi ed è considerato quantomeno contiguo alla famiglia mafiosa dei Mazzei-Carcagnusi, storicamente legata alla più nota famiglia dei Santapaola.

Il Basso Lazio. Nella provincia di Latina si riconferma l’operatività di associazioni di tipo camorristico federate con il clan dei Casalesi, o talvolta diretta espressione di tale sodalizio. Significativi nell’ultimo periodo i rapporti emersi, a seguito di numerose indagini della squadra mobile di Latina e del nucleo investigativo del Comando provinciale dell’Arma dei carabinieri, tra esponenti apicali della malavita organizzata di Latina e il presidente pro tempore dell’US Latina Calcio, Pasquale Maietta, eletto alla Camera dei deputati nel 2013. Quest’ultimo è stato poi arrestato, il 16 aprile 2018, assieme ad altre 12 persone nell’ambito dell’operazione Arpalo, in quanto ritenuto il vertice di un’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio aggravato, al trasferimento fraudolento di valori, alla bancarotta fraudolenta e a reati tributari e societari.

Quanto poi alla città di Aprilia, essa risulta da anni condizionata dall’azione criminale di organizzazioni mafiose – in questa zona essenzialmente dedite al traffico di stupefacenti – come attestano le relazioni della Commissione parlamentare antimafia, quelle della Direzione nazionale antimafia e numerose sentenze della magistratura. La presenza del clan dei Casalesi è confermata dalle inchieste che hanno colpito il gruppo Noviello, già operativo tra Nettuno ed Anzio. Significativa, sul medesimo territorio, anche la presenza della ‘ndrangheta ed in particolare del clan Alvaro. Va poi ricordato che nella città di Aprilia sono anche presenti esponenti delle famiglie Casamonica e Di Silvio. Risale infine all’estate del 2017 la più importante inchiesta degli ultimi anni sullo smaltimento illegale e l’interramento di rifiuti nella regione. L’attività d’indagine della polizia stradale di Aprilia ha portato, il 16 luglio 2017, ad eseguire numerosi arresti per associazione a delinquere finalizzata, appunto, al traffico di rifiuti.

La provincia di Frosinone è interessata, da decenni, dalla presenza di organizzazioni camorristiche, come attestano numerose sentenze della magistratura e relazioni della Commissione parlamentare antimafia. Gli insediamenti più significativi si registrano nell’area del cassinate. «Nel circondario di Frosinone – spiega il suo procuratore capo, Giuseppe De Falco – sono presenti numerose consorterie criminali ex nomadi e da tempo stanziali. Si tratta dei già citati gruppi Di Silvio e Spada, attivi nel traffico e nello spaccio di stupefacenti e nell’usura, nel capoluogo in oggetto e nelle zone limitrofe». Mentre proprio nella città di Frosinone, segnatamente nel complesso immobiliare di edilizia residenziale denominato “Casermone”, ha avuto luogo nel periodo considerato una significativa operazione della squadra mobile di Frosinone, congiuntamente con la locale compagnia dei carabinieri, volta a disarticolare una struttura organizzativa criminale dedita all’occupazione del suddetto complesso ai fini di renderlo una base di spaccio sul modello di quelle esistenti nei quartieri dove opera la camorra.

Il nord della regione. Gli insediamenti mafiosi tendono a dislocarsi nei territori secondo le opportunità che questi offrono, alla luce delle caratteristiche del contesto economico, istituzionale e sociale. La geografia criminale delle province di Rieti e Viterbo, dunque, presenta un quadro variegato, con aree in cui l’insediamento mafioso assume forme embrionali e territori caratterizzati invece da accordi criminali che incidono sul piano delle attività economiche di tipo legale. Per tali province, scrivono i magistrati della Dna, si «segnalano presenze sporadiche di soggetti riconducibili prevalentemente a gruppi di ‘ndrangheta e camorra. Risultano interessati i settori finanziari, degli appalti pubblici e del ciclo dei rifiuti. Negli ultimi anni la moltiplicazione degli sportelli bancari e alcuni sequestri di beni immobili e attività economiche indicano il rischio che si tratti di un primo stadio per successive espansioni». Per entrambe le province, in sintesi, la lettura del fenomeno criminale, che qui si manifesta in maniera molto diversa rispetto al resto della regione, risulta ancora di difficile comprensione – anche sotto il profilo investigativo – e, al contempo, in evoluzione, come segnalato nei rapporti istituzionali prodotti in questi anni.

 

(a cura di Luca Fiordelmondo, Master APC dell’Università di Pisa)