Sintesi della normativa in materia di contraffazione

Premessa. L’impianto normativo italiano della lotta alla contraffazione è particolarmente avanzato. Qui di seguito sono sintetizzati i contenuti delle fonti più importanti, rappresentate dal D.lgs. 30/2005, così come modificato dal D.Lgs n. 131/2010 (cd. Codice della proprietà industriale) e dalla legge n. 99/2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) che modifica alcune disposizioni del codice penale riguardanti il reato di contraffazione. Si dà poi conto brevemente di altre disposizioni in materia di tutela del made in italy e della normativa comunitaria.

Il Codice della proprietà industriale, composto da 246 articoli, rappresenta un corpus normativo che coordina le disposizioni legislative nazionali in materia di proprietà industriale e che detta regole per la tutela di marchi e altri segni distintivi, disegni, modelli, indicazioni geografiche, invenzioni, invenzioni biotecnologiche (a cui è dedicata la sezione IV bis del capo II), nuove varietà vegetali etc. Una parte importante è sicuramente quella contenuta nel capo III delle legge, nelle sezioni I e II.

Tra le norme contenute nella sezione I (disposizioni processuali e all’enforcement) possiamo menzionare:

– l’art. 120, che determina la competenza in materia di diritti di proprietà industriale di sezioni specializzate trasformate in Tribunali delle imprese;

– l’art. 121 bis, consente al titolare del diritto leso di acquisire informazioni per individuare tutti i soggetti coinvolti nell’illecito e conseguentemente agire in giudizio contro ciascuno di essi;

– l’art. 124 che, invece, contiene un’elencazione delle sanzioni civili che possono essere disposte da una sentenza che accerti la lesione di un diritto di proprietà industriale: il riferimento è all’inibitoria, all’ordine di ritiro definitivo dal commercio, alla distruzione e ordine di ritiro temporaneo, all’assegnazione in proprietà e al sequestro fino all’estinzione del titolo.

Tra le norme inserite nella sezione II (misure contro la pirateria) quella più importante è l’art. 145, che prevede l’istituzione del Consiglio nazionale anticontraffazione (CNAC).

Legge n. 99/2009. Le disposizioni che più interessano in questa sede sono quelle contenute negli artt. 15, 16, 17, 18, 19.

L’art. 15 (Tutela penale dei diritti di proprietà industriale) apporta delle modifiche alle norme del codice penale, segnatamente agli artt. 473, 474, 474 bis, 474 ter, 474 quater, 517, 517 ter, 517 quater, 517 quinquies.

L’art. 473 c.p. riguarda la “contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni” e si propone di tutelare la fede pubblica contro specifici attacchi insiti nella contraffazione o alterazione del marchio o altri segni distintivi; a tal proposito la giurisprudenza intende per alterazione una imitazione fraudolenta o falsificazione parziale in modo che il prodotto alterato possa confondersi con quello originario, mentre con il termine contraffazione si fa riferimento alla riproduzione integrale del prodotto, in tutta la sua portata emblematica e denominativa.

L’art 474 c.p. (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) ha sempre ad oggetto la tutela della pubblica fede e richiede la contraffazione o alterazione del marchio protetto dallo Stato o all’estero. Anche in questo caso la sanzione penale si deve applicare solo in ordine alla tutela dei marchi registrati.

E’ utile precisare, inoltre, che la tutela penale di cui agli artt. 473 e 474 c.p. è limitata ai soli marchi registrati.

L’art. 474 bis riguarda la confisca che è sempre ordinata, “nei casi di cui agli artt. 473 e 474, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, a chiunque appartenenti”. Tale articolo permette anche la confisca per equivalente. L’art. 474 ter fa riferimento alle circostanze aggravanti, con riferimento a chi commette tale reato in maniera sistematica od organizzata (l’associazione a delinquere e simile a quella configurata dall’art. 416 bis c.p.). Lo stesso articolo prevede invece attenuanti per chi collabora con le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria.

Il delitto previsto dall’art 517 c.p. (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) rientra tra i delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e si realizza nel momento stesso in cui il prodotto viene messo n vendita o in commercio; l’elemento oggettivo sussiste, quindi, ogni volta che la merce irregolare viene messa a disposizione del pubblico o di terzi acquirenti. Va ricordato anche l’art. 515 c.p. che punisce colui che nell’ambito di un’attività commerciale fornisce all’acquirente un bene diverso (per provenienza, qualità, quantità etc) da quello dichiarato; mentre l’art. 516 riguarda la commercializzazione di sostanze alimentari non genuine.

L’interesse tutelato dalla norma è l’ordine economico in riferimento alla lealtà e alla moralità del commercio e tende ad assicurare l’onestà degli scambi commerciali contro il pericolo di frodi nella circolazione dei prodotti. Ciò posto, se si presuppone che l’oggetto della tutela della norma penale sia l’ordine economico in senso ampio e non il mero interesse del consumatore, ne consegue l’inquadramento del delitto ex art. 517 c.p. nei reati di danno e non di pericolo; introdurre, infatti, merci con segni mendaci in commercio costituisce di per sé una lesione effettiva della lealtà degli scambi commerciali. Per la sussistenza del reato in esame, inoltre, il marchio imitato deve avere una somiglianza con l’originale tale da generare confusione nel consumatore. Vi sarebbe reato, quindi, anche nel caso in cui il marchio fosse accompagnato dal nome di una ditta diversa rispetto a quella titolare del brevetto in quanto il suddetto marchio gode di un’autonoma tutela e protezione da parte dell’ordinamento.

L’art. 517 ter c.p. (Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale) norma punisce il colpevole che fabbrica oggetti usurpando titoli di proprietà industriale solo in seguito alla querela della persona offesa e prevede la reclusione fino a due anni e la multa fino a euro 20.000.

Al termine di questo breve elenco troviamo altre due norme: l’art. 517 quater (Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari) punisce sia l’artefice della contraffazione sia colui il quale introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita oppure pone in vendita con offerta diretta ai consumatori prodotti con indicazioni o denominazioni contraffatte; l’art. 517 quinquies che, invece, determina le circostanze attenuanti.

Per quanto riguarda l’art. 16 della legge 99/2009, sulla destinazione dei beni sequestrati o confiscati nel corso di operazioni di Polizia Giudiziaria per la repressione dei reati di cui agli artt. 473, 474, 517 ter, 517 quater c.p, la disposizione prevede che “I beni mobili iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili…sono affidati dall’Autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia che ne facciano richiesta per essere utilizzati in attività di polizia ovvero possono essere affidati ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale”. Il comma 4 specifica poi che “I beni mobili di cui al comma 1, acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono assegnati, a richiesta, agli organi o enti che ne hanno avuto l’uso. Qualora tali enti od organi   non presentino richiesta di assegnazione, i beni sono distrutti ai sensi del comma 3”.

L’art. 17 (modificando le leggi n. 146 del 2006 e n. 80 del 2005) prevede una sanzione da 100 euro a 7.000 euro per l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo delle cose che inducano a ritenere che si sia verificata una violazione delle norme in materia di origine e provenienza dei prodotti e in materia di proprietà industriale. A tal proposito, i parametri richiesti dalla norma che devono essere presi in considerazione sono la qualità della merce, la condizione di chi la offre, l’entità del suo prezzo.

L’art. 18 si occupa delle azioni a tutela della qualità delle produzioni agroalimentari, della pesca e dell’acquacoltura nonché del contrasto alla contraffazione dei prodotti agroalimentari e ittici e individua nel Ministero delle politiche agricole l’ente che promuove iniziative necessarie per assicurare la qualità dei prodotti immessi nel mercato nazionale. Proprio per perseguire detta finalità, i soggetti d’impresa esercenti la pesca devono fornire determinate informazioni, tipo: il numero di identificazione di ogni partita, il nome commerciale e il nome scientifico di ogni specie, il peso vivo espresso in chilogrammi, la data della cattura, della raccolta ovvero la data d’asta del prodotto, il nome del peschereccio ovvero il sito di acquacoltura, il nome e l’indirizzo dei fornitori, l’attrezzo da pesca. Tutte queste informazioni devono essere contenute in uno specifico sistema di etichettatura.

Da ultimo, l’art. 19 (Proprietà industriale) apporta delle modifiche alle norme contenute nel decreto legislativo n. 30 del 2005 (detto appunto codice della proprietà industriale).

Altre disposizioni riguardanti la tutela del made in Italy.

Il decreto legge n. 83 del 2012 attribuisce alle camere di commercio territorialmente competenti il potere di irrogare sanzioni pecuniarie amministrative (art. 43); l’art. 59 bis, invece, si occupa della protezione da eventuali reati di contraffazione di prodotti a marchio DOP, IGP, STG, e individua nel Ministero delle politiche agricole l’ente che dovrà definire un sistema di etichettatura dei prodotti agricoli basato prioritariamente su elementi elettronici o telematici.

Il decreto legislativo n. 61/2010 sostituisce integralmente la disciplina della legge 164/1992 adeguandola alla normativa comunitaria; i tratti salienti della normativa riguardano la classificazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche; la determinazione dei requisiti di base per il riconoscimento delle DOP e delle IGP; l’attribuzione al Ministero delle politiche agricole delle attività di coordinamento dei controlli e della vigilanza; l’istituzione del comitato nazionale vini DOP e IGP; la possibilità di costituire per ciascuna DOP e IGP dei consorzi di tutela; la previsione di disposizioni sanzionatorie per chi produce o vende vini DOP o IGP che non hanno i requisiti previsti dai rispettivi disciplinari di produzione; la revisione del sistema delle sanzioni per assicurare una migliore tutela delle produzioni di pregio.

La legge n. 55/2010 sulla tutela del “Made in Italy” prescrive un sistema obbligatorio di etichettatura per i prodotti finiti e intermedi dei settori tessile, abbigliamento, arredo della casa, calzature e pelletteria, destinati alla vendita al pubblico. L’etichetta dovrà fornire informazioni circa il rispetto delle norme in materia di lavoro, di igiene e sicurezza dei prodotti, in materia ambientale e circa l’esclusione di minori nella produzione. La legge permette, inoltre, l’impiego dell’indicazione “made in Italy” anche per i prodotti finiti che hanno subito almeno due fasi di lavorazione nel territorio nazionale, ferma restando la tracciabilità delle altre fasi. Tale normativa però ha incontrato molti ostacoli in sede di attuazione, in attesa della conclusione delle trattative a livello europeo (vedi al riguardo la direttiva della Presidenza del Consiglio del 30.9.2010).

L’art. 16 del decreto legge n. 135/2009 (legge n. 166 del 2009) stabilisce che “si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano”. Il co. 4 della stessa norma riguarda l’aspetto sanzionatorio e dispone che chiunque fa illecitamente uso di un’indicazione di vendita che presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano», in qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione, è punito, ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base della normativa vigente, con le pene previste dall’articolo 517 c.p., aumentate di un terzo (cioè fino a un anno e quattro mesi di reclusione e fino a 26 000 euro di multa). La disposizione prevede inoltre che costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto. Peraltro, la norma, modificando la legge n. 350 del 2003, consente di sanare tale situazione con una sanzione amministrativa (da 10.000 a 250.000 euro) attraverso una dichiarazione che attesti che le informazioni corrette sull’origine del prodotto saranno fornite nella fase di commercializzazione.

La legge n. 8/2013 ha dettato nuove regole per la lavorazione e commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia, prevedendo che l’etichetta debba indicare lo Stato di provenienza.

La legge n. 9/2013 sulla qualità e trasparenza per la filiera produttiva italiana dell’olio d’oliva è finalizzata ad attivare maggiori controlli nei confronti di tentativi di frode e di contraffazioni, anche attraverso un forte inasprimento delle sanzioni. Sono previste disposizioni riguardanti:

– la più facile identificazione della provenienza del prodotto e delle sue caratteristiche; in particolare, sulle etichette delle confezioni dovranno essere scritte, a caratteri ben leggibili, le caratteristiche del prodotto, i dati per la tracciabilità delle produzioni e saranno vietate le indicazioni che rimandano a zone di provenienza differenti dai reali luoghi d’origine del prodotto. Tutte queste pratiche sono considerate ingannevoli ai sensi del codice del consumo e perciò sanzionabili da parte dell’Autorità garante della concorrenza (artt. 1, 3 e 4);

– l’utilizzo illecito di un marchio volto ad ingannare il pubblico sulla provenienza del prodotto e le relative sanzioni (artt. 5 e 6);

– i poteri dell’Antitrust per quanto riguarda il rispetto delle norme in materia di concorrenza (avvalendosi dell’apporto dell’Agenzia delle dogane) al fine di contrastare le intese tra imprese volte a “ostacolare, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all’interno del mercato nazionale degli oli di oliva vergini attraverso la determinazione del prezzo di acquisto o di vendita del prodotto” (art. 8);

– la responsabilità dei comportamenti illeciti, estesa anche agli enti della filiera degli oli vergini d’oliva laddove alcuni reati (adulterazione, contraffazione, frode etc) siano commessi nel loro interesse, con sanzioni accessorie per la contraffazione di olio Igp o Dop (artt. 12 e 13);

– la pubblicazione della sentenza di condanna per il delitto previsto dall’art. 517 quater c.p. su almeno due quotidiani a diffusione nazionale e il divieto per cinque anni di operare nel settore, oltre alla confisca di beni e denaro per il condannato che non possa giustificarne la provenienza, con sanzioni accessorie in caso di condanna per adulterazione o contraffazione (divieto di svolgere attività imprenditoriali e di accedere a finanziamenti pubblici italiani e comunitari) (artt. 14 e 15);

Normativa comunitaria. Si possono segnalare tre provvedimenti in particolare: il Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio sul marchio comunitario, il Regolamento (UE) 608/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale da parte delle autorità doganali; la Direttiva 2004/48 CE, recepita con decreto legislativo n. 140 del 2006, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.