PREMESSA. Il Ministro dell’Interno ha trasmesso alle Camere il 30 dicembre 2019 la Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel primo semestre del 2019, della quale si riportano i punti salienti (per le precedenti relazioni cliccare qui).
In particolare, l’attenzione è focalizzata sulle connotazioni strutturali e sulle linee evolutive delle principali mafie italiane (‘ndrangheta, Cosa nostra, Camorra e le mafie pugliesi) e delle loro ramificazioni su tutto il territorio nazionale.
‘NDRANGHETA (pp.12 – 72). “Le più recenti investigazioni hanno dato prova di come le ‘ndrine riescano a relazionarsi egualmente con le altre organizzazioni criminali del Sud o del Centro del Paese, ma anche con interlocutori di diversa estrazione sociale, siano essi politici, imprenditori o figure professionali in ogni caso utili ai tornaconti delle cosche. In tal modo esprime un radicato livello di penetrazione nel mondo politico ed istituzionale, ottenendo indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche. Parimenti, l’infiltrazione nel settore imprenditoriale le consente di inserirsi nelle compagini societarie sane, ottenendo il duplice effetto di riciclare i proventi illecitamente accumulati e, nel contempo, di acquisirne ulteriori attraverso i canali legali, arrivando anche a ‘scalare’ le imprese fino a raggiungerne la titolarità”.
“Ci si trova di fronte ad una mafia arcaica nella struttura e moderna nella strategia, capace di creare e rafforzare sempre di più i propri vincoli associativi interni, creando seguito e consenso soprattutto nelle aree a forte sofferenza economica, ma allo stesso tempo in grado di adattarsi alle evoluzioni del contesto esterno, nazionale ed internazionale, tenendosi al passo con i fenomeni di progresso e globalizzazione, anche grazie alle giovani leve che vengono mandate fuori Regione a istruirsi e formarsi per poi mettere a disposizione delle ‘ndrine il bagaglio conoscitivo accumulato. Non a caso, la ‘ndrangheta è stata una delle prime organizzazioni criminali ad intuire le opportunità offerte dai Paesi dell’Est europeo, come dimostrano alcune recenti evidenze investigative che hanno fatto luce sugli investimenti in diverse aree anche grazie ai fondi strutturali dell’Unione europea”.
“Le consorterie criminali calabresi sono abili nel creare seguito soprattutto fra quelle persone in cerca di riscatto sociale, le cui condizioni di vita li spingono a schierarsi, piuttosto che con lo Stato (le cui risposte, talvolta imbrigliate da lungaggini e meccanismi burocratici, tendono ad essere incomplete, intempestive e comunque non satisfattive), con la ‘ndrangheta che, invece, apparentemente, crea ricchezza, risolve i problemi e non abbandona i suoi adepti. Si badi bene, però: si tratta di aspettative effimere e di breve durata, di cui sono ben consapevoli migliaia di vittime, molte delle quali, dopo aver intravisto possibilità di arricchimento attraverso l’interlocuzione con la ‘ndrangheta, hanno perso ben più di quello che avevano. Sta di fatto che le Istituzioni, a qualunque livello, ma anche la comunità intera devono avere ben chiara la portata del fenomeno, spogliandosi del negazionismo fin qui sostenuto ed acquisendo consapevolezza della presenza delle ‘ndrine ormai ovunque… Alla luce di tale consapevole espansione della ‘ndrangheta risulta necessaria una risposta decisa, a tutti i livelli, anche perché da diverso tempo si assiste ad una distorsione del meccanismo di percezione dei valori, non solo da parte dei giovani delle famiglie della ’ndrangheta, ma anche della società in generale”.
“Sono in grado di sfruttare le opportunità offerte dalle differenti discipline legislative, privilegiando l’insediamento in Stati in cui le maglie larghe dei sistemi normativi agevolano le attività di reinvestimento dei proventi dell’attività criminale. Di fatto, l’attuale disomogeneità legislativa esistente fra i vari Paesi Europei favorisce l’infiltrazione delle mafie nel mondo dell’economia e della finanza, ulteriormente avvantaggiate dall’integrazione dei mercati, dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali, dalle potenzialità offerte dalle reti telematiche, nonché dallo sviluppo dell’intermediazione finanziaria anche attraverso circuiti alternativi. Il disallineamento normativo rende, peraltro, difficoltoso operare sequestri di beni mafiosi fuori dal territorio nazionale ed è per questo che la ‘ndrangheta investe e compra tutto ciò che può, ovunque si presenti l’occasione”.
“Alcune fra le più importanti inchieste degli ultimi anni hanno consentito di disegnare, per quanto possibile, un organigramma criminale della ‘ndrangheta fuori dai territori di origine, quanto più aderente alle evidenze giudiziarie. La mappa che segue, rappresentativa dei locali di ‘ndrangheta censiti nel Nord Italia dalle indagini degli ultimi anni, è emblematica della forza espansionistica delle cosche e della loro capacità di riprodursi secondo lo schema tipico delle strutture calabresi. In totale sono emersi 43 locali, di cui 25 in Lombardia, 13 in Piemonte, 4 in Liguria e 1 in Valle d’Aosta”.
COSA NOSTRA (pp.73 – 137). “Tradizionalmente Cosa nostra si presenta come un’organizzazione verticistica, unitaria e strutturata in famiglie raggruppate in mandamenti, nella parte occidentale e centrale della Sicilia. Nelle province orientali, si affiancano altri sodalizi criminali fortemente organizzati ed inclini ad evitare contrapposizioni con le più influenti famiglie. Nel comprensorio di Gela (CL), la stidda si connota per la tendenza all’accordo con le più pericolose compagini mafiose, soprattutto per la spartizione di illeciti guadagni provenienti dal traffico di stupefacenti, dalle estorsioni e dall’usura. Articolato è anche il rapporto di Cosa nostra con la criminalità locale, che viene spesso impiegata come forma di manovalanza, garantendo in questo modo alle famiglie sia il controllo del territorio, sia la “fidelizzazione” dei piccoli sodalizi criminali, anche stranieri. Proprio con riferimento ai gruppi criminali stranieri, è necessario sottolineare come tendenzialmente agiscano con l’assenso delle organizzazioni mafiose del territorio. E’ ormai comprovato come i nigeriani, oltre ad essere stanziati pressoché su tutto il territorio nazionale, rappresentino una presenza importante anche in Sicilia ed in particolare a Palermo, ove hanno trovato un proprio spazio, con il sostanziale placet di Cosa Nostra che permette loro di controllare la prostituzione su strada e alcuni segmenti di spaccio di stupefacenti in determinate zone”.
“Gli esiti delle operazioni più recenti confermano ulteriormente una struttura gerarchicamente organizzata e un radicamento tipicamente geografico delle organizzazioni criminali siciliane che stanno mostrando la propensione, da una parte a rivitalizzare i contatti tra le famiglie dell’isola e, dall’altra, a recuperare i rapporti con le proprie storiche propaggini all’estero. Si aggiunga il tentativo, spesso riuscito, di tessere ulteriori alleanze con sodalizi stranieri, ad esempio balcanici e sud-americani, soprattutto per il traffico di stupefacenti. Dall’arresto di Riina, avvenuto nel gennaio del 1993, si è assistito ad una prolungata fase di stallo per l’organizzazione mafiosa, poiché la cosiddetta “commissione” non si era più potuta riunire in assenza del capo riconosciuto e di molte altre importanti figure di vertice in stato di detenzione”.
“Conservando il boss corleonese la sua autorevolezza criminale, sebbene mutilata dalle condizioni del carcere duro, alla sua morte, avvenuta nel novembre del 2017, si era aperta la fase della successione, non priva di aspetti critici che avrebbero necessariamente alterato i rapporti di forza esercitati fino ad allora tra le consorterie. Un tempo, infatti, la ‘commissione provinciale’ di Palermo oltre a coordinare l’operatività dei mandamenti della provincia, espandeva la propria influenza su tutto il territorio regionale siciliano, costituendo un punto di riferimento per le decisioni strategiche riguardanti l’intera espressione Cosa nostra. L’operazione “Cupola 2.0”, oltre a rivelare nuovi organici e confermare la struttura dei mandamenti e delle famiglie palermitane, ha documentato come, dopo la scomparsa del boss corleonese, vi siano stati tentativi di riorganizzare tutta l’organizzazione mafiosa”.
“La ricerca di collegamenti extraterritoriali funzionali all’esercizio delle attività criminali si registra in tutto il territorio siciliano, sia pure con le sfaccettature e le organizzazioni tipiche delle diverse province siciliane. Le famiglie inseguono nuove opportunità e spazi anche al di fuori del territorio di propria competenza. Ciò favorisce l’accumulo di ricchezze che, oltre a rappresentare il fine ultimo di ogni attività criminale, è necessario alla struttura mafiosa per il proprio potenziamento nelle gerarchie, nell’ambito di uno scenario mutevole ed in cerca di nuovi equilibri. In uno scenario mafioso come quello attuale, caratterizzato da un impellente bisogno di un nuovo assetto e di risolvere l’annosa questione della leadership, la solidità, l’influenza criminale, la capacità militare ed il peso “politico” delle singole famiglie, dei mandamenti e delle rispettive strutture di vertice ricoprono un ruolo fondamentale per la definizione dei rapporti di forza e, di conseguenza, per l’individuazione delle nuove strategie e dei nuovi equilibri”.
CAMORRA (pp.138 – 207). “Anche le ultime indagini che hanno interessato il sistema camorra confermano la coesistenza di clan connotati da assetti e strategie operative diversificate, caratteristiche che rendono complesso darne una definizione univoca. Continuano a coabitare sugli stessi territori, in particolare nel capoluogo regionale e nella provincia, realtà criminali molto diverse. Sodalizi con radici consolidate quali il cartello noto come l’Alleanza di Secondigliano e aggregati criminali meno evoluti a livello organizzativo, che si caratterizzano per un uso sistematico della violenza e per gli scontri armati con omologhi clan”.
“L’elevata densità criminale delle aree dove tali fenomeni criminali proliferano, fa sì che negli spazi rimasti vuoti siano pronte a inserirsi altre famiglie. Ancora più insidiosa, rispetto alle manifestazioni di violenza, appare la strategia di sommersione, tesa ad infiltrare l’economia e la politica e a stringere accordi con altre organizzazioni criminali di diversa matrice territoriale, italiane e straniere. I numerosi clan che fanno parte di questa galassia, nella quale si inserisce a pieno titolo il cartello casertano dei Casalesi il quale, nonostante le numerose inchieste giudiziarie e i provvedimenti patrimoniali, riesce ancora efficacemente a difendere e curare i propri interessi illeciti attraverso ramificazioni finanziarie anche internazionali e importanti reti di imprese controllate da fiduciari dell’organizzazione. A tale scopo possono contare su interlocutori con specifiche e diverse competenze professionali, capaci di gestire attività economiche di elevata e sofisticata complessità”.
“Sono significative le parole del Procuratore di Napoli, nel corso della sua audizione presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, del 24 ottobre 2019. Il Capo della Procura Distrettuale ha, tra l’altro, sottolineato la capacità della camorra di mantenere inalterata ‘la pressione mafiosa sulle istituzioni pubbliche e l’attitudine a inserirsi nei mercati, al pari di altre componenti ordinarie, ma contribuendo a saldare fra loro le logiche, i canali fiduciari e le tecniche della corruzione e dell’evasione fiscale’. Inoltre, ha ulteriormente specificato che la sedimentata duttilità dei gruppi di modularsi secondo differenti contesti operativi e il ripudio della contrapposizione frontale con lo Stato ne ha agevolato i processi adattativi alle logiche di mercato, facilitandone l’espansione. Un’espansione alimentata dai proventi delle attività illegali ‘di una gigantesca rete di imprese che condiziona pesantemente i mercati, ove trasferiscono una straordinaria capacità di offerta di servizi illegali o di servizi legali, ma a condizioni illegali”.
“La loro propensione ad espandersi in territori appannaggio di altri gruppi, spesso tessendo alleanze con sodalizi locali, e a radicarsi anche in altre regioni, rende evanescente il tentativo di delinearne una precisa collocazione territoriale, mentre ai fini investigativi è più che mai necessario ricostruirne le relazioni, compito per il quale si sono spesso rivelate fondamentali le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Sulle dinamiche interne ed esterne ai clan è destinato ad avere ripercussioni importanti il ritorno sul territorio di personaggi di particolare caratura criminale, per effetto delle avvenute scarcerazioni”.
“In una realtà in cui la macrocriminalità presenta aspetti di particolare complessità per le variegate sfaccettature che la caratterizzano, è pertanto proliferata una criminalità minorile composta da giovani che provengono da territori dove si concentrano povertà, emarginazione, assenza di valori familiari, elevatissimi tassi d’evasione scolastica e mancanza di occasioni di lavoro legale. In questi contesti, essere arruolato da un clan per svolgere compiti di manovalanza (vedetta in una piazza di spaccio, corriere per la consegna di dosi di stupefacente, trasporto di armi) rappresenta per ciascuno una importante prospettiva di guadagno. Un tale humus ha favorito la formazione di bande giovanili che si sono conformate ai modelli dei clan emergenti, nei quali l’età degli affiliati è particolarmente bassa. Di queste, a volte, fanno parte rampolli di famiglie criminali, che hanno mutuato gli atteggiamenti violenti dai loro genitori. Non è raro, però, che i giovani che compongono queste bande non abbiano alcun legame con organizzazioni criminali, sebbene la violenza che esprimono sia altrettanto esasperata”.
“Uno dei punti di forza delle organizzazioni più consolidate risiede anche nella loro capacità di sostituirsi allo Stato-apparato. Assicurando protezione ai cittadini e alle imprese che ne facciano richiesta, i clan ricevono la messa a disposizione, in favore di membri dei sodalizi, di strutture e professionalità, accessibili secondo canali privilegiati e non istituzionali…Nei territori dove i clan camorristici sono fortemente radicati, l’economia parallela generata dalle imprese mafiose è percepita dalla popolazione come unica fonte certa di reddito e la presenza del clan è avvertita come strumento di occasioni lavorative, che si traduce a sua volta in fonte di consenso. Le indagini confermano che alcuni sodalizi, piuttosto che imporre le estorsioni sulle attività economiche entrano in società con imprenditori, che diventano così la ‘faccia pulita’ dell’attività economica, condividendo gli utili con i camorristi i quali, oltre a percepire i guadagni, reimpiegano i proventi delle attività delittuose”.
MAFIE PUGLIESI (pp. 208 – 277). “Le mafie pugliesi, distinte sulla base delle zone geografiche di influenza in mafia foggiana, criminalità barese e, nel Salento, sacra corona unita, continuano a rappresentare realtà criminali eterogenee e di complessa classificazione. L’analisi dei dati relativi al primo semestre 2019 conferma l’esistenza di sistemi criminali dotati di estrema dinamicità. Nella Regione, infatti, si configurano scenari in cui, a forme più strutturate di alleanze e confederazioni criminali, finalizzate soprattutto ad una gestione sinergica degli affari illeciti più remunerativi e con rilevanza anche extraregionale (traffici di stupefacenti ed armi, riciclaggio), si contrappongono storici antagonismi e repentine fratture. Queste, non di rado, sono l’effetto di strategie ben ponderate, finalizzate a conquistare posizioni di supremazia nei rapporti tra consorterie o nell’ambito di comparanze, spesso approfittando degli altalenanti momenti di difficoltà vissuti dai contrapposti sodalizi a causa dell’efficace e pressante attività di contrasto delle Forze di polizia”.
“Tale singolare fermento negli assetti criminali ha comportato, nel periodo in esame, specie nel foggiano e nella contigua provincia di Barletta-Andria-Trani, un numero considerevole di fatti di sangue che in molti casi hanno colpito direttamente capoclan ed esponenti di rilievo delle cosche. In generale, gli ambienti malavitosi della Regione, mafiosi e di delinquenza comune, continuano a manifestare accese forme di aggressività e violenza, nelle menzionate faide interne per ristabilire gli equilibri di forza, nella commissione di reati predatori con un disinvolto ricorso ad armi, anche da guerra, ed esplosivi, e infine nei confronti di appartenenti alle Forze di polizia o di funzionari pubblici”
“In Puglia risulta di rilevante attualità il problema della criminalità giovanile, assistendosi alla cooptazione di minori per incrementare gli organici dei clan e ad un salto di qualità nelle modalità d’impiego delle giovani leve. Infatti, l’iniziazione in età minorile è confermata da recenti indagini i cui esiti evidenziano il ruolo di rilievo ricoperto da elementi molti giovani o appena maggiorenni, già collegati alla criminalità organizzata o comunque desiderosi di dar prova delle proprie capacità delinquenziali per entrare a farne parte, i quali spesso sono ritenuti responsabili di gravi delitti, come rapine, estorsioni e porto illegale di armi. Di frequente, tuttavia, il precoce inserimento nelle organizzazioni è dovuto ai legami familiari ed alla necessità di sostituire nella gerarchia criminale i congiunti detenuti…Del resto, in territori dove la cultura dell’omertà, del sopruso e del rifiuto dello Stato è più profonda e le famiglie criminali sono molto presenti soprattutto nel sostegno economico, per questi ragazzi risulta naturale crescere secondo i codici mafiosi. E, specialmente laddove le organizzazioni criminali sono basate su vincoli familistici, è affidata alla donna la funzione, quasi esclusiva, di provvedere ad una sorta di pedagogia nera, fondata sui “valori” di prevaricazione, potere, omertà, vendetta, codice d’onore, e, in definitiva, all’imposizione dell’imprinting mafioso”
“La posizione geografica e l’affaccio delle coste sull’Adriatico fanno sì che la criminalità pugliese gestisca, assieme agli albanesi, un’importante fetta del mercato europeo della droga, in quanto quest’ultimi tradizionalmente assicurano l’approvvigionamento della marijuana dai propri territori d’origine. I rilevanti proventi del mercato della marijuana, oltre ad essere riciclati in madrepatria nello sviluppo di assets strategici come edilizia e turismo, sono oggi reinvestiti dalle consorterie nell’acquisto dell’eroina di provenienza asiatica e della cocaina, spesso direttamente dai narcos colombiani. In Puglia, tale mercato viene agevolato dalla presenza stanziale di numerosi cittadini di origine albanese, divenuti in qualche caso anche organici o fiancheggiatori della criminalità organizzata locale”
“Per altro verso, il lato opaco dell’imprenditoria pugliese – esaltando la sua componente criminale – troverebbe opportunità per immediato e fruttuoso reinvestimento di fondi illeciti all’interno dell’Albania, attraverso lo stabilimento in loco di società apparentemente legittime, anche sfruttando il fatto che la locale legislazione di settore – non particolarmente “invasiva” in termini di controlli preventivi – consente che si strutturino attività commerciali, artigiane ed industriali sul mercato con notevole facilità”.
“In Puglia il livello d’infiltrazione della criminalità nella Pubblica Amministrazione è alto e l’analisi delle dinamiche evolutive dei fenomeni criminali sembrerebbe confermare che nella Regione si sta assistendo ad una crescita criminale ed al consolidamento di un’area grigia, punto di incontro tra mafiosi, imprenditori, liberi professionisti e rappresentanti infedeli della pubblica amministrazione. La forza intimidatrice delle organizzazioni criminali e la corruzione, favoriscono contesti ambientali inquinati e costituiscono i canali di collegamento tra la criminalità, specie di tipo mafioso, e la Pubblica Amministrazione. Ciò trova conferma, in primo luogo, nei 4 provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali dello scorso anno. A questi, nel corso del 2019, si sono aggiunti quelli dei comuni di Cerignola (FG) e di Manfredonia (FG)”.
“L’elevata propensione delle organizzazioni mafiose a perseguire i consistenti interessi economici legati alla gestione della cosa pubblica trova conferma anche negli esiti di attività info-investigative sviluppate e concluse nel semestre in esame. Diverse inchieste avrebbero infatti dimostrato, a livello locale, l’esistenza di relazioni più o meno dirette tra esponenti della criminalità, imprenditori e amministratori locali o dipendenti di enti pubblici, finalizzate a favorire gli interessi delle cosche nell’aggiudicazione di appalti e commesse pubbliche o semplicemente nella gestione di esercizi commerciali spesso utilizzati quali strumenti per il riciclaggio”.
LE PROIEZIONI DELLE MAFIE SUL TERRITORIO NAZIONALE
Nord-Ovest: Piemonte; Valle d’Aosta; Liguria; Lombardia
Nord-Est: Trentino Alto Adige; Veneto; Friuli Venezia Giulia; Emilia-Romagna
Centro: Lazio; Toscana; Umbria; Marche
Sud-Isole: Abruzzo; Molise; Sardegna
CONCLUSIONI (pp. 537 – 579). “Giovanni Falcone, nelle pagine di Cose di Cosa Nostra nel richiamare un rapporto sulle tecniche di indagine in materia di delitti mafiosi redatto assieme al collega Giuliano Turone, nel 1991 sottolineava come ‘la mafia non è un’organizzazione che commette delitti suo malgrado, ma un sodalizio avente come finalità precipua il delitto…i reati come contrabbando, estorsioni, sequestri di persona, cioè i delitti per cui si è costituita l’organizzazione mafiosa, li avevamo classificati di primo livello. Al secondo livello avevamo classificato i reati che, non costituendo la ragion d’essere di Cosa Nostra, ne sono tuttavia l’indiretta conseguenza: per esempio l’omicidio di un uomo d’onore che si è macchiato di uno sgarro nei confronti dell’organizzazione”.
“Una bivalenza da intendere oggi in maniera più estesa e diversa, considerando delitti di secondo livello anche quelle condotte che puntano a infiltrare l’economia di un territorio. La “visione” classificatrice di Falcone trova un’importante conferma nelle evidenze info-investigative raccolte nel semestre. Esse rappresentano la cartina di tornasole di un agire mafioso che continua a muoversi tra attività criminali “di primo livello” e “di secondo livello”, intendendo le prime le azioni illegali “essenziali”, che si esprimono attraverso la “pressione” e il controllo capillare del territorio e che generano una forte liquidità di denaro. Sono esse le vere “fonti primarie” in cui rientrano le estorsioni, l’usura, i sequestri di persona, il traffico e lo spaccio di stupefacenti, il contrabbando di tabacchi, il traffico di armi, il gioco e le scommesse quando attuati su circuiti completamente illegali e, con specifico riguardo alla criminalità straniera, la prostituzione, la tratta degli esseri umani, le rapine e i furti e tutto ciò che concorre, in termini di manovalanza criminale, al perfezionamento di tali attività”.
“Le attività di primo livello sono funzionali sia al sostentamento del gruppo (vi rientrano il salario mensile e le spese connesse alla detenzione degli affiliati), sia a capitalizzare denaro sporco che necessita di essere riciclato. Esse rappresentano il welfare, perché offrono occupazione, assistenza e assicurano un tenore di vita proporzionale all’impegno criminale profuso nelle attività del gruppo. Le attività di primo livello oltre ad alimentare l’organizzazione e a consentire la gestione di un vero e proprio welfare, determinano un surplus molto rilevante che deve essere reimpiegato. Da qui la necessità di una seconda fase. Le attività criminali di secondo livello rappresentano l’evoluzione della strategia mafiosa e si caratterizzano per metodi più sofisticati e discreti”
“Le attività criminali che Falcone definiva eventuali, appaiono oggi sempre più ‘necessarie’ per la nuovamafia imprenditrice, perché offrono il vantaggio di destare meno allarme sociale, coinvolgendo imprenditori, professionisti e pubblici funzionari. Allo stesso tempo consentono alla mafia di inquinare l’economia legale e di espandersi oltre regione e all’estero, facendole assumere le caratteristiche proprie di un’impresa”.
“Si tratta di attività complesse, in molti casi legate al riciclaggio e al reimpiego di capitali, che si nutrono dell’infiltrazione nella pubblica amministrazione e della gestione degli appalti, della grande distribuzione, del ciclo dei rifiuti, del gioco e delle scommesse. Le attività di secondo livello possono essere espressione di due modalità operative. In primo luogo, sono temporalmente legate alle attività criminali di primo livello e in genere ai c.d. reati spia, che generano un forte afflusso di denaro contante. Questa fase segna il passaggio tra le attività illegali e quelle solo apparentemente legali”
“Un passaggio che ha un costo (fino al 50% delle somme da riciclare), che l’organizzazione mafiosa sopporta pur di far perdere le tracce della provenienza illecita del denaro. In secondo luogo, sono realizzate dalle mafie alla stregua di un’impresa dal solido ‘capitale sociale’, che si muove, pertanto, all’interno di un contesto di apparente legalità. In questi casi la corruzione di pubblici funzionari, lo scambio elettorale politico-mafioso, l’infiltrazione negli Enti locali, l’acquisizione di aziende produttive e la ricerca di imprenditori e professionisti compiacenti, costituiscono il volano per moltiplicare i profitti e allargare il raggio d’azione degli investimenti, allontanando sempre di più l’aura mafiosa dai propri affari”.
È questo il momento in cui la mafia si presenta nella sua veste più moderna e imprenditrice, ammantandosi di apparente legalità. I professionisti e gli imprenditori collusi – l’area grigia dell’economia criminale – consentono alle cosche di entrare in contatto con un’altra area grigia, altrettanto pericolosa, in cui operano gli apparati infedeli della Pubblica Amministrazione. La corruzione è l’anello di congiunzione tra queste due aree grigie. È lo strumento attraverso il quale le cosche, mediate dall’imprenditoria collusa, diventano, di fatto, un vero e proprio contraente della Pubblica Amministrazione, con ciò rafforzando e consolidando la propria posizione”.