PREMESSA. Il Ministro dell’Interno ha trasmesso alle Camere la Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel secondo semestre del 2021, della quale si riportano i punti salienti. La DIA ha messo a disposizione anche un abstract.

In particolare, l’attenzione è focalizzata sulle connotazioni strutturali e sulle linee evolutive delle principali mafie italiane (‘ndrangheta, Cosa nostra, Camorra, mafie pugliesi e lucane) e straniere, sul tema degli appalti pubblici e sulle attività di prevenzione del riciclaggio; la Relazione contiene, inoltre, un focus sulla criminalità organizzata nigeriana in Italia.

‘NDRANGHETA. La vocazione della ‘ndrangheta continua ad essere, prevalentemente, quella affaristico-imprenditoriale, secondo una logica di massimizzazione dei profitti in grado di intercettare le opportunità e orientare gli investimenti verso gli ambiti economici in maggiore sofferenza.

Si tratta di una mafia silente che opera secondo un modello collaudato, proponendosi ad imprenditori in crisi di liquidità al fine di subentrare nei loro asset proprietari e nella governance, conseguendo il duplice risultato di riciclare le risorse economiche di provenienza illecita e di impadronirsi di ampie fette di mercato, inquinando così l’economia legale.

Lo spettro dei rapporti delle organizzazioni criminali calabresi è particolarmente ampio, comprendendo sia le relazioni con la cd. area grigia e con la politica, fondamentale per l’inquinamento dell’economia e della cosa pubblica, sia con le principali organizzazioni del narcotraffico e con altri sodalizi criminali italiani (con cui stringe collaborazioni prevalentemente utilitaristiche e contingenti, legate a specifici affari, un esempio è ciò che accade con le cd. truffe carosello).

Un elemento fondamentale dell’attività ‘ndranghetista è il ricorso a forme di corruzione diffusa, che consentono anche di condizionare le dinamiche relazioni con gli Enti locali. A riprova di ciò anche gli scioglimenti di alcuni Consigli Comunali: in particolare nella Relazione si citano quelli di Rosarno (RC), Simeri Crichi (CZ), Nocera Terinese (CZ), sciolti con DPR del 30 Agosto 2021.

Sul piano della struttura, la ‘ndrangheta si conferma caratterizzata da una fedeltà alle origini e da una solida base familiare che, soprattutto in passato, ha ostacolato le forme di cd. pentitismo; negli ultimi anni si individua comunque un’inversione di tendenza, con un numero sempre crescente di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia.

Le attività illecite esercitate dalle organizzazioni criminali calabresi sono di vario tipo: si va dalle forme di estorsione ed usura al narcotraffico, settore in cui la ‘ndrangheta primeggia anche grazie alle relazioni con i cartelli sudamericani, e con la centralità degli scali portuali di Gioia Tauro, Genova, La Spezia, Vado Ligure e Livorno per l’approdo di stupefacenti, come confermato dalle risultanze investigative emerse nel semestre interessato. La ‘ndrangheta si mostra, poi, particolarmente abile nell’intercettazione dei finanziamenti pubblici, con la preoccupazione espressa nella Relazione rispetto ai fondi del PNRR.

Fuori dal suo territorio di origine, i sodalizi calabresi attuano una strategia di sommersione, in linea con il progresso e la globalizzazione, mostrando la propria capacità di adattamento ai diversi contesti territoriali e sociali, con il duplice risvolto di insidiare le realtà economico-imprenditoriali e di replicare i modelli mafiosi originari (facendo leva sui valori identitari). La Relazione conta 46 locali di ‘ndrangheta attive sul territorio nazionale, di cui 25 in Lombardia, 16 in Piemonte, 3 in Liguria e 1 ciascuno per Veneto, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige.

All’estero l’insediamento ‘ndranghetista privilegia quegli Stati meno attivi sul piano della cooperazione giudiziaria e in cui il reimpiego dei fondi illeciti risulta più agevole.

La Relazione pone, inoltre, l’accento sull’utilizzo strumentale da parte delle cosche delle pratiche della vita civile e religiosa, a partire dall’impiego dei santini nei riti di affiliazione, fino ai cd. inchini delle statue dei patroni durante le processioni di fronte alle abitazioni de boss. Si tratta di manifestazioni ritenute ancor più preoccupanti in quanto spesso vengono veicolate sui social network, diventando una vera e propria forma di propaganda criminale.

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA SICILIANA. Anche per la criminalità organizzata siciliana centrale risulta essere l’interesse per il business: la linea evolutiva prospettata dalla Relazione è quella di una mafia sempre più silente, mercantilista e affaristica che privilegia un modus operandi di tipo collusivo-corruttivo, fondato su patti di reciproca convenienza. Si riducono così le azioni eclatanti o destabilizzanti che lasciano il posto alla diffusa ricerca di legami con imprenditori, professionisti ed amministratori.

Tra gli aspetti a cui le organizzazioni criminali in Sicilia rivolgono principalmente l’attenzione rientra, senz’altro, quello di drenare risorse pubbliche; in quest’ottica la Relazione richiama l’attenzione sui fondi del PNRR. Nell’entroterra siciliano, invece, un simile scenario è già particolarmente presente, se si pensa ai casi di indebita percezione dei contributi comunitari per il sostegno allo sviluppo rurale, su cui la DIA concentra una parte della propria attenzione.

Sul piano della struttura, in Sicilia occidentale Cosa nostra risulta strutturata in mandamenti e famiglie: l’organizzazione è tendenzialmente unitaria e ricerca una maggiore interazione tra i mandamenti nell’assenza di un vero e proprio comando di vertice.

In questo quadro, le linee operative sono dettate prevalentemente dai vecchi esponenti di spicco dei clan tornati da poco in libertà (la Relazione segnala che sono numerose le scarcerazioni dei boss per espiazione della pena, o perché posti in libertà vigilata o agli arresti domiciliari). Alla cd. vecchia guardia si affiancano spesso le nuove leve: una possibile linea evolutiva segnalata dalla Relazione è quella di eventuali incomprensioni tra le vecchie e le nuove generazioni.

Nel trapanese risulta ancora centrale la figura del latitante Messina Denaro, che continua ad essere la figura di riferimento per tutte le operazioni più importanti.

Per quel concerne le principali attività svolte sul territorio, la Relazione segnala il traffico di stupefacenti, evidenziando come i clan siciliani si rivolgano prevalentemente alla ‘ndrangheta per l’acquisto delle sostanze, e l’attività estorsiva, solo di poco attenuata rispetto ai mesi scorsi, ma sempre fonte di sostentamento centrale per le famiglie mafiose e di detenuti, oltre che strategica sul piano del controllo del territorio.

Di estremo interesse per le organizzazioni criminali siciliane è, poi, il settore dei giochi e delle scommesse in concessione dello Stato che genera elevati e rapidi guadagni a fronte di bassi rischi. La mafia continua ad investire consistenti capitali attraverso la gestione diretta o indiretta di società concessionarie di giochi e di sale scommesse o mediante l’imposizione di slot machine. Non solo Cosa nostra ma più in generale la criminalità organizzata di tipo mafioso risulta attivarsi per assumere la gestione dei centri scommesse riuscendo a realizzare un controllo diffuso sul territorio di competenza nel mercato legale dei giochi e scommesse on line sfruttando società di bookmaker con sede formale all’estero. La DIA sottolinea come nel giro d’affari generatosi intorno al gioco con l’ampliamento dell’offerta da parte dello Stato a partire dagli anni ’90 si siano create nuove opportunità, con la criminalità organizzata sempre pronta ad infiltrarsi nella filiera del gioco lecito (e, del resto, ciò è confermato da numerose risultanze investigative riportate nella Relazione, anche con riferimento ad altre organizzazioni mafiose).

Sul piano dei rapporti con altre organizzazioni criminali, la Relazione segnala, in primo luogo, la linea di tendenza relativa ad una possibile penetrazione ‘ndranghetista nell’Isola: oltre al settore degli stupefacenti, la DIA sottolinea il caso di un’azienda di trasporto marittimo con sede a Messina, nei cui confronti il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione ha disposto l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria.

Per quel che riguarda le organizzazioni criminali straniere presenti in Sicilia, queste generalmente svolgono le loro attività illecite con il placet dei clan autoctoni; più autonomi risultano essere, invece, i clan di origine nigeriana.

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA CAMPANA. La Relazione, nel riferirsi alla criminalità organizzata campana, la descrive come un complesso sistema basato su stratificati e complessi livelli decisionali nonché su una struttura criminale consolidata sul territorio e dotata di un direttorio per la gestione e il coordinamento dei gruppi subordinati.

La propensione affaristica, orientata in particolar modo alle attività a basso rischio giudiziario, ha infatti trasformato da tempo i principali cartelli camorristici in vere e proprie holding imprenditoriali, parti integranti dell’economia legale supportate da stratificati sistemi relazionali fondati su legami personali e connivenze in ampi settori dell’imprenditoria e della pubblica amministrazione.

Nello specifico, per quel che riguarda il napoletano, due grandi cartelli (l’Alleanza di Secondigliano e il clan Mazzarella) polarizzano, secondo un preciso sistema di alleanze, il panorama criminale, come due macrosistemi che lasciano pochi margini d’attività ad altre strutture criminali. Alcuni dei clan affiliati costituiscono significative realtà imprenditoriali, in grado di controllare interi pezzi dell’economia sul territorio. Il sistema così inteso, dunque, si esprime in una struttura di coordinamento gestionale che le organizzazioni camorristiche si danno per raggiungere gli obiettivi di illecito arricchimento.

Un simile discorso vale anche per i clan casalesi operanti nel casertano: benché segnati da un’intensa attività repressivo-investigativa, essi restano protagonisti di complessi meccanismi di riciclaggio e di illecita interposizione negoziale e possono contare sulle fortune accumulate negli anni passati, in termini tanto economici quanto di relazioni.

Accanto al “sistema”, la Relazione sottolinea la presenza di una “camorra dei vicoli e delle stese”, in cui risalta una dimensione di maggiore violenza ed opprimente per la città, fatta di conflitti tra bande per il controllo di pezzi di mercati illeciti e che rivolge la propria attenzione soprattutto sulle fasce sociali più fragili e disagiate, acuendo la distanza e la sfiducia nello Stato.

Sul piano dell’attività di indagine e di prevenzione, la Relazione sottolinea che tra il giugno 2021 e il febbraio 2022 sono stati tre gli Enti locali sciolti per mafia (Marano, Villaricca, Castellamare di Stabia) mentre, nel secondo semestre 2021, i Prefetti di Napoli e Caserta hanno rispettivamente emesso 39 e 24 interdittive antimafia.

Per quel che concerne, invece, le attività criminali, la Relazione segnala l’interesse delle organizzazioni campane per le frodi fiscali nel settore degli idrocarburi, spesso realizzate utilizzando società operanti all’estero, e la costante presenza nel traffico di stupefacenti, gestito secondo logiche di spartizione territoriale che coinvolgono soprattutto gruppi minori in posizione di soggezione e di dipendenza rispetto ai principali cartelli.

Accanto a ciò, il settore dei giochi, con i clan locali in grado di imporre, per intere zone, la diffusione delle piattaforme legali e illegali, senza dover contattare il singolo esercente (come invece avviene al nord).

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PUGLIESE. La criminalità organizzata pugliese si caratterizza, complessivamente, per una forte propensione al controllo del territorio, sia con manifestazioni di violenza e aggressione sia con forme di infiltrazione nel tessuto economico regionale.

Il contesto vede la presenza di molteplici e differenti organizzazioni criminali che, tuttavia, nel tempo hanno consolidato i tratti identitari comuni. Si tratta di uno scenario in continua evoluzione: generalmente viene suddiviso in mafia foggiana, camorra barese e sacra corona unita. Tali organizzazioni hanno saputo sviluppare una politica di consolidamento ed espansione, caratterizzata da una penetrante e pervasiva capacità di controllo militare del territorio e da una spiccata vocazione relazionale finalizzata all’attuazione di un più evoluto modello di mafia degli affari.

Sul piano dell’articolazione territoriale, oggetto di particolare attenzione per le forze investigative è senza dubbio la mafia foggiana, ritenuta tra le più pericolose nel contesto pugliese. Essa si presenta come strutturata, compatta, in grado di fare rete e di creare interconnessioni con altre organizzazioni criminali (anche trans-adriatiche) con proiezioni di espansione territoriale anche extra regionale. La sua attività si caratterizza per la presenza di giovani leve, per l’utilizzo di violenza e per la disponibilità di armi ed esplosivi; accanto a ciò, appare crescente la sua propensione affaristica e l’interazione con la cosiddetta borghesia mafiosa: lo conferma il recente scioglimento del Comune di Foggia.

Le mafie foggiane mutuano, generalmente, i canoni di impostazione strutturale dalla ‘ndrangheta: ciò consente loro di stabilire interconnessioni interne con modelli tendenzialmente federali. Ciò potrebbe indirizzare anche alcuni dei futuri assetti, specialmente alla luce dell’attuale momento di difficoltà del fenomeno mafioso in Capitanata che la DIA non manca di sottolineare.

Per quel che concerne il resto del territorio regionale, la Relazione sottolinea la situazione preoccupante nella provincia BAT, specialmente a Trani dove si registra una crescita di rapine (+210% rispetto all’anno scorso) ed omicidi (+44%); si tratta di un territorio che esprime organizzazioni criminali autoctone, che vedono nel tessuto economico locale particolarmente attivo un potenziale appetibile.

Anche la mafia salentina si mostra incline a penetrare il tessuto economico e gli Enti locali (si vedano i recenti scioglimenti di Ostuni, Carovigno e Squinzano). Nello specifico, la zona di Taranto vede tre consorterie operative e distinte, con interessi ramificati in vari settori dell’economia, e impegnate nel traffico di droga; nel leccese, lo stato è quello di una relativa pace fra i gruppi criminali locali, oramai inseriti nell’economia legale, soprattutto nei settori del commercio e del turismo; a Brindisi, lo scenario criminale può essere suddiviso in tre tipologie di organizzazioni criminali: una forma di cultura mafiosa risalente agli anni ’90, la presenza di clan con capacità di intimidazione, e gruppi di giovanissimi impegnati soprattutto in reati violenti.

Il territorio barese, infine, si presenta come particolarmente instabile e in fibrillazione: ciò nel secondo semestre del 2021 ha prodotto la commissione di numerosi ed efferati delitti.

Sul piano, invece, dei rapporti con altre organizzazioni criminali, la criminalità pugliese si caratterizza soprattutto per i legami con l’area balcanica. Nello specifico, le consorterie albanesi utilizzano i canali gestiti dalle cosche pugliese per il trasporto di sostanze stupefacenti anche oltre regione verso mercati internazionali.

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA LUCANA. In tema di criminalità organizzata lucana, la Relazione evidenzia il salto di qualità compiuto in questi anni, che ha portato alla diffusione di una pervasiva presenza dei clan nella vita economica regionale, anche attraverso una capacità di adattamento e di mimetizzazione, ben evidenziata dalle numerose interdittive antimafia emesse.

La DIA parla di rischio di inquinamento dell’economia del territorio, soprattutto con riferimento a quelle aziende indebolite dalla crisi. Le organizzazioni criminali si sono proposte come sostegno attivo, trasformando l’originale impiego di minacce e violenza in schemi di sopraffazione economica in cui centrale diventa il reticolo di relazioni affaristiche e collusive. Anche in questo caso, emerge la preoccupazione legata ai fondi del PNRR.

Sul piano della struttura, le organizzazioni criminali sono organizzate su base territoriale e, vista la collocazione della regione, attuano spesso forme di collaborazione con clan di territori limitrofi. Si veda, ad esempio, l’area Valdianese, dove si registra la presenza della criminalità mafiosa pugliese e campana, oppure la zona di Lagonegro, l’unica nella quale i clan autoctoni sembrano essersi ritirati in favore di organizzazioni calabresi; l’area del melfitano è invece particolarmente influenzata dalla criminalità foggiana.

La situazione di maggior preoccupazione è quella della costa jonica-metapontina, dove lo schema è quello dell’infiltrazione nel tessuto economico legale mediante società di comodo, per acquisire il controllo di settori produttivi al fine di riciclare i proventi delle attività illecite.

LE CRIMINALITÀ ORGANIZZATE STRANIERE. Con riferimento alle forme di criminalità organizzata di origine straniera operanti in Italia, la Relazione segnala che si tratta di una componente rilevante nel panorama nazionale: la linea evolutiva, anche per le relazioni tra le varie organizzazioni criminali, è quella di una sempre maggiore integrazione delle azioni criminali nell’ambito di un contesto globale.

Sul piano strutturale e dei rapporti tra loro, esse prediligono la reciproca indipendenza, benché in alcuni casi si trovino a cooperare per la conclusione di specifici affari; non mancano i casi in cui la competizione porta anche a scontri violenti.

La Relazione registra, in ogni caso, una frequenza crescente di sodalizi a composizione multietnica: in quest’ambito, le forme più strutturate si rilevano nel contesto criminale di origine albanese e nigeriana, ma sono frequenti anche le collaborazioni tra gruppi di origine maghrebina e romena.

Per quel che concerne i rapporti con le organizzazioni criminali autoctone, i gruppi stranieri storicamente si ritagliano un maggiore grado di indipendenza nelle regioni del centro-nord, dove agiscono spesso su base paritetica. Al sud prevale la subordinazione ai clan locali, benché si registrino ultimamente maggiori sacche di autonomia, come nel caso della Campania e della Sicilia, con vere e proprie alleanze strategiche. La linea evolutiva prospettata dalla DIA è quella di possibili future forme di coesistenza strutturale anche in questi territori, fondate su una precisa spartizione di assets e settori criminali.

In questo quadro, i gruppi albanesi sono sicuramente i più inclini a cooperare con la criminalità autoctona; la Relazione sottolinea, inoltre, la presenza di gruppi stranieri dediti allo spaccio in Lombardia, suggerendo anche l’ipotesi che la ‘ndrangheta sia propensa a servirsi di manodopera straniera nei territori di proiezione. Forme di collaborazione con i clan ‘ndranghetisti vengono poi registrate anche nel territorio d’origine: è il caso di alcuni gruppi di etnia Rom presenti in Calabria.

Sul piano delle attività, assolutamente centrale è lo spaccio di sostanze stupefacenti. La Relazione sottolinea che i dati statistici confermano la prevalenza nelle regioni del Nord (in particolare, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Liguria) di soggetti di origine straniera che hanno commesso crimini correlati alla droga. Rilevanti per questi traffici sono poi le coste pugliesi, con il ruolo dei gruppi criminali di origine albanese, e il tratto autostradale toscano.

L’altra attività rilevante è quella dell’immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani, con tutte le attività connesse (dallo sfruttamento della prostituzione all’accattonaggio e lavoro nero). Una certa preminenza in questo campo è senz’altro dei cd. cults nigeriani. Di rilievo, inoltre, la posizione del Friuli-Venezia Giulia, quale punto di ingresso della cd. rotta balcanica ma interessato anche dalle attività di illecito trasferimento di capitali.

FOCUS: LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NIGERIANA IN ITALIA. Il focus della Relazione sul secondo semestre 2021 è dedicato alla criminalità organizzata nigeriana operante in Italia.

In primo luogo, sul piano demografico la Relazione rileva come la comunità nigeriana oggi rappresenti la terza componente etnica africana presente in Italia dopo quelle marocchina ed egiziana. Le rimesse verso il paese d’origine hanno subito un incremento tra il 2018 e il 2019 del 42,4%.

Sul piano criminale, di assoluta centralità per l’analisi del fenomeno sono i cd. secret cults, i cui tratti tipici sono l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e, più in generale, un “modus agendi” che la Corte di cassazione ha più volte ricondotto alla tipica connotazione di mafiosità. In questo senso, si vedano anche le pronunce della Corte d’Appello di Torino e le operazioni della DDA di Torino e di Bologna.

Tra le varie risultanze emerse, la DIA sottolinea la scoperta della “Costituzione” del “cults” dei Maphite, in cui emerge come l’organizzazione si faccia carico del sostentamento dei detenuti, preveda la morte per il tradimento degli obblighi di fedeltà ed omertà, reputi la violenza quale strumento principe per l’affermazione della propria forza, si consideri in grado di stringere o sciogliere all’occorrenza accordi con le mafie locali.

Tra le attività a cui le organizzazioni criminali nigeriane sono più dedite, la Relazione segnala: il traffico di stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani, in prevalenza finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.

Tratteggiata con queste caratteristiche, la criminalità di origine nigeriana assurge, secondo la DIA, alla stregua di un vero e proprio macro-fenomeno. La forte impenetrabilità di questi gruppi fondati su base etnica e anche le difficoltà linguistiche rappresentano ancora degli ostacoli alla piena conoscenza del fenomeno, fondamentale però per un’efficace attività di contrasto. In questo senso, molto preziose risultano alcune collaborazioni con la giustizia.

GLI APPALTI PUBBLICI. Tra le attività più importanti e delicate di cui si occupa la DIA rientra anche la partecipazione al monitoraggio degli appalti pubblici. Presidio fondamentale di legalità, in questo ambito, è senz’altro la documentazione antimafia: lo scopo è quello di impedire che le imprese coinvolte nel circuito della criminalità organizzata possano riciclare i capitali illecitamente accumulati mediante l’aggiudicazione o l’affidamento di commesse pubbliche o possano beneficiare di altre erogazioni pubbliche.

Si tratta di un’attività particolarmente importante perché, ricorda la DIA, le mafie contemporanee sono assimilabili a veri e propri trust societari capaci di mettere a disposizione dell’economia il proprio capitale di relazione con i poteri, la riserva di violenza e non ultimo il capitale di ricchezze accumulate.

Le organizzazioni criminali, quando operano nel settore degli appalti, tendono ad incidere sin dalla prima fase di programmazione e progettazione, attraverso mirate azioni corruttive nei confronti dei funzionari e dei tecnici/professionisti; generalmente esse possono contare da subito sulle varianti in corso d’opera. Quando tale approccio all’inizio della filiera non riesce, le organizzazioni criminali indirizzano la loro pressione estorsiva nei confronti delle aziende affidatarie dell’appalto o del subappalto. Non è da sottovalutare, inoltre, la pratica distorsiva delle gare, con accordi per programmare la rotazione illecita degli appalti tra le imprese, mediante offerte pilotate verso il maggior ribasso.

Sul piano dell’attività di controllo, la DIA nel II secondo semestre 2021 ha condotto 527 monitoraggi nei confronti di altrettante imprese e, rispetto alla fase di esecuzione dell’appalto, 22 ispezioni ai cantieri, come mostrano le tabelle contenute nella Relazione.

 

Nell’attività di contrasto alla criminalità organizzata rispetto al settore degli appalti pubblici centrale risulta la verifica della documentazione antimafia. Questa, nello specifico, si sostanzia nella comunicazione antimafia e nell’informazione antimafia, con caratteristiche diverse tra loro. L’insieme della documentazione antimafia prodotta confluisce nella Banca Dati Nazionale unica della Documentazione Antimafia (BDNA), e deve essere acquisita prima della stipula, dell’approvazione o dell’autorizzazione di contratti o subcontratti legati a lavori, servizi, forniture.

La Relazione riporta, in grafico e in tabella, l’insieme dei provvedimenti interdittivi emessi nel II semestre 2021.

LA PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO. La DIA svolge, inoltre, un ruolo di primo piano anche nell’analisi e nell’approfondimento investigativo delle segnalazioni di operazioni sospette (s.o.s.) al fine di prevenire l’utilizzo del sistema economico-finanziario a scopo di riciclaggio.

Nel corso del secondo semestre 2021 la DIA ha proceduto all’analisi di 68.955 segnalazioni di operazioni sospette riconducibili a 693.074 soggetti segnalati dei quali 437.372 costituiti da persone fisiche. La Relazione rileva che il flusso documentale risulta superiore del 17% circa rispetto al secondo semestre 2020.

Nell’ambito del processo di analisi massiva delle 68.955 s.o.s., hanno assunto rilievo per i profili di interesse della DIA 10.485 segnalazioni; di queste, 1.982 s.o.s. hanno evidenziato profili di attinenza alla criminalità mafiosa, mentre 8.503 s.o.s. sono risultate riconducibili a reati spia/sentinella.

Tra i soggetti segnalanti spiccano gli intermediari bancari e finanziari (93% del totale; di questi, il 42% sono banche); più equilibrata è, invece, la distribuzione per tipologia di operazioni.

La ripartizione delle operazioni finanziarie sul piano territoriale risulta in linea con i semestri precedenti, mostrando una prevalenza delle regioni del nord, come da cartina e tabella allegate nella Relazione.

CONCLUSIONI. La DIA rileva, nelle conclusioni, come nel semestre analizzato non si siano prodotti sostanziali mutamenti riguardanti le aree di interesse e le metodologie operative delle organizzazioni mafiose.

Le mafie continuano a mostrare una spiccata capacità di adattamento, privilegiando generalmente forme di silente infiltrazione nel tessuto economico alle manifestazioni di violenza. Il punto di forza continua ad essere rappresentato dalla capacità delle organizzazioni mafiose di “fare sistema” intorno alle relazioni con pezzi di imprenditoria e classi dirigenti locali, costruendo legami di reciproca convenienza.

In questo quadro, un ruolo primario è assunto dalle dinamiche corruttive, che esprimono il loro peso anche nell’ambito degli scioglimenti dei Consigli comunali: nel secondo semestre 2021 sono stati ben dieci gli Enti locali oggetto di provvedimenti dissolutori.

La Relazione sottolinea, inoltre, come la presenza delle organizzazioni mafiose costituisca un ostacolo alla crescita. Le province con più presenza mafiosa negli ultimi cinquant’anni hanno registrato tassi di crescita significativamente più bassi delle altre, e un ipotetico azzeramento delle mafie in questi territori comporterebbe un tasso di crescita annuo stimato in cinque decimi percentuali.

I volumi di affari legati alle attività illegali rappresentano, secondo uno studio di Banca d’Italia riportato dalla DIA, il 2% del PIL italiano; a ciò si devono aggiungere i proventi delle organizzazioni mafiose ricavati dall’infiltrazione nell’economia legale.

Sul piano dell’andamento della delittuosità, la Relazione segnala un lieve incremento del numero di omicidi di tipo mafioso nel secondo semestre 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020, concentrato solamente al sud; una diminuzione dei reati di corruzione, frode nelle pubbliche forniture, trasferimento fraudolento di valori (salvo al sud per quest’ultima fattispecie); un aumento, a livello nazionale, del contrabbando, delle rapine e dei danneggiamenti con incendio.