Premessa. La sesta edizione del Rapporto Mafie nel Lazio, realizzato dall’Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio, prende in considerazione il periodo che va dal 1°febbraio 2020 al 28 febbraio 2021.

 

1.LE MAFIE “TRADIZIONALI” NELLA CAPITALE

Le tre principali mafie italiane rimangono presenti sul territorio laziale, i tratti che emergono dal rapporto sono la dinamicità delle famiglie di Cosa nostra su Roma, un insediamento sempre maggiore delle cosche ‘ndranghetiste in città e una stratificazione degli interessi della camorra pronta sempre a nuove alleanze.

Uomini e affari di Cosa nostra su Roma

L’inchiesta “Gerione” del Ros dei Carabinieri mette al centro delle indagini Francesco Paolo Maniscalco, vicino al mandamento di Porta Nuova e vecchio uomo di fiducia di Salvatore Cancemi e Totò Riina, per aver reinvestito nella ristorazione romana i capitali di aziende poste sotto sequestro. Il boss negli anni aveva costruito una rete di società intestate a prestanome che facevano profitti su Roma, lontano dalla lente d’ingrandimento palermitana, con l’importante aiuto della famiglia Rubino a cui erano state intestate alcune società portate alla bancarotta da Maniscalco. La rete di ristorazione finita nell’inchiesta ha fatto emergere collegamenti con gli uomini di Brancaccio vicini alla famiglia Graviano. Inoltre, la presenza dei Rubino su Roma sarebbe stata il biglietto d’ingresso dei Maniscalco nel mondo del gambling su scala nazionale; egli sarebbe stato socio occulto di alcune società di gioco d’azzardo di proprietà dei Rubino.

L’evoluzione delle cosche di ‘ndrangheta nella Capitale

Le famiglie di ‘ndrangheta si sono progressivamente radicate a Roma attraverso l’infiltrazione nell’economia illegale e legale, e la loro struttura organizzativa emerge da più indagini. La consorteria si relaziona con l’ambiente circostante formato sia da mafie tradizionali e non, che nell’economia legale, facendo pesare il proprio ruolo di leader nel narcotraffico internazionale. Con l’operazione della Procura di Catanzaro “Rinascita-Scott” viene condannato in via definitiva il boss Saverio Razionale, storico alleato del clan Mancuso, e tracciata la figura del boss Pasquale Bonavota, attualmente uno dei latitanti più ricercati in Italia che è stato in grado di estendere gli affari mafiosi verso il centro e il nord del paese. Anche nell’inchiesta “Porfido”, che riguarda una ‘ndrina radicata a Trento, si scoprono collegamenti con Roma.

Nella Capitale la ‘ndrangheta si misura quotidianamente con la necessità di mantenere il controllo sul mercato del narcotraffico; colpisce in tal senso l’indagine “Coffe Bean” che ha individuato il ruolo di Francesco e Alfredo Marando, storica famiglia radicata a Platì. Le indagini hanno fotografato una gestione dello spaccio di droga basato su un modello aziendale, con stipendi, orari, turni e compiti ben precisi. Alfredo è anche presidente del Real San Basilio Calcio, tipica operazione usata per controllare il territorio. L’operazione “Enclave” invece si sofferma sull’attività di recupero crediti abusivo gestita con l’utilizzo del metodo mafioso da un gruppo criminale capeggiato da Pasquale Vitalone, che è emerso fare parte del clan degli Alvaro.

La presenza calabrese è stata documentata anche al di fuori del raccordo anulare. Tutti gli elementi emersi negli anni portano a pensare che la ‘ndrangheta abbia una forma strutturata e stabile di organizzazione dentro la città.

Roma e le camorre

Il legame tra le camorre e Roma prosegue con una sostanziale continuità tra clan campani e laziali. Il settore dell’economia legale che più soggiace al loro controllo è quello della ristorazione. La scarcerazione di Angelo Moccia ha dato il via alle indagini svelando una presenza organizzata e violenta del clan che si basa sulle estorsioni e sul credito abusivo. Traffico di droga, investimento nella ristorazione e agroalimentare sono gli asset principali della camorra a Roma.

Dall’indagine “Petrolmafie” è emersa l’infiltrazione anche nel settore del carburante, dove oltre al clan dei Moccia sono state coinvolte anche molte aziende del settore e piccole società che gestivano singoli depositi. L’inserimento in questo business segna un cambio di paradigma della camorra sia per la collaborazione con le aziende, che per il rapporto instaurato con il settore legale della gestione del petrolio.

 

2.LE MAFIE ROMANE

Con la dizione “mafie romane” o “piccole mafie”, si intendono le mafie nate nel contesto socioeconomico romano che sono state contaminate dall’interazione con le mafie tradizionali.

Le mafie del litorale

Ostia è considerato il mare di Roma ed è stato il primo Municipio d’Italia sciolto per mafia. Secondo alcuni investigatori le dinamiche che si sviluppano sul litorale sarebbero il termometro che misura la “febbre di mafia” della Capitale: le guerre non dichiarate, gli accordi di pace, gli interessi di mediatori e facilitatori partono da lì e solo dopo diventano un fenomeno romano.

” La spartizione delle attività imprenditoriali, per la gestione del traffico di stupefacenti in tempi più recenti si è indirizzata anche verso il controllo delle attività di balneazione, tutto questo con un’escalation di violenza allorquando ai Fasciani sono subentrati gli Spada”. La pressione investigativa sui Fasciani ha spostato in avanti il ruolo degli Spada che in precedenza era solo di manovalanza per i primi. Sei sentenze definitive a carico dei Fasciani e degli Spada confermano la caratura criminale a cui Ostia è continuamente sottoposta. In particolare, nel processo “Nuova Alba” viene confermata la fattispecie mafiosa dell’associazione ostiense dei Fasciani. Ulteriori inchieste sul clan Spada confermano la loro mafiosità e il condizionamento della criminalità a Ostia anche sotto il punto di vista imprenditoriale e politico. Infine, il tentativo di omicidio di Paolo Ascani sembra aver riaperto un conflitto tra gli Spada e altri gruppi di Ostia che agirebbero sotto la protezione di Michele Senese.

I Casamonica, fra indagini e processi

La più mediatica tra le mafie romane risulta essere quella dei Casamonica. Il gruppo di origine etnica Rom e Sinti sovrappone la gestione delle vite dei membri della famiglia a quella del clan. Da anni il clan è insediato a Roma in particolare nella Romanina, dove controllano con la violenza il narcotraffico, l’usura, le estorsioni, il credito abusivo e tante attività economiche. Importanti indagini come “Brasile Low Cost”, “Noi proteggiamo Roma” e “Gramigna” fotografano l’espansione del clan e i suoi rapporti con la ‘ndrangheta, con ex componenti della banda della Magliana, con professionisti romani e con gli Spada (con cui sono imparentati). La crescita del gruppo criminale è stata anche favorita da un “sistema” repressivo istituzionale che non è riuscito ad inquadrare il fenomeno mafioso ma ha analizzato i singoli episodi a sé stante. La pressione del clan sulla società civile è molto evidente nelle dichiarazioni di alcuni testimoni.

Le narcomafie e il controllo del territorio

Nella zona nord di Roma, nella borgata di Montespaccato, operano alcune narcomafie autoctone come i Gambacurta, gli Sgambati e gli Sterlicchio, che oltre al commercio della droga sono dediti alle estorsioni, all’usura e al recupero crediti, attività fondamentali per il quotidiano controllo del territorio. Queste narcomafie sono cresciute nel continuo confronto con i clan mafiosi tradizionali.

La loro struttura e organizzazione insieme agli investimenti mirati nella ristorazione e nell’immobiliare sono elementi che hanno permesso loro di fare il salto di qualità. La famiglia dei Gambacurta esercita il proprio potere anche in collaborazione con gli altri clan, con il clan Senese e con il boss di Roma Nord, Salvatore Nicitra. Gli Sgambati invece, sono gli unici fornitori di droga della piazza di spaccio di Montespaccato, anch’essi con relazioni importanti con i Senese e con i clan ‘ndranghetisti Bellocco e Filippone.

I Senese e gli equilibri criminali romani

Dalle indagini contro il clan Senese emergono sia le attività illegali del gruppo che l’attività di mediatori degli equilibri criminali romani. Pur mantenendo forti legami con gli ambienti camorristici di provenienza, essi hanno creato un loro agglomerato autonomo unendo criminali romani a soggetti campani. L’associazione opera prevalentemente nel Sud di Roma, nella zona Tuscolana-Cinecittà. Le indagini hanno mostrato anche una sorta di “cartello” criminale con gruppi autonomi “federati” con i Senese. Altro alleato criminale romano è Gabriele Cipollini.

Dalle indagini sui Gambacurta, gli Sterlicchio e i Nicitra emerge chiaramente la figura di Michele Senese, soprattutto nella conservazione della pax mafiosa tra i vari gruppi criminali. Non sempre però le vicende riescono a risolversi con accordi, come nel caso della vicenda tra i Senese e i Fragalà, che sarebbe scoppiata se non fosse stato per l’intervento di Francesco D’Agati. Gli investigatori scoprono anche la penetrazione della camorra romana nel tessuto economico del nord Italia. Molti elementi raccolti durante le investigazioni riconducono Michele Senese al clan dei Moccia. L’inchiesta “Affari di Famiglia” ricostruisce gli investimenti e le operazioni economiche che Michele Senese, anche durante la carcerazione, ha comunque continuato a coordinare.

 

3.IL SISTEMA DELLO SPACCIO A ROMA

Il sistema di gestione delle piazze di spaccio è un modello diffuso e conosciuto a tutti i gruppi criminali. Una rete di vedette assicura tranquillità agli acquirenti e agli spacciatori. Le piazze di spaccio si dividono in “chiuse” e “aperte”, in base alla presenza o assenza di sentinelle, sistemi di sorveglianza e ostacoli fissi.

Una delle realtà più significative è quella di Ponte di Nona, dove con l’operazione “Giulio Cesare” è stata smantellata l’organizzazione con a capo Claudio Cesarini detto “Cacetto”. La piazza di spaccio è operativa tra i caseggiati del comprensorio Don Primo Mazzolari, le vedette sono posizionate agli angoli del quadrilatero e utilizzano un ingegnoso sistema d’allarme che sostituisce il più rudimentale metodo del fischio; gli spacciatori sono tutti in possesso di un braccialetto che genera una vibrazione quando innescati dalle sentinelle.

Un’altra realtà è quella di Tor Bella Monaca che sta vivendo una fase di pacificazione tra le diverse fazioni criminali. Qui operano fra gli altri i Cordaro, i quali idearono una sorta di welfare criminale: dagli incassi dello spaccio veniva accantonata una somma usata per far fronte ai costi di difesa degli arrestati e alla vita delle loro famiglie. Questo welfare si rafforza nell’alleanza con la famiglia Sparapano che vanta rapporti con gli Esposito, vicini ai Senese e ai Gallace. Sopravvivono però anche realtà criminali capeggiate da figure carismatiche come Manolo Monterisi e Christian Careddu, e famiglie come quelle dei Fabietti e dei Tei. Sono presenti nel quartiere anche i Moccia di Afragola che hanno costruito un solido legame con gli Sparapano, anche se colpiti dall’operazione “Ferro di Cavallo”. Una piazza di spaccio della frazione capitolina è conosciuta come il “buco” per le modalità di erogazione dello stupefacente, poiché lo scambio avviene da una fessura nelle cassette postali in modo che fosse quasi impossibile accedere all’interno, e lo spazio circostante era continuamente controllato da ronde. Dopo l’arresto di Gaetano Moccia la piazza è andata in mano dei fratelli Mazzullo che la gestiscono per conto del primo.

Un’altra piazza di spaccio del quartiere è quella in Via dell’Archeologia, gestita da Vincenzo Nastasi, compagno di Maria Grazia Moccia, che è stata smantellata dai carabinieri. La piazza di Via Scozza è stata colpita dai carabinieri con le operazioni “Torri Gemelle”, “Torri Gemelle II” e “Torri Gemelle III”, l’ultima colpisce il sodalizio Di Palo, Sparapano. Ancora una volta viene confermata la necessità per i vari gruppi di pagare l’affitto delle piazze qualora i precedenti gestori siano colpiti dalle istituzioni. Colpisce inoltre il “sistema delle rette”, ovvero il riconoscimento di un reddito per quegli incensurati che concedono la propria abitazione per nascondere la droga del clan.

Un’altra realtà è quella di Corviale, il “Serpentone”, un enorme complesso residenziale dove lo spaccio di droga è affiancato da molteplici condotte di favoreggiamento. Secondo i carabinieri al vertice di questo spaccio ci sono Sandro Cauzzo e Andrea Ponziano Zagaglia. Il quartiere di San Basilio è un altro punto di spaccio. Con l’operazione “Orti di San Basilio” emergono le dinamiche di gestione della piazza di spaccio, dove vedette e pusher venivano istruiti prima di essere arruolati. Sono presenti sia famiglie di ‘ndrangheta come i Marando, che di camorra come gli Esposito, che sodalizi locali come i Primavera.

Importanti inchieste hanno accertato il ruolo fondamentale di clan di origini albanese, capeggiato da Daiu Lulzim. La collaborazione tra albanesi e italiani è una costante come dimostra l’operazione che ha colpito Lulzim e Alessandro Romagnoli, contiguo al clan Gallace nell’ambito dell’inchiesta “Aquila nera”.

 

4.LA PROVINCIA DI ROMA TRA COSA NOSTRA E ‘NDRANGHETA

Fuori dal Raccordo anulare romano c’è una storia criminale diversa rispetto a quella cittadina. L’Osservatorio laziale ha evidenziato plurime presenze criminali storicamente radicate nelle città di Pomezia e Ardea. L’importante operazione “Equilibri” svela i rapporti e gli affari dell’area, condannando il loro vertice Salvatore Fragalà. L’organizzazione ha creato alleanze con la società civile (tessuto produttivo e pubblica amministrazione), con le mafie locali, con altri gruppi catanesi, col clan Fragalà, con camorristi campani e col gruppo Senese. Le attività svolte sono la gestione del credito abusivo, l’usura e alcune truffe.

L’organizzazione di Fragalà “ha accumulato un’elevata fama criminale attraverso le attività delittuose, utilizzando strumentalmente il vincolo associativo. In tale territorio il sodalizio è conosciuto e temuto dalla collettività e applica una pacifica tolleranza nei confronti dei gruppi minori”. Il modello di insediamento di questo clan fa riferimento a quello delle mafie tradizionali, è radicato in un’area ben precisa, impone il proprio potere con racket, usura e violente intimidazioni. I magistrati analizzando i documenti, segnalano il progetto più grande di Alessandro Fragalà, ovvero impadronirsi dell’amministrazione comunale di Pomezia, con tutto ciò che ne seguirebbe. Le sue alleanze sono definite da lui stesso come “fusione tra Catanesi e Casalesi”.

Sul litorale a sud di Ostia c’è una convivenza di più organizzazioni mafiose in aree territoriali limitate, esse si alleano per singoli business oppure si “federano”. Il traffico di droga è sempre l’attività principale. La sentenza d’appello “Appia” contro il clan Gallace accerta la loro presenza e quella dei Bellocco nell’area. I boss di ‘ndrangheta sono presenti sul territorio da oltre trent’anni dove hanno potuto gestire molto più del mero spaccio di droga. I Bellocco operano sul territorio con l’autorizzazione del boss Bruno Gallace, i quali hanno costituito una locale di ‘ndrangheta, e stretto rapporti con gli Sparapano e le presenze camorristiche.

Da un’indagine della Dda emerge la vicenda di Francesco Corrao, responsabile della colonia della cosca Bellocco sul litorale; egli voleva conquistare Anzio e Nettuno scalzando il clan Gallace attraverso il trasferimento sul luogo di Umberto Bellocco, giovane dotato di grande carisma e con alta considerazione all’interno della ‘ndrangheta, “sta di fatto che nel Lazio ancora una volta si registra un unicum nel panorama delle mafie in Italia: l’inserimento di una cellula di un clan diverso in un territorio dove è già presente una locale di ‘ndrangheta ed altre strutture criminali”.

Il territorio della provincia romana è anche zona di investimenti economici e reati spesso schermati da prestanome o professionisti romani, e sul litorale il business principale continua ad essere legato al settore degli stabilimenti balneari.

 

5.ECONOMIA CRIMINALE E MAFIE A ROMA

Roma offre un mercato ideale per ogni sorta di investimento, legale e illegale. L’estensione del territorio, l’ampio numero di imprese che operano nella città, la vicinanza con le istituzioni nazionali e l’assenza per decenni della pressione delle forze dell’ordine sono alcune delle variabili che creano appetibilità. Il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone disse “a Roma ci sono soldi per tutti e non c’è bisogno di uccidere”. In un contesto così variegato dove operano tanti gruppi criminali i capitali mafiosi possono muoversi mescolandosi con quelli di altri tipi di criminalità. La situazione economica regionale è stata oggetto di uno studio curato da Crime & Tech, il quale suggerisce che su Roma agiscano due spinte concentriche una dal basso e una dall’alto.

Il rito romano del prestito abusivo

Aprire una società a Roma è un affare rapido e che desta poca attenzione. La spinta dal basso riguarda le specifiche condizioni socioeconomiche che l’hanno generata come il tasso di indebitamento pro capite di cittadini e imprese che è stato a lungo un fattore trascurato. Fattore che mette tutti i giorni in difficoltà l’economia legale e si incontra con la facilità di disporre di liquidità dei boss mafiosi. Il “credito a strozzo” com’è chiamato in città è il rito criminale romano per eccellenza. Si è evoluto dai cravattari romani al prestito abusivo di soldi. Il prestito è consentito a tutti, e l’interesse può arrivare anche all’800 per cento o durare una vita. Questo rimane l’investimento più redditizio della criminalità per due ragioni: la prima per una questione economica, la seconda per essere il primo patto non scritto che genera legame col territorio in una formula immediata e irrevocabile. Strettamente legato al prestito è il reato del recupero abusivo del credito che viene esplicato con violenze, sequestri di persona, gambizzazioni, e che spesso termina con l’approvazione indebita dell’attività dell’usurato, dei suoi beni o dei suoi potenziali investimenti futuri.

A questa spinta dal basso si aggiungono altre che arrivano direttamente da dentro l’economia stessa, il riciclaggio, in particolare nei settori della ristorazione e delle costruzioni. Queste attività sono costituite ad hoc o sottratte da imprenditori in difficoltà, vengono controllate da prestanome o tramite complessi sistemi societari, hanno frequenti cambi di proprietà, una struttura produttiva spesso inconsistente e risultano poco o per nulla indebitate verso gli istituti di credito ma più indebitate della media delle aziende del loro stesso settore verso i fornitori. La realizzazione di profitti non è l’obiettivo principale di questo modello aziendale.

Il gruppo Senese ha dimostrato una notevole capacità di reinvestimento del denaro. La maxioperazione “PetrolMafie” rappresenta un ottimo caso studio per capire il rapporto tra economia criminale e mafie. L’accusa principale è quella di aver creato associazioni finalizzate all’evasione di imposte con il sistema delle società cartiere. L’operazione segna un cambio di paradigma sia per la collaborazione “aziendale” di tutte le importanti mafie italiane che per il ruolo di punta svolto dalle società e dagli imprenditori coinvolti nel sistema criminale.

Infine, Rapporto segnala il profitto sommerso del settore del gioco che si presta agevolmente al riciclaggio e garantisce alta redditività; il settore crea un reticolo pari a quello della rete di spaccio. Su tutte si segnala l’operazione “Imitation Game” che ha svelato un sistema che operava nell’ambito delle slot machines e del gioco d’azzardo online. Qui si è verificata un’inversione dei ruoli in cui è l’imprenditore specializzato nel settore dell’azzardo a ritenere più qualificato il know how mafioso per il raggiungimento degli obiettivi sopra citati: una consulenza e compartecipazione che ha un costo per l’imprenditore.

Economia e rischio Covid

La crisi di liquidità che la pandemia ha generato ha portato una condizione ideale per immettere denaro generato in contesti illegali che necessita di essere ripulito attraverso acquisizioni immobiliari e commerciali. È impensabile una penetrazione nell’economia legale che lasci fuori il settore della pubblica amministrazione (e quindi anche della sanità).

 

SISTEMI CRIMINALI A LATINA

Da anni la provincia di Latina è luogo di radicamento delle mafie tradizionali e ha sviluppato alcune mafie autoctone. Questi clan sono stati utilizzati come fornitori di servizi criminali sia da alcuni esponenti dell’imprenditoria locale che da rappresentanti politici. Questa criminalità organizzata si è sviluppata partendo dai nuclei di origine nomade dei Di Silvio, dei Ciarelli e dei Travali, gruppi che hanno saputo resistere alla pressione dei casalesi e ad attacchi da gruppi criminali locali.

La “guerra criminale pontina” scaturì dall’omicidio di Ferdinando Di Silvio e si concluse con la supremazia del clan nomade dei Ciarelli-Di Silvio, imparentati con i Casamonica. La guerra si è arrestata grazie alla risposta dello Stato con le indagini Caronte e Andromeda. Nei provvedimenti si sottolinea il clima di omertà presente a Latina e la forte carica intimidatoria dei clan. L’ultima operazione in ordine di tempo è stata “Movida”, sull’estorsione con metodo mafioso, che ha portato all’arresto di molti affiliati al clan Di Silvio. Il racket dei Di Silvio è pervasivo, continuato nel tempo e colpisce tutta la popolazione.

La caratteristica dei sistemi criminali di Latina è la relazione molto forte fra il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso e la borghesia criminale che viene chiamato “capitale sociale delle mafie”. Da un’inchiesta che ha avuto al centro il mondo imprenditoriale e quello politico vengono arrestati l’ex consigliera regionale del Lazio, Gina Cetrone, il marito e altri membri del clan Di Silvio; i primi avrebbero richiesto l’intervento dei secondi per riscuotere un credito presso un imprenditore.

Una seconda operazione “Dirty Glass” ha fatto emergere le relazioni fra un gruppo di imprenditori e alcuni appartenenti alla pubblica amministrazione, funzionari che sarebbero stati a disposizione degli indagati in maniera sistematica. Ad uno di questi imprenditori, Luciano Iannotta, sono contestati legami con le mafie autoctone.

Infine, un’altra operazione importante è stata quella contro il clan Travali; i fratelli hanno ereditato un potere criminale da Costantino Di Silvio detto Cha Cha. “i Di Silvio stavano tutti in galera e nessuno poteva contestare Angelo Travali che aveva la possibilità di disporre di molti uomini e di un gruppo di fuoco, e una volta arrestato avrebbe comandato anche dal carcere”. Inoltre, sono stati evidenziati i legami dei Travali con la camorra. Nell’indagine “Reset” vengono documentate numerose estorsioni, un racket diffuso dove nessuno osa ribellarsi, al massimo viene richiesto l’intervento di esponenti apicali delle mafie di Latina per recuperare il maltolto o evitare nuove estorsioni.

Nella provincia di Latina un ruolo specifico è giocato dai clan che operano ad Aprilia, che è il quarto centro per popolazione del Lazio, con un grosso investimento di capitali di provenienza soprattutto illecita nel settore edilizio. In quest’area coesistono organizzazioni riferibili alla ‘ndrangheta, mafie autoctone (i Montenero) e i casalesi.

 

IL LAZIO DEL SUD E IL RADICAMENTO DELLE CAMORRE

Nel Lazio meridionale le camorre hanno costituito e rafforzato numerose basi operative consolidando un reticolo di relazioni con parti dell’imprenditoria e della classe dirigente pontina, diventando punto di riferimento anche per le mafie autoctone.

A Formia la famiglia Bardellino continua a ricoprire un ruolo fondamentale e influente.

A Fondi si conferma l’importanza dei D’Alterio collegati con i casalesi e i Mallardo. L’operazione “Aleppo 2” fa emergere che i D’Alterio bloccavano qualunque forma di concorrenza. “Il territorio del basso Lazio subisce l’influenza campana dal punto di vista criminale, e le piazze di spaccio sono sottoposte al controllo dei clan camorristici”.

Il territorio da Formia a Minturno è da anni interessato da attentati e intimidazioni: ordigni artigianali esplosi, episodi incendiari, attentati contro attività commerciali.

Nella provincia di Frosinone i clan di camorra insieme agli Spada e ai Di Silvio gestiscono piazze di spaccio chiuse. Oltre gli interessi dei casalesi, ci sono anche quelli del clan Misso e del clan Mazzarella nel settore del gioco.

 

MAFIA E CRIMINALITA’ TRA VITERBO E RIETI

Nella provincia di Viterbo sono presenti mafie autoctone e riferibili alla ‘ndrangheta. Il tratto distintivo di questo territorio è la connotazione multietnica. L’operazione “Erostato”, conferma che il controllo di attività legali si inseriva in una strategia criminale unitaria, promossa da un soggetto calabrese, Giuseppe Trovato contiguo alla ‘ndrina Giampà di Lamezia Terme. Sono stati eseguiti anche atti eclatanti contro le forze di polizia, episodi incendiari e atti intimidatori. È emerso che Trovato aveva saldato i rapporti con Ismail Rebeshi, gestore di alcune attività e intenzionato a controllare il business delle serate. Il clan Trovato incute a Viterbo paura e intimidazione.

Nella provincia di Rieti sono avvenuti due gravi attentati, un incendio contro un panificio e uno contro una fattoria. Nel comune di Capena la ‘ndrangheta ha fatto numerosi investimenti nel settore del commercio alimentare nonché in quello immobiliare.

 

(a cura di Riccardo Datteo,
corso di laurea magistrale in Amministrazioni e Politiche Pubbliche – Università di Milano )