Attraverso il decreto legge n. 36 del 2014 (convertito nella legge n. 79 del 2014) il Governo è dovuto correre ai ripari per colmare il vuoto legislativo che si era venuto a creare in materia di stupefacenti a seguito della bocciatura della legge n. 49 del 2006 (c.d. “Fini-Giovanardi”).

La sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 ne aveva, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale; non, però, a causa del suo contenuto, bensì per il modo in cui era stata approvata: la “Fini-Giovanardi” era stata inserita all’interno di un provvedimento che si occupava di svariate materia, che anche nel titolo metteva insieme il finanziamento alle Olimpiadi Invernali di Torino e le disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi. In pratica, essa costituiva un ampio emendamento, inserito all’art. 4 vicies ter del d.l. 272/2005, poi convertito nella L. 49/2006 dall’allora Governo Berlusconi.

La “Fini-Giovanardi” aveva modificato sostanzialmente la precedente normativa antidroga, la cosiddetta “Iervolino-Vassalli” del 1990 (poi recepita nel Testo Unico n. 309/1990). Quest’ultima, a sua volta, aveva già subìto alcune modifiche, come quella apportata da una sentenza della Corte Costituzionale nel 1991, la quale precisava che non bastava essere in possesso di un quantitativo di stupefacenti di poco superiore alla “dose media giornaliera” per far sì che scattasse il reato di spaccio, o ancora, quella verificatasi a seguito del referendum abrogativo promosso dai Radicali nel 1993, in conseguenza del quale venne abolita la sanzione carceraria per chi facesse un uso personale di stupefacenti.

La “Iervolino-Vassalli”, inoltre, prevedeva la distinzione tra droghe cosiddette “leggere” e droghe “pesanti” attraverso due apposite tabelle pubblicate dal Ministero della Salute. In virtù di tale distinzione, pertanto, cambiavano anche le sanzioni a seconda del tipo e della quantità di stupefacente posseduto. In particolare, era prevista una reclusione dai due ai sei anni più una multa per la produzione e lo spaccio di droghe “leggere”, mentre si rischiavano dagli otto ai venti anni di carcere se si fosse trattato di droghe “pesanti”. Nel caso, invece, di uso personale, l’art. 75 del T.U. n. 309/1990, prevedeva delle sanzioni amministrative, prima fra tutte un avvertimento del prefetto, al quale seguivano, in caso di recidiva, provvedimenti concreti come la sospensione della patente o del passaporto per un massimo di tre mesi.

La “Fini-Giovanardi”, al contrario, aveva annullato la distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti”, accomunandole in un’unica tabella, mentre in un’altra, suddivisa nelle sezioni A-B-C-D-E, erano stati inseriti i medicinali con effetto stupefacente. A seguito di tale operazione, si era ovviamente verificato un consequenziale inasprimento delle pene, che andavano dai 6 ai 20 anni di carcere in caso di condanna per spaccio e traffico di stupefacenti. Una commissione del Ministero della Salute, inoltre, aveva fissato le quantità massime per uso personale, che per la cannabis, ad esempio, erano di 500 milligrammi di principio attivo (all’incirca cinque grammi lordi). A causa della sua asprezza, la “Fini-Giovanardi” è stata considerata da molti come una delle cause che ha portato al sovraffollamento delle carceri italiane negli ultimi anni, dato che anche per un piccolo spacciatore di marijuana si prevedeva quasi sicuramente il carcere, con pene che andavano dai due ai sei anni.

A seguito della sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale non sarebbe stato più sufficiente ripristinare la “Iervolino-Vassalli”, in quanto contraddittoria con le tante norme approvate nel corso degli anni e perché erano venuti meno tutti gli aggiornamenti intervenuti dal 2006 al 2014, vale a dire la tabellazione delle “nuove droghe” che sono state scoperte. Pertanto, il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto legge n. 36 del 2014 (c.d. decreto Lorenzin), il quale costituisce, ad oggi, la normativa principale in materia di stupefacenti in Italia.

Innanzitutto, attraverso la L. 79/2014 è stato modificato il sistema delle tabelle pubblicate dal Ministero della Salute, diventate cinque:

  • Tabella I: droghe pesanti;
  • Tabella II: cannabis e derivati, comprese le preparazioni medicinali;
  • Tabella III: barbiturici;
  • Tabella IV: sostanze meno gravi di quelle comprese nelle Tabelle I e III:
  • Tabella V: medicinali, suddivisa nelle sezioni A-B-C-D.

Altra importante modifica, adottata prima della sentenza n. 36/2014 della Corte Costituzionale, attraverso il decreto legge n. 146 del 2013 (convertito nella L. 10/2014)  è quella riguardante il quinto comma dell’art. 73, il quale recita:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.

Emerge chiaramente come vi sia stata una sostanziale riduzione delle pene previste, con un ritorno alle disposizioni della “Iervolino-Vassalli”, non solo, però, per le droghe “leggere”, ma anche per quelle “pesanti”. Va peraltro precisato che il quinto comma dell’art. 73 non costituisce più una circostanza attenuante, bensì una fattispecie autonoma di reato.

Alla luce di ciò è interessante soffermarsi  sulle applicazioni pratiche di tali disposizioni. In particolare, va precisato anzitutto che, nel caso di successione di leggi penali nel corso del tempo, si applicherà la norma più favorevole tra quelle intercorse, ai sensi dell’art. 2, co. 4, c.p. Dunque, per fatti verificatisi dopo il 23 dicembre 2013, verrà applicato il nuovo quinto comma dell’art. 73, così come sopra riportato.

In merito ai processi ancora pendenti per fatti precedenti al 23 dicembre 2013, la dichiarazione di illegittimità della “Fini-Giovanardi”, ha fatto sì che non fosse mai stato abrogato il quinto comma dell’art 73, così come previsto dalla “Iervolino-Vassalli”, il quale prevedeva la reclusione da uno a sei anni nel caso di droghe “pesanti” e da sei mesi a quattro anni, nel caso di droghe “leggere”. Essendo la nuova disciplina più favorevole per quanto riguarda i fatti concernenti droghe “pesanti”, dovrà senz’altro essere applicata proprio in qualità di lex mitior sopravvenuta, mentre per i fatti riguardanti droghe “leggere” si dovrà stabilire caso per caso quale sia la norma più favorevole, in relazione alla natura meramente circostanziale del quinto comma dell’art. 73 nella sua versione della “Iervolino-Vassalli” e alla sua mutata natura nella versione oggi vigente, in quanto, come visto, si prefigura come fattispecie autonoma di reato.

Per quanto riguarda, invece, i processi già passati in giudicato, le pene inflitte non potranno essere cambiate dalla nuova normativa; nel caso di via libera da parte delle Sezioni Unite, vi sarà, dunque, esclusivamente la possibilità di sostituire la pena irrogata con quella che sarebbe stata comminata in presenza del quinto comma dell’art. 73 nella sua versione originaria (“Iervolino-Vassalli”).

Il nuovo quinto comma dell’art. 73 verrà sempre applicato per i processi ancora in corso, ad eccezione dei fatti avvenuti prima del 23 dicembre 2013 e concernenti droghe “leggere”, per i quali risulterà più favorevole applicare la versione della “Iervolino-Vassalli”, in quanto circostanza attenuante e non fattispecie autonoma di reato.

Per quanto riguarda ancora le ricadute processuali, va precisato che il nuovo quinto comma consentirà l’arresto in flagranza di reato (ai sensi dell’art. 381 co. 1 c.p.p.), ma renderà del tutto inapplicabile la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto il massimo di pena previsto è di quattro anni, diversamente da quanto disposto dall’art. 280 co. 2 c.p.p. che così recita:

La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati, tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni.

Inoltre, il nuovo massimo di pena commutabile di quattro anni darà agli imputati la possibilità di chiedere l’ammissione al nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova, così come previsto dai nuovi artt. 168-bis e ss. c.p.

Altra importante modifica operata è stata la reintroduzione del comma 5-bis dell’art. 73 del T.U., il quale consente di sostituire le pene detentive e pecuniarie per i delitti di cui all’art 73 co. 5 con la pena del lavoro di pubblica utilità.

Si capisce chiaramente, pertanto, che l’intento del legislatore, attraverso le modifiche apportate all’art. 73, è stato quello di evitare la misura carceraria per fatti di lieve entità in materia di stupefacenti.

Infine, la legge di conversione del d.l. n. 36/2014 ha consentito di colmare il vuoto che si era venuto a creare con la “Fini-Giovanardi” per ciò che concerne l’uso personale di stupefacenti e, dunque, le diverse sanzioni amministrative previste dall’art. 75 del T.U. Il legislatore, difatti, commina ora diversi tipi di sanzioni amministrative a seconda che il fatto di importazione, esportazione, ricezione, acquisto o detenzione per farne uso personale riguardi droghe “leggere” o “pesanti”.  Nello specifico, l’art. 75 ,co.1-bis, così recita:

Ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene conto delle seguenti circostanze:

  1. che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa non sia superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministero della Salute, di concerto con il Ministero della Giustizia, sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri—Dipartimento delle politiche antidroga, nonché delle modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso esclusivamente personale:
  2. che i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto.

Dalle nuove disposizioni di suddetto articolo, risulta come sia stata nuovamente prevista l’emanazione da parte del Ministero della Salute e di concerto con il Ministero della Giustizia dei decreti relativi ai massimi di sostanza stupefacente destinata ad un uso personale. Tale formula, però, non indica espressamente i criteri ai quali si dovrà attenere il Ministro della Salute nel fissare tale quantitativo e, pertanto, ciò potrà dipendere da una semplice decisione dell’autorità amministrativa.

Gennaio 2015                                                                      (A cura del dott. Fabrizio Cutrupi)