A 40 anni dall’agguato mafioso che uccise Pio La Torre e Rosario Di Salvo, è importante ricordare la storia del segretario regionale del Partito Comunista e della sua idea di lotta alla mafia che mise le basi di un sistema normativo di contrasto da non cancellare.
di Enzo Ciconte*
Pio la Torre morì in una di quelle rare giornate uggiose palermitane in un agguato mafioso assieme a Rosario Di Salvo, suo compagno di partito, il 30 aprile 1982, esattamente 40 anni fa. Quando fu ucciso era deputato e segretario regionale del PCI in Sicilia. Lui, figlio di un contadino, era nato in una famiglia poverissima palermitana. Il padre voleva che il figlio seguisse quella scia così come aveva fatto suo nonno e il nonno di suo nonno. Ma Pio aveva altri progetti, voleva andare a scuola, studiare, imparare, conoscere.
Sorretto dalla madre analfabeta, e grazie ad una forza di volontà eccezionale per la sua giovanissima età, lavorò nei campi assieme a suo padre e riuscì a completare gli studi. A quel tempo, nella sua casa e nella frazione dove viveva non c’era la luce elettrica e lui studiava a lume di candela; per bere bisognava fare un chilometro a piedi prima di raggiungere una sorgente d’acqua.
La realtà dei contadini e dei braccianti lo segnerà tutta la vita sia quando faceva il sindacalista nella Federterra sia quando fu arrestato, giovanissimo, per aver aiutato i contadini ad occupare le terre, occupazione che gli costò la reclusione di 17 mesi all’Ucciardone, sia quando lavorò alla Sezione agraria del PCI, partito al quale si iscrisse proprio quando diventò matricola all’università di Palermo. Si forgiò politicamente percorrendo palmo a palmo tutta l’isola.
Comunista contro la mafia
Essere comunisti nella Sicilia di quegli anni era molto difficile anche perché era un impegno totalizzante che assorbiva per intero tutte le energie per il riscatto di una terra martoriata dal banditismo e dalla mafia, sfregiata dalla speculazione edilizia, compressa nei diritti e arretrata in gran parte delle sue campagne. L’impegno di La Torre si caratterizzò sui temi del movimento contadino e su quelli tipici della tradizione del meridionalismo democratico. Dalla passione e dall’adesione alle problematiche sociali, nacque in lui l’impegno antimafia che andò crescendo sempre di più. È del 1976 il suo testo più significativo, la Relazione di minoranza presentata alla commissione antimafia, poi pubblicata in volume dagli Editori Riuniti con il titolo Mafia e potere.
Dall’idea alla legge decisiva
Maturerà in lui la convinzione che per sconfiggere i mafiosi era necessario aggredire sia sul piano della repressione personale sia togliendo loro i patrimoni accumulati, i possedimenti acquisiti con la violenza e con i traffici criminali. Era una vera e propria rivoluzione copernicana che rovesciava in modo radicale l’impostazione precedente proponendo un modello di repressione giudiziaria estremamente impegnativo. L’idea di sottrarre i beni illegali e criminali mise in allarme i mafiosi e le forze economiche e politiche ad esse collegate.
Queste capirono il pericolo che stavano correndo e agirono di conseguenza. Quando fu approvata la legge che porta il suo nome e che introdusse l’art. 416 bis nel codice penale si aprì la strada per introdurre le norme per le misure di prevenzione. Quella legge è stata il colpo mortale, l’avvio di una nuova stagione di lotta alla mafia e l’apertura di un periodo che avrebbe visto la sconfitta dei corleonesi, il gruppo più sanguinario nella storia di tutte le mafie. Fu grazie ad essa che fu possibile portare i mafiosi nelle aule dei tribunali per rispondere di associazione mafiosa. Il famoso maxi processo di Palermo che si concluse, per la prima volta nella storia giudiziaria, con la condanna di tutti capi mafia non sarebbe mai stato avviato senza quella legge.
Non cancellare ma proseguire
Adesso – approfittando del clima generale di un’opinione pubblica distratta e preoccupata da nuove emergenze, la pandemia e la guerra in Ucraina – c’è chi vorrebbe smontare l’impianto prodotto da quel felice intuito di La Torre (si propone addirittura una radicale revisione della legge perché, si dice, la mafia è cambiata e non spara più come prima) e vorrebbe mettere in discussione le misure di prevenzione a cominciare dalle interdittive antimafia che, semmai, andrebbero corrette nel caso si valutasse che non funzionino, ma non cancellate. Credo che sarebbe un errore esiziale nella lotta contro le mafie che bisogna assolutamente evitare.