Fu un pioniere della lotta alla mafia, quando questa non era ancora stata riconosciuta come reato. Ma soprattutto Cesare Terranova, giudice e parlamentare, fu uno dei primi che provò a mappare il Dna di Cosa nostra. Ne dedusse un’organizzazione articolata in cellule, o meglio cosche, «a volte collegate a volte in contrasto», a capo delle quali c’erano dei capimafia più o meno influenti.
Parte da qui il nostro viaggio dentro una nuova puntata #Contagiamocidicultura, accompagnati da “Cesare Terranova. Giudice onorevole” (Mesogea, 2023), opera prima di Luca Gulisano, professore di Letteratura e uno degli animatori dell’associazione Memoria e Futuro, con cui da anni si occupa di dibattiti pubblici e di laboratori antimafia nelle scuole.
Uno degli aspetti più significativi del volume è la sua capacità di raccontare Cesare Terranova prima ancora che giudice, come uomo: «una sostanza umana straordinaria», fatta di ideali e di una profonda umanità. «Anche dopo aver guardato il male negli occhi, non ha mai perso il candore di un bambino, quello che lui chiamava il pregio della lealtà», ricorda Luca Gulisano.
Grazie ad un’approfondita ricerca storica e documentale e ad un’analisi dettagliata del suo operato, emerge il profilo di una figura straordinaria, il cui sacrificio è stato un punto di svolta nella consapevolezza collettiva sulla necessità di contrastare la mafia con determinazione. Nelle sue molte vite, prima da giudice, poi da parlamentare e infine nuovamente indossando la toga, Terranova affrontò con coraggio i poteri oscuri che sostenevano Cosa Nostra.
«Da pioniere portò avanti una vera e propria scommessa, spesso da solo, prima dai banchi della Giustizia e poi a Montecitorio», spiega l’autore. «Questo gli permise di essere in anticipo di dieci, vent’anni sugli uomini del suo tempo. Molto prima di Falcone e Borsellino aveva avuto il coraggio di scrivere nelle sue sentenze che c’erano rapporti fortissimi che legavano uomini di Cosa Nostra, a personaggi chiave dell’amministrazione della politica in Sicilia e in tutta Italia».
«Non possiamo pensare che la storia dell’antimafia sia nata alla metà degli anni ’80 o sia legata solo alle stragi degli anni ’90. Anzi, dobbiamo cercare di scoprire cosa ha significato che decenni prima c’era chi aveva preparato quel terreno, patendo anche sconfitte e anche a costo della vita, ma sempre in nome della serietà e del rigore», spiega ancora l’autore.
La mattina del 25 settembre 1979 Cesare Terranova cadde in un’imboscata. La Fiat 131 della scorta guidata dallo stesso giudice fu bersagliata da un fuoco di fila. Una pioggia di proiettili si abbatté su Terranova e sull’agente di scorta Lenin Mancuso, con lui da oltre un decennio. Un’esecuzione feroce. I sicari spararono un ultimo colpo a bruciapelo al giudice, mentre Mancuso morì in ospedale dopo una lenta agonia.
Ricordare Cesare Terranova e Lenin Mancuso è importante per non dimenticare figure di primo piano della lotta alla mafia, ma soprattutto perché il loro lavoro ha disegnato una traccia fondamentale per la comprensione delle organizzazioni mafiose. Luca Gulisano costruisce un’opera che non è solo una biografia, ma anche una riflessione sull’Italia di quegli anni, sulle sue contraddizioni e sulle sue battaglie irrisolte.
Un libro consigliato a chi vuole conoscere meglio una delle personalità più importanti della storia giudiziaria italiana, comprendere i legami fra le mafie e il tessuto politico ed economico-finanziario, ma anche imparare a conoscere i semi di un cambiamento che da quel momento iniziò un lungo percorso ancora in atto.