“Magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno demolito la presunzione mafiosa di un ordine parallelo, svelando ciò che la mafia è nella realtà: un cancro per la comunità civile, una organizzazione di criminali per nulla invincibile, priva di qualunque onore e dignità”. È il messaggio forte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del trentunesimo anniversario della strage di Capaci, che coincide con la Giornata per la legalità e il contrasto alla criminalità mafiosa.
Alle 17.57 del 23 maggio 1992 una carica di 500 chili di tritolo ha sventrato l’autostrada che dall’aeroporto di Cinisi porta a Palermo, all’altezza di Cinisi. Le tre Fiato Croma blindate con a bordo i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli agenti di scorta vengono sbalzate in aria da una terribile esplosione. Nell’attentato, oltre a Falcone e Morvillo muoiono Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani. Mentre si salvano miracolosamente Giuseppe Costanza, Angelo Corbo, Paolo Capuzza e Gaspare Cervello.
Quel giorno Cosa nostra, la mafia siciliana, dichiarò guerra allo Stato, inaugurando una strategia terroristica del gruppo mafioso dei Corleonesi, capeggiato da Totò Riina. Una reazione selvaggia e brutale di una mafia braccata dall’impegno delle forze dell’ordine, della magistratura, della società civile, da pezzi di uno Stato che rifiutava i compromessi. Tutti protagonisti, ognuno nel proprio ruolo, di una stagione di rinascita iniziata con Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Cesare Terranova, Rocco Chinnici e proseguita fino alle condanne decretate nel corso del maxiprocesso di Palermo, confermate dalla Cassazione.
Meno di due mesi dopo, il 19 luglio 1992, sarebbe toccato a Paolo Borsellino, amico e collega di Giovanni Falcone. Insieme avevano ottenuto enormi risultati lavorando nel pool antimafia di Palermo nato da un’idea di Rocco Chinnici e portato avanti da Antonino Caponnetto.
“L’azione di contrasto alle mafie va continuata con impegno e sempre maggiore determinazione. Un insegnamento di Giovanni Falcone resta sempre con noi: la mafia può essere battuta ed è destinata a finire”, aggiunge il presidente Mattarella. Una lezione che il nostro Paese è obbligato a imparare ogni giorno. Consapevoli che la memoria non è un esercizio fine a sé stesso.
Dobbiamo coltivarla sapendo che solo così possiamo acquisire gli strumenti utili per vincere la sfida contro le mafie. Le organizzazioni criminali si sono evolute, hanno cambiato pelle. Uccidono meno e corrompono di più. E hanno sempre lo stesso obiettivo: acquisire potere e ricchezza. Ecco perché abbiamo bisogno di strumenti legislativi, amministrativi, educativi.
Alle azioni repressive di forze di polizia e magistratura, è necessaria la forza delle persone, dei cittadini e degli enti locali, che sono l’avamposto dello Stato sui territori, dove le cose avvengono. I sindaci, gli amministratori locali possono garantire una presenza preziosa in termini di allargamento dei diritti nelle città e quindi di prevenzione culturale e sistemica contro le attività di espansione sociale dei gruppi criminali.
Quei servitori dello Stato dilaniati 31 anni fa, sono più che mai vivi nell’impegno, che ogni giorno profondiamo per realizzare la profezia di Giovanni Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.