LA MAFIA AL NORD NON SPARA MA È VIOLENTA

A NOVEMBRE LA VASTA OPERAZIONE ANTIMAFIA “VICO RAUDO”, COORDINATA DALLA DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA DI MILANO, HA COLPITO LA COSIDDETTA “LOCALE DI ‘NDRANGHETA RHO”. 49 LE PERSONE ARRESTATE, APPARTENENTI ALL’ORGANIZZAZIONE CRIMINALE DEDITA AL TRAFFICO DI STUPEFACENTI E AL RICICLAGGIO, AZIONI SVOLTE CON L’UTILIZZO ANCHE DI MINACCE E INTIMIDAZIONI. ATTI DI VIOLENZA A BASSA INTENSITÀ CHE HANNO SOTTOMESSO VITTIME “NASCOSTE”. ASPETTI ENTRAMBI DI CUI SI PARLA POCO, MA CHE RAPPRESENTANO PER I RAPPRESENTANTI DELLA POLIZIA E DELLA MAGISTRATURA CARATTERISTICHE DELLE MAFIE AL NORD CHE VANNO APPROFONDITE.
il contributo di mario portanova*

Quando si discute di lotta alla mafia, delle vittime non parla più nessuno. Esistono solo quelle di un passato sempre più lontano, cristallizzate nelle celebrazioni, nella memoria. Ma le vittime di oggi?  “La mafia non spara più”, si sente ripetere da tempo, il che è ovviamente un bene. Ma questo non significa che non usi più la violenza. E che non esistano più le vittime di mafia. E questo vale anche per il Nord Italia, dove è più radicato il luogo comune di una mafia fatta esclusivamente di “colletti bianchi”, “in giacca e cravatta” – se non addirittura “laureati a Oxford” – armati non di pistola ma di master e smartphone.

Invece anche al Nord la mafia, in particolare la ’ndrangheta, continua a esercitare una violenza che potremmo definire a bassa intensità: pestaggi, minacce, roghi di auto e attività economiche. Il dosaggio è sapiente: quel tanto che basta per piegare la vittima, quel poco che basta a evitare i riflettori dei media e delle forze dell’ordine. Le indagini degli ultimi decenni sono zeppe di queste vittime nascoste, che peraltro quasi mai denunciano. Si tratta di commercianti vittime di estorsioni, di imprenditori usurati in difficoltà con i pagamenti, di concorrenti scomodi, di fornitori, clienti e lavoratori con qualche contenzioso aperto nei confronti di un’azienda mafiosa.

A novembre, un’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Milano ha colpito la locale di ’ndrangheta di Rho, comune alle porte di Milano famoso per aver ospitato l’Expo2015. Nell’intercettazione ambientale il presunto capo della locale, da poco scarcerato, esplicita che a Rho “è tornata la legge della ’ndrangheta”. Le carte dell’inchiesta mostrano un campionario mafioso decisamente vecchio stile. Quando si tratta di intimidire le vittime di estorsione gli uomini della locale pensano di recapitare una testa di maiale o di agnello, opportunamente reperita dal macellaio.

Diversi indagati girano “accavallati”, cioè con la pistola. Secondo l’indagine condotta dalla Squadra mobile di Milano, pestaggi e intimidazioni a debitori, o presunti tali, erano all’ordine del giorno.  “La narrazione, talvolta sostenuta, di una ’ndrangheta evolutasi al punto da abbandonare l’aspetto militare in favore di strategie criminali più sofisticate non è del tutto precisa”, ha commentato a margine dell’operazione il prefetto Francesco Messina, Direttore centrale dell’Anticrimine, investigatore di grande esperienza sul fronte della lotta alla mafia.

Volto buono e violenza a bassa intensità

Il punto è che una cosa non esclude l’altra. Secondo l’accusa, gli uomini della locale di Rho reinvestivano nell’acquisto di locali pubblici, soprattutto bar e pub, i profitti della droga. Facevano affari in settori puliti, ma tiravano fuori la pistola quando serviva, anche se di solito sono più che sufficienti la minaccia, l’intimidazione o la sola potenza di certi cognomi noti da decenni in determinati territori lombardi. 

Alessandra Dolci, coordinatrice della Dda di Milano, pochi giorni dopo gli arresti è intervenuta proprio a Rho in un’iniziativa pubblica sulla lotta alla mafia organizzata mesi prima (per inciso, l’auditorium Padre Reina era stipato da 350 persone, compresi moltissimi studenti). Ha spiegato che le teste di maiale e agnello colpiscono l’immaginario, ma che oggi la maggior parte delle indagini del suo ufficio sono incentrate su attività assai meno scenografiche: società “apri e chiudi”, fallimenti pilotati, false fatturazioni, evasione fiscale e degli obblighi contributivi.

La ‘ndrangheta al Nord, ha raccontato, mostra sempre più un volto “buono”: si propone agli imprenditori come fornitrice di servizi, naturalmente a prezzi stracciati rispetto a quelli di mercato. Si presenta come “problem solver”. “È il cambiamento più importante che abbiamo registrato dai tempi dell’inchiesta Crimine-Infinito”, ha affermato Dolci, riferendosi all’inchiesta-spartiacque che nel luglio 2010 ha portato all’arresto di oltre 300 persone fra Lombardia e Calabria. Anche allora economia pulita e traffici criminali coesistevano nelle 16 locali lombarde venute alla luce, ma oggi il primo aspetto tende a prevalere, sempre di più.

La violenza a bassa intensità è una scelta strategica. Nelle carte dell’inchiesta di Rho si legge che i presunti vertici della locale si mostravano “ben consapevoli che l’attirare l’attenzione con atti di intimidazione più plateali avrebbe di fatto arrecato danno alla varie attività”, dunque si sono sempre dimostrati “ben accorti nel non esagerare, evitando quando possibile esplicite richieste estorsive, ad esempio, sul territorio di Rho, mascherandole in una modalità più sottile, ovvero una mera richiesta di aiuto/contributo economico”.

Non avranno tutti studiato a Oxford, ma gli ’ndranghetisti capiscono perfettamente il meccanismo per cui fatti di sangue eclatanti possono diventare controproducenti perché risvegliano l’attenzione degli investigatori, dei giornalisti, della politica. L’omicidio di Carmelo Novella, importante boss ammazzato in pieno giorno mentre beveva il caffè in un bar di San Vittore Olona, in provincia di Milano, il 14 luglio 2008, portò una fiammata di consapevolezza sulla presenza della ’ndrangheta in Lombardia, poi definitivamente (si spera) cristallizzata due anni più tardi dall’operazione Crimine-Infinito.

Un anno più tardi, un’indagine su Lonate Pozzolo, il paese in provincia di Varese che ospita l’aeroporto di Malpensa, portò alla luce un clan di ‘ndrangheta che operava in modo particolarmente sfacciato. Nei primi anni 2000 c’era stata una faida con almeno quattro omicidi, uno dei quali ripreso integralmente dalle telecamere di sorveglianza del bar dove si è consumato, di fronte a un bel po’ di clienti.

I locali presi di mira dal pizzo andavano a fuoco ed erano bersagliati di proiettili. Chi non voleva pagare veniva minacciato platealmente e pestato. Il processo ha poi accertato che altri ’ndranghetisti della zona avevano decretato la condanna a morte del boss di Lonate Pozzolo, Mario Filippelli, perché il suo modo di gestire le attività criminali rischiava di attirare troppo l’attenzione. Come infatti è stato, prima che i killer riuscissero a passare all’azione. La violenza è un rubinetto che la mafia può aprire o chiudere secondo le strategie del momento“Non sparare” può essere una scelta e non necessariamente un sintomo di assenza o irrilevanza.

*Giornalista de Il Fatto quotidiano, membro del comitato scientifico di Avviso Pubblico

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