Ecomafie ed Enti Locali

In occasione della presentazione del Rapporto Ecomafia 2016, che si è tenuta in Senato lo scorso 5 luglio, Avviso Pubblico ha intervistato Antonio Pergolizzi, Coordinatore dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente. Il Rapporto, redatto da Legambiente dal 1994, analizza e studia l’operare della criminalità organizzata nel grande business legato al traffico e smaltimento illecito di rifiuti, all’abusivismo edilizio, al saccheggio dei beni archeologici e al commercio illegale di specie protette.


I reati ambientali gestiti per mano della criminalità, in particolare di quella organizzata, sono molto radicati. Quali sono i dati che emergono dal Rapporto di Legambiente?
Quello che emerge dall’ultimo Rapporto, che fa riferimento ai fatti accaduti nel 2015, è senza dubbio una crescita dell’incidenza dei reati ambientali nelle regioni a tradizionale insediamento mafioso, dove si sono registrate più del 48% delle infrazioni. La regione con il maggior numero di illeciti ambientali nel 2015 è stata la Campania con 4.277 reati, più del 15% sul dato complessivo nazionale, seguita da Sicilia (4.001), Calabria (2.673), Puglia (2.437) e Lazio (2.431).

Secondo le vostre stime, a quanto ammonta il fatturato delle cosiddette “ecomafie”?
Il business stimato nel 2015 è di 19,1 miliardi, in leggera flessione rispetto all’anno precedente, quando aveva sfiorato i 22 miliardi. Un calo probabilmente dovuto alla netta contrazione degli investimenti a rischio nelle quattro regioni sopra citate, che hanno visto nell’ultimo anno una riduzione della spesa per opere pubbliche e per la gestione dei rifiuti urbani sotto la soglia dei 7 miliardi.

Dal Rapporto emerge che sia il ciclo illegale del cemento sia quello dei rifiuti hanno registrato una contrazione del numero di illeciti. Sono invece aumentati i reati contro gli animali e gli incendi. Come vi spiegate questo scenario?
Con ogni probabilità stiamo assistendo a una rimodulazione della pressione ecocriminale, anche a seguito dell’introduzione nel codice penale dei nuovi delitti ambientali, con i quali gli inquinatori, oggi, devono fare fronte. Il ciclo illegale del cemento e quello dei rifiuti hanno registrato, infatti, una contrazione del numero di illeciti, rispettivamente del 16,7% e del 29,4%. Sono cresciuti, invece, i reati contro gli animali (+6%) e gli incendi, addirittura con un’impennata che sfiora il 49%. Rispetto a quest’ultimo dato colpiscono soprattutto gli ettari di superficie andati in fumo, più di 37.000, e la loro collocazione geografica: più del 56% si è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso, a riprova che le decisioni sulla vita e sulla morte delle nostre montagne in questi territori troppe volte dipendono dalla presenza delle famiglie di mafia.

Dal Rapporto “Amministratori sotto tiro” redatto annualmente da Avviso Pubblico emerge che una parte consistente delle minacce subite dagli amministratori locali è collegata proprio a battaglie contro le problematiche di carattere ambientale, in particolar modo il contrasto alle infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti e dell’edilizia. Quali dati emergono dal vostro Rapporto?
Le amministrazioni locali sono i custodi principali dei beni comuni e delle risorse ambientali. E’ logico, quindi, che siano in prima linea contro ecomafia ed ecocriminalità. Le amministrazioni locali sovrintendono ai processi di pianificazione urbanistica ed economica, elaborano le politiche sulla gestione e tutela del territorio e di alcuni servizi pubblici essenziali, come i rifiuti. Essi, inoltre, fissano le regole in materia urbanistica e di rischio sismico e idrogeologico e collaborano nell’attuazione delle politiche ambientali nazionali e regionali. Rappresentando il livello di governo più vicino ai cittadini, svolgono quindi un ruolo fondamentale nel sensibilizzare, mobilitare e rispondere alla cittadinanza per promuovere lo sviluppo sostenibile e in armonia con il tessuto sociale di riferimento. Sullo stesso terreno operano le organizzazioni criminali e mafiose che mirano a controllare i territori e di conseguenza l’ambiente nel suo complesso. Per questo motivo gli amministratori pubblici sono in prima linea ogni qual volta vogliono provare a gestire il proprio territorio nell’interesse collettivo, rispettando l’ambiente e l’economia sana.

Qual è una storia che ha suscitato la vostra particolare attenzione?
Riportare la legalità in molti contesti continua a essere un gesto davvero rivoluzionario, capace di scatenare reazioni estreme, anche rispetto a provvedimenti del tutto “normali”, laddove è ancora possibile usare questo termine. A Licata, in provincia di Agrigento, il Sindaco Angelo Cambiano è stato oggetto di minacce di ogni tipo – giunte fino all’incendio della casa del padre – semplicemente per aver dato seguito a sentenze irrevocabili di abbattimento di case totalmente abusive, tirate su entro i 150 metri dalla battigia, cioè in zone di inedificabilità assoluta. Per la scelta di voler liberare il lungomare di Licata dallo sfregio di una trentina di immobili abusivi il Sindaco oggi è sotto scorta e oggetto di pesanti invettive. La vicenda di Licata diventa così paradigmatica di un fenomeno, l’abusivismo edilizio, che continua a essere una vera piaga per il Paese.

Nel suo Rapporto, Avviso Pubblico ha censito anche i casi in cui sono stati minacciati i presidenti di parchi …
Un recente esempio è quello dell’attentato all’attuale Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. È stato sufficiente chiedere trasparenza e un ritorno alla normalità nel sistema dell’assegnazione delle terre pubbliche, assegnate in passato senza bando alle famiglie del posto, perché i clan mettessero mano alle pistole, con una furia spaventosa. La scelta di Antoci, riportare la legalità nel sistema di assegnazione delle terre pubbliche, ha significato far perdere alle famiglie mafiose qualcosa come 5 miliardi di euro nell’arco di 20 anni. Minacce in stile mafioso sono giunte in questi mesi anche al presidente del parco nazionale dell’Aspromonte Giuseppe Bombino, che ha trovato una testa di capretto mozzata sul cofano della sua auto. Qualche anno fa attenzioni del genere erano giunte anche al presidente del parco del Pollino Domenico Pappaterra, tramite la solita lettera intimidatoria con tanto di proiettile. È fin troppo evidente che i parchi e in genere le aree protette sono di interesse strategico per le mafie, le quali coltivano il loro consenso sociale e radicano il loro potere economico e politico.

Leggendo il Rapporto Ecomafia si evince come la corruzione diffonda il malaffare anche in campo ambientale…
La corruzione facilita ed esaspera il malaffare in campo ambientale, aprendo varchi nella pubblica amministrazione e tra gli enti di controllo, trasformando gli interessi collettivi in miserabili interessi privati, dando così la stura al sistematico saccheggio dei beni comuni. Censendo solo le inchieste più significative, in cui la corruzione è stata usata come testa d’ariete per commettere reati ambientali, in un arco temporale che corre dal 1° gennaio 2010 al 31 maggio 2016, ne abbiamo contate 302, con 2.666 persone arrestate e 2.776 denunciate. È la Lombardia la regione con il numero più alto di indagini (40), seguita dalla Campania (39), dal Lazio (38), dalla Sicilia (32) e dalla Calabria (27). A prescindere dalla dislocazione geografica, la corruzione appare ovunque come il principale ostacolo per la gestione virtuosa e responsabile degli ecosistemi, soprattutto nei settori dei rifiuti e dell’edilizia.

Lo scorso anno sono stati introdotti nel nostro codice penale, attraverso la legge 68/2015, specifiche fattispecie di reato contro l’ambiente. Ad un anno di distanza quali sono i primi risultati?
È troppo presto poter esprimere valutazioni puntuali, ma uno degli effetti prodotti è stato l’aumento degli arresti: nel 2015 sono stati quasi il 18% in più sul 2014, precisamente 188. Quello che noi ci auguriamo, e che crediamo possa essere una delle conseguenze del nuovo sistema sanzionatorio sul versante preventivo, è che porti una riduzione dell’illegalità “diffusa”. Sul versante repressivo ci sarà invece una maggiore efficacia delle attività di contrasto, misurabile anche con il numero di ordinanze di custodia cautelare emesse.

Ma è anche necessario che la cittadinanza si responsabilizzi…
Assolutamente sì. L’investimento di energie sull’educazione ambientale è una delle possibili vie che si possono intraprendere per comprendere la complessità del reale e prendere coscienza della necessità di modificare la relazione uomo-natura, passando da una visione del mondo che vede l’uomo dominante sulla natura a una visione che vede il futuro dell’uomo come parte inseparabile del futuro della natura. Sono riflessioni che delineano nuove finalità formative, che favoriscano la percezione, l’analisi e la comprensione dei cambiamenti, al fine di diventare cittadini consapevoli e responsabili nei confronti di sé, dell’ambiente e della comunità intesa non solo come società di appartenenza, ma anche come pianeta. Senza il supporto di ognuno di noi le cose non cambieranno mai.


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