ANZIO E NETTUNO SCIOLTI PER MAFIA DIVENTINO LABORATORIO DI RIGENERAZIONE

Il Consiglio dei Ministri ha decretato lo scioglimento del Comune di Anzio e nominato una commissione straordinaria per quello di Nettuno, già sciolto a giugno scorso. La decisione arriva dopo l’operazione denominata Tritone che ha portato all’arresto di 65 persone come conseguenza di un’indagine della Dda di Roma sulle presunte infiltrazioni della ‘‘ndrangheta nelle due amministrazioni locali. Il Presidente dell’Osservatorio Legalità e sicurezza della Regione Lazio ricostruisce la storia decennale delle presenze criminali nel territorio e auspica una rinascita collettiva durante il periodo di commissariamento dei comuni.
Il contributo di Gianpiero Cioffredi*

Lo scioglimento per mafia dei comuni di Anzio e Nettuno non ci coglie di sorpresa perché rappresenta l’esito inevitabile dell’inchiesta “Tritone” che nel febbraio scorso ha inferto un colpo durissimo alla locale di ‘ndrangheta, costituita da esponenti delle famiglie Modafferi, Gallace, Perronace, Tedesco, che operava come distaccamento del locale di Santa Cristina d’Aspromonte. Dalle indagini del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri coordinate dalla Dda di Roma emerge uno scenario inquietante che disvela un reticolo di relazioni della ‘ndrangheta in grado di dispiegare la sua azione sia sul versante criminale sia su quello politico ed economico.

In realtà nel comune di Nettuno da giugno si è insediata una Commissione prefettizia a seguito dello scioglimento del Consiglio Comunale per non aver approvato il rendiconto di gestione per l’esercizio finanziario del 2021. Commissione ordinaria che verrà presto sostituita da una Commissione Straordinaria per i prossimi 18 mesi anche a Nettuno, città già sciolta per mafia nel 2005 per “la complessiva sussistenza di fattori di inquinamento dell’azione amministrativa rivolta a favorire soggetti collegati ad ambienti malavitosi.”

Storia di una infiltrazione decennale

Le cittadine di Anzio e Nettuno sorgono a 60 km dalla capitale. Sono due realtà ricche di storia. Eppure, in queste comunità che hanno rispettivamente una popolazione di 55.413192 per Anzio e 47.332193 per Nettuno convivono pericolose organizzazioni criminali (‘ndrangheta e camorra) accanto a consorterie locali dedite al narcotraffico internazionale. La ‘ndrangheta calabrese in questo territorio è presente da 50 anni.

I primi provvedimenti restrittivi emessi contro soggetti del clan Gallace risalgono al 1983. Le indagini della magistratura, le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, le sentenze passate in giudicato attestano il coinvolgimento della famiglia Gallace in numerose attività illecite: dal sequestro di persona al traffico di droga. Secondo le indagini delle procure di Roma, Milano e Catanzaro il clan rappresenta un centro di riferimento per altre ‘ndrine presenti in Lombardia. Sentenze dei tribunali di Milano e Lecco, di primo e secondo grado testimoniano la rilevanza dei Gallace anche in Lombardia.

Il 25 novembre 2020 la corte di Cassazione ha confermato l’impianto della sentenza d’Appello del Tribunale di Velletri “Appia” contro il clan Gallace, convalidando le condanne per associazione di tipo mafioso e associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Nell’inchiesta “Tritone” all’indomani della quale sono state insediate le Commissioni di Accesso sono state emesse le ordinanze di custodia cautelare a carico di 65 persone, tutti uomini del clan Gallace e della locale di Santa Cristina d’Aspromonte di Anzio e Nettuno. Le manette sono scattate per il capo della locale di ‘ndrangheta di Anzio e Nettuno, Giacomo Madaffari, detto Giacomino.

Il suo bar era il punto di riferimento per molti appartenenti alla “classe dirigente” di Anzio. Secondo i pubblici ministeri della DDA di Roma, Giacomino Madaffari aveva un elevatissimo prestigio criminale che ha usato spesso per evitare omicidi sul territorio e contrasti con altri gruppi criminali. Al vertice della locale ci sono altri due esponenti di spicco dei Gallace: Bruno Gallace, l’uomo dei maxi traffici di cocaina, e Davide Perronace detto il capellone, imprenditore e grande amico di diversi esponenti apicali dell’amministrazione di Anzio.

Il processo di colonizzazione del litorale romano da parte dei nuclei delle famiglie Gallace-Perronace- Tedesco-Maddafari è consolidato e risale agli anni 50-60. Nel maxi-blitz del 17 febbraio scorso è emerso che la locale di ‘ndrangheta attiva su Anzio e Nettuno è in realtà un “distaccamento” della locale di Santa Cristina in Aspromonte, composto da appartenenti della famiglia dei Gallace di Guardavalle e con a capo Giacomo Maddafari, Bruno Gallace e Davide Perronace.

Una locale di ‘ndrangheta “atipica” quello di Anzio/Nettuno, con due associazioni finalizzate al narcotraffico, una capeggiata da Giacomo Madaffari e l’altra da Bruno Gallace, entrambe con doti di altissimo livello della Società Maggiore. Quindi si tratta di coloro che hanno ottenuto la “Santa”, che è un grado elevato per meriti criminosi.  Il Tribunale del riesame di Roma ha evidenziato: “il locale di Anzio e Nettuno capeggiato da Madaffari coincide con lo stesso locale la cui esistenza era stata accertata con sentenza definitiva nel processo Appia essendo emerso dalle ulteriori indagini snodatesi in epoca successiva la perdurante operatività di tale locale dopo che è stata pronunciata la sentenza definitiva di Appia.”

E ancora il Tribunale del riesame chiamato a decidere dei ricorsi sull’applicazione della custodia cautelare ha confermato l’impianto accusatorio evidenziando: ”non può dubitarsi degli elementi costitutivi dell’associazione di tipo mafioso, possedendo la locale stanziata sul territorio di Anzio e Nettuno i medesimi elementi strutturali ed oggettivo–funzionali della cosca mafiosa di ‘ndrangheta calabrese della quale ha mutuato sia la capacità di intimidazione attraverso il collegamento con la componente centrale dell’associazione, sia la capacità di esteriorizzazione ovvero la riproduzione sul territorio locale delle strutture organizzative della casa madre, attraverso l’avvalimento della fama criminale conseguita negli anni nei territori di storico ed originario radicamento.”

La contaminazione

Il clan ha dispiegato la sua azione, contaminando anche il tessuto sociale-economico e politico locale: “la penetrazione della locale di ‘ndrangheta negli enti locali – scrive il gip distrettuale Sabatini – si è ulteriormente concretizzata con l’aggiudicazione degli appalti comunali, sfruttando i rapporti con i compiacenti esponenti degli organi comunali e ricorrendo ove necessario, all’intimidazione con modalità mafiose.” Emissari del clan erano inoltre costantemente alla ricerca di imprese con i requisiti idonei a partecipare agli appalti comunali dicendo agli imprenditori contattati: “L’appalto ce lo famo tra noi”.

Non abbiamo letto le risultanze delle due Commissioni di accesso, ma basta la lettura dell’ordinanza di applicazione della misura di applicazione della custodia cautelare di “Tritone” per rilevare  l’esistenza di elementi “concreti, univoci e rilevanti” su collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali per sancire l’inevitabile scioglimento per mafia di Anzio e Nettuno.

La rinascita auspicata

Ci auguriamo che i Commissari Prefettizi che saranno inviati nei due comuni sviluppino modelli di partecipazione e condivisione con le tante energie positive presenti in quelle comunità. I cittadini di Anzio e Nettuno, le forze sociali e associative devono vivere questo commissariamento come occasione di rigenerazione nel segno della legalità e della bellezza, diventando protagonisti della rinascita di due località tra le più belle del Lazio.

Le istituzioni sostengano le reti civiche gli imprenditori onesti di Anzio e Nettuno che vogliono spazzare via le collusioni, le timidezze, le banalizzazioni, le minimizzazioni e le culture della sopraffazione di cui si nutrono le mafie. E’ il tempo della corresponsabilità e del protagonismo dei cittadini che intendono, ancora una volta, offrire percorsi di speranza in grado di sconfiggere la rassegnazione per essere protagonisti del cambiamento e restituire dignità ad un territorio oltraggiato non dallo scioglimento per mafia, ma dalla criminalità organizzata.

*presidente Osservatorio Legalità e Sicurezza della Regione Lazio

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