Relazione sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati: scheda di sintesi

 

Premessa. Il 20 aprile 2022 la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, costituita il 12 maggio 2021, ha approvato l’omonima relazione, con l’auspicio che, in un prossimo futuro, si possa arrivare ad un impianto normativo che favorisca le stesse tutele per ogni lavoratore (dalla malattia alla maternità fino agli ammortizzatori sociali), indipendentemente dalla tipologia contrattuale a cui è legato.

Nella presente relazione, dopo una prima parte introduttiva dedicata ad una panoramica sui temi della sicurezza dei lavoratori e delle diverse forme di sfruttamento, è presente uno studio innovativo, volto ad analizzare l’impatto sociale ed economico degli incidenti sui luoghi di lavoro in Italia.

 

Capitolo 1 (Una panoramica sui temi della sicurezza sui luoghi di lavoro e sulle forme di sfruttamento alla luce dell’attività svolta dalla Commissione d’inchiesta). L’art. 42, comma 2 della nostra Costituzione pone quali limiti entro cui deve muoversi la libertà d’iniziativa economica, le condizioni di dignità, sicurezza e libertà. Eppure la Commissione, nel suo primo periodo di attività, è riuscita a delineare una serie di costanti e variabili:

  • Ricerca del profitto con modalità, termini e proporzioni prevalenti sulla tutela della dignità, della salute e della sicurezza (aggravio spesa pubblica);
  • Diffusività geografica su tutto il territorio del Paese degli incidenti gravi o gravissimi per cause di lavoro;
  • Incidenza dei sinistri sul lavoro a danno di operai e manovalanza di vario tipo, anelli deboli della catena lavorativa;
  • Trascuratezza rivolta da parte di operatori, media, studi e forze sociali al peso macroeconomico specifico dell’illegalità del lavoro e al rapporto con la politica economica.

Secondo l’analisi della Commissione, le cause ricorrenti degli incidenti, rintracciate nello schiacciamento, nella caduta dall’alto, nell’impatto con macchine e attrezzature, nel coinvolgi­mento del corpo del lavoratore in impianti micidiali, dimostrano che l’evo­luzione del parco tecnologico non è stata accompagnata da una crescita dell’attenzione della formazione e dell’addestramento, che sono i primi strumenti preventivi per insegnare al lavoratore se, come, quando potersi approcciare all’oggetto del proprio lavoro.

 

Capitolo 2 (L’impatto sociale ed economico degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali). L’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima che ogni anno nel mondo 2,8 milioni di persone muoiono per incidenti o malattie legate al lavoro, dei quali circa 400 mila lavoratori sono vittime d’infortuni mortali e 2,4 milioni sono le morti causate da malattie professionali. Si aggiungono più di 374 milioni di lavoratori vittime ogni anno d’infortuni sul lavoro non mortali ma che provocano lesioni gravi e portano ad assenze dal lavoro. A livello europeo, nonostante negli ultimi trent’anni sono stati com­piuti progressi significativi in materia di sicurezza e salute sul lavoro, nel 2018 si sono registrati ancora oltre 3.300 infortuni mortali e 3,1 milioni di infortuni non mortali; inoltre, ogni anno muoiono più di 200.000 lavoratori a causa di malattie professionali. Per l’Italia si fa riferimento ai dati INAIL.

A livello mondiale gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali costano nel 2019 circa 3.050 MLD di euro (quasi il 4% del PIL); a livello italiano, il danno economico causato da infortuni e malattie professionali è risultato, nel 2007, pari a quasi 48 miliardi di euro, ovvero più del 3% del PIL.

Risulta fondamentale stimare i relativi impatti economici e sociali in quanto, un miglioramento delle condizioni di lavoro consente l’aumento di produttività dei lavoratori, con conseguenze importanti sul­l’azienda e sulla società in generale (i Paesi i cui sistemi sanitari e di sicurezza sul posto di lavoro sono inefficaci impiegano risorse preziose per far fronte a infortuni e malattie evitabili). Una strategia nazionale forte comporta numerosi vantaggi:

  • migliora la produttività grazie a un calo delle assenze per malattia;
  • riduce i costi dell’assistenza sanitaria;
  • mantiene in attività i dipendenti più anziani;
  • promuove metodi e tecnologie di lavoro più efficienti;
  • diminuisce il numero di persone che devono ridurre il proprio orario di lavoro per assistere un familiare.

Tuttavia la valutazione di questi impatti risulta di difficile identifi­cazione perché contempera diverse voci difficili da stimare. Recenti studi in materia a livello europeo sottolineano la necessità di trovare un modello standard di riferimento sia per l’individuazione dei dati epidemiologici sia per le stime degli impatti sociali ed economici, dato che che i dati «ufficiali» rappresentano una significativa sotto­stima, non solo per la «fisiologica» reticenza nel denunciare gli eventi, ma anche a causa di una serie di filtri che impediscono la registrazione di alcuni eventi in ogni fase del processo di definizione, classificazione e comunicazione degli stessi (es.: non viene incluso il lavoro nero, il lavoro minorile e varie tipologie di lavoro occasionale). Per valutare l’impatto economico i costi vengono articolati in:

  • Costi diretti facilmente quantificabili in termini monetari, direttamente connessi all’oggetto di costo considerato;
  • Costi indiretti non definiti univocamente e che necessitano di altre stime;
  • Costi intangibili (es. danno reputazionale)

I «costi sociali» devono essere intesi come la somma di tutti i costi collegati all’infortunio e alla malattia del lavoratore e possono essere espressi in termini di impatto sull’abilità della persona colpita da infortunio nel perseguire le sue principali attività sociali, incluso il lavoro, la cura dei membri della famiglia. Le conseguenze sociali riguardano in modo diretto il lavoratore infortunato, ma l’impatto si estende anche ai membri della famiglia, ai colleghi di lavoro, alle compagnie di assicurazione.

In conclusione, nonostante negli ultimi anni si siano sviluppati vari metodi e strumenti per stabilire i costi della salute sul lavoro, non esiste ancora un reale strumento di stima data la complessità e la molteplicità di fattori da prendere in considerazione. Secondo la Commissione, l’adozione di un sistema di misurazione condiviso dei costi economici e sociali dovuti agli infortuni sul lavoro costituisce un obiettivo politico in sé necessario a fare evolvere a livelli superiori le politiche di contrasto e mitigazione degli incidenti sul lavoro.

 

Capitolo 3 (Le nuove forme di sfruttamento in un mondo del lavoro in trasformazione: il caporalato digitale e le cooperative spurie). Nel terzo capitolo viene affrontata la rapida evoluzione del mercato del lavoro e della società, emersa quale effetto della globalizzazione e della rivoluzione digitale.

La figura del datore di lavoro costituisce spesso l’occasione favorevole per la nascita di nuovi fenomeni di sfrutta­mento del lavoro, quale ad esempio il caporalato digitale, dove i lavoratori della gig economy hanno sostituito i braccianti agricoli. Le nuove tecnologie stanno mutando radicalmente la dimensione spaziotemporale dei luoghi di lavoro (per i rider i luoghi di lavoro sono le città; per i nuovi operai dell’Industria 4.0 i cd. cyberphysi­ cal workplace, luoghi di lavoro in cui software ed algoritmi sono complementari agli hardware: macchine, robot, computer, braccialetti o visori di realtà aumentata). Il tempo di lavoro è ormai calcolato minuziosamente sul tempo effettivamente lavorato e valutato da scrupolosi ed invasivi strumenti di performance metrics.

Ma il pericolo più profondo è che l’algoritmo e l’intelligenza artificiale possano diventare uno strumento prescrittivo senza controllo. Gli algoritmi funzionano principalmente come sistemi atti a produrre canoni da considerare lo standard al quale adeguarsi per massimizzare le performance dei lavoratori. Nell’organizzazione dei fattori di produzione l’utilizzo dell’algoritmo si traduce sostanzialmente in una gestione dei lavoratori affidata quasi totalmente ai computer che assicurano processi di selezione e gestione del La spasmodica ricerca di risparmio dei costi, attuata spesso a svan­taggio della sicurezza sul lavoro, è attuata per lo più per il tramite di società cooperative «spurie» costituite ed estinte per la durata di un appalto o di un subappalto. Si tratta, spesso, di soggetti che utilizzano manodopera irregolare o applicano ai dipendenti contratti collettivi che garantiscono ai lavoratori meno diritti e meno tutele di quelli previsti dal contratto nazionale di categoria.

In risposta alle nuove sfide la Commissione Europea ha adottato, il 28 Giugno del 2021, la strategia Ue per la salute e sicurezza sul lavoro (Ssl) che prevede tre obiettivi principali:

  1. Anticipare e gestire il cambiamento nel mondo del lavoro determinato dalle transizioni verde, digitale e demografica;
  2. Migliorare la prevenzione agli incidenti e alle malattie sul lavoro;
  3. Accrescere la preparazione per ogni potenziale futura crisi sanitaria.

La Commissione ha messo l’accento sulla circostanza che la robotiz­zazione, l’uso dell’intelligenza artificiale e la maggiore prevalenza del lavoro a distanza riducano i rischi di attività pericolose, ma pongono anche una serie di sfide dovute sia all’aumento dell’irregolarità nel momento e nel luogo in cui viene svolto il lavoro, sia ai rischi relativi a nuovi strumenti e macchinari ed anche ai rischi psico-sociali.

 

Capitolo 4 (La sicurezza sui luoghi di lavoro nel settore della logistica). Le catene di produzione del valore hanno iniziato a configurarsi all’interno del tessuto economico capitalistico, definendolo progressiva­mente a livello globale. Contemporaneamente all’interno delle stesse, la logistica ha assunto un ruolo sempre più pervasivo. Questo settore, oltre ad avere impatti significativi nella creazione di valore all’interno delle filiere produttive, risulta anche essere particolar­mente predisposto a fenomeni di sfruttamento del lavoro: succede in modo non trascurabile che alcuni attori logistici in esso operanti facciano ricorso a diversi espedienti illegali gravanti sulle condizioni contrattuali e lavorative della forza lavoro. Essendo il settore della logistica caratterizzato da un certo dinamismo concorrenziale, infatti, una compressione illecita dei costi di manodopera consente all’operatore logistico di proporsi alla committenza con un prezzo di fornitura del servizio più basso rispetto ai propri concorrenti.

La logistica viene definita come “l’organizzazione, pianificazione e realizzazione della movimentazione e impiego di persone e/o beni al fine di raggiungere un obiettivo”. L’obiettivo è di far disporre le aziende di merci ed infor­mazioni nel luogo e nel momento prestabiliti da piani strategici e operativi, tenendo conto dei costi e degli standard di qualità da rispettare. La logistica industriale nell’ultimo ventennio è stata rivalutata, assumendo un ruolo significativo non solo nel contesto delle strategie aziendali: in un’ottica integrata, non rappresenta solo un centro di costo, ma anche una fonte di valore grazie al conseguimento di economie di scopo che altrimenti sarebbero ignorate.

L’intero complesso logistico industriale raggiunge i propri obiettivi di efficacia ed efficienza, se merci e/o informazioni sono rese disponibili minimizzando il più possibile i costi totali per le aziende coinvolte nella rete e, sincronizzando in modo corretto sul piano temporale e spaziale i due flussi considerati. E’ utile introdurre quindi, anche il concetto di catena logistica (supply chain), riferendosi ad una molteplicità di attori economici che partecipano ai vari processi di trasformazione delle materie prime in prodotti finiti fruibili da parte dei consumatori. Questi partecipanti nella catena logistica sono connessi tra loro mediante rapporti contrattuali e/o di collaborazione, che vanno opportunamente gestiti in maniera integrata per poter minimizzare i costi totali e beneficiare di economie di scopo (supply chain management). È intuibile che, qualora all’interno della catena logistica esista un’azienda dominante che la controlla e gestisce, questa agirà secondo i fini di riduzione al minimo dei propri costi, sfruttando la propria forza contrattuale all’interno della supply chain. Essa si occupa di manipolazione, conservazione e trasferimento di merci.

Dagli anni Novanta a questa parte, è andata affermandosi una nuova concezione di logistica, innescata molto probabilmente sia dalle trasforma­zioni tecnologiche ed organizzative avviate nelle imprese, sia dai cambia­menti nelle preferenze espressi attraverso i mercati. Numerose imprese hanno infatti optato, per l’esternalizzazione dei processi prettamente logi­stici (trasporto e magazzino in particolare) presso operatori economici specializzati, preferendo focalizzare il proprio «saper fare» nelle attività aziendali core. Sono emerse così, le figure degli operatori logistici, intesi come vere e proprie attività economiche incentrate sulla gestione e il coordinamento di attività costituenti la filiera logistica. Le motivazioni che possono incentivare la pratica dell’outsourcing dei processi logistici da parte delle imprese sono diverse. Può essere intravista la possibilità di una riduzione dei costi grazie all’esternalizzazione, nonché la possibilità di aumentare l’efficienza e la produttività dell’attività affidata esternamente; mancanza di tecnologie innovative e know-how adeguato al proprio interno in ambito logistico ed aspirazione a maggiori standard di servizio fornito sia ai clienti che internamente; possibilità di favorire di una maggiore flessibilità organizzativa. In Italia la maggior parte di imprese operanti nel settore logistico, ha optato prevalentemente per soluzioni di business labour intensive, a basso costo del fattore forza-lavoro, non investendo quindi più del dovuto nell’ambito dell’automazione e delle tecnologie digitali. I tre principali comparti che costituiscono i processi della logistica in Italia, sono rappresentati da:

  • i corrieri: mercato attualmente dominato da grandi multinazionali italiane; la concorrenza tra le attività imprenditoriali ha contribuito ad un sempre più vasto ricorso ad appalti e subappalti, quadro in cui hanno preso forma nel comparto fenomeni di sfruttamento del lavoro in cui irregolarità contrattuali, contributive e salariali appaiono come normale prassi; predisposizione ad infiltrazione della c.o.
  • i conducenti di autocarri: mercato che ha sperimentato e sperimenta un’intensa concorrenza per via delle imprese europee -> sintomatica riduzione del numero di imprese domestiche operanti con annessa crisi occupazionale -> adozione di pratiche illegali (dumping salariale e fiscale)
  • i facchini (punctum dolens del sistema): dalla ricerca condotta dalla Commissione emerge un modello di sfruttamento lavorativo che, pur tenendo conto delle specificità dei comparti, coinvolge trasversalmente i comparti del corrierato, dei trasporti a lunga percorrenza e del magazzino. Innestandosi su alcune vulnerabilità della forza lavoro del settore (la precarietà, la nazionalità straniera, e in alcuni casi specifici, l’uso di sostanze stupefacenti), attraverso l’uso di minacce, ricatti e in alcune circostanze di sistemi di controllo degradanti e violenza psicologica, sono imposte condizioni e ritmi di lavoro che non rispettano i contratti nazionali. Le violazioni riguardano: gli orari di lavoro, gli straordinari eccessivi, il non rispetto del riposo e le scarse condizioni di igiene e sicurezza. Il quadro che ne deriva è la presenza nei tre comparti di alcuni degli indicatori, individuati a livello internazionale e dalla normativa nazionale come segnali di grave sfruttamento lavorativo. In particolare:

1) l’eccesso di straordinari («excessive overtime») e la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro e ai periodi di riposo

2) la presenza di intimidazioni e minacce («intimidation and threats»);

3) l’abuso della vulnerabilità del lavoratore;

4) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro. Il modello è inserito in un contesto generale del comparto in cui le esigenze dei ritmi degli spostamenti delle merci sono imposti dalle aziende, al di là delle norme dei contratti nazionali sull’orario e sul riposo, e sono scaricati all’esterno attraverso un sistema diffuso di subappalti a coopera­tive, in larga parte spurie o false cooperative. Sono le cooperative che prendono in carico la gestione del ciclo delle merci, al di là della loro quantità e impongono ai lavoratori i ritmi conseguenti. La dimensione temporale è una delle più rilevanti per comprendere le dinamiche di sfruttamento. Il tempo del cammino della merce attraversa i vari passaggi: dal magazzino, al trasporto a lunga percorrenza all’ultimo miglio dei corrieri e di nuovo al magazzino, è imposto dal sistema e si scontra in molti casi con le esigenze dei lavoratori e le norme dei contratti nazionali. Le pressioni per il non rispetto delle norme coinvolgono spesso anche sistemi illegali per aggirare le norme sull’orario e il riposo (ad esempio, l’uso di una calamita applicata al crono tachimetro digitale dei camionisti a lunga percorrenza, che interrompe la misurazione del tempo di lavoro). La diffusione dell’e-commerce si è inserita in un contesto di diritti già di per sé critica, contribuendo a inasprire alcune condizioni di irregolarità degli orari di lavoro e di disponibilità giornaliera dei lavoratori. La presenza di minacce e ricatti segnala la presenza nel settore di elementi che fanno pensare a condizioni non solo di irregolarità contrattuali e salariali, ma anche a casi sfruttamento più grave.

Come è stato evidenziato nella ricerca, è proprio il ricorso ad abusi, alle minacce di violenza o alla violenza vera e propria (fisica e psicologica) che distingue i casi più gravi di sfruttamento dalle altre forme di irregolarità. Per questi casi è necessaria un’azione di contrasto ancora più forte: dalle irregolarità parziali sul piano contrattuale e contributivo tipiche del lavoro sommerso si passa ad abusi e a forme di sfruttamento lavorativo più gravi, caratterizzate da pesanti violazioni dei diritti (esposizioni dei lavoratori a condizioni di lavoro pericolose o insalubri, intimidazioni, minacce, ricatti). È all’interno del sistema di micro-imprese e di cooperative appaltanti, dove più carenti sono i controlli istituzionali e la presenza sindacale, che si verificano con maggiore frequenza violazioni significative a danno della forza-lavoro. In alcune cooperative spurie, gli intervistati hanno messo in luce la presenza di situazioni limite a danno dei lavoratori, quali il mancato versamento contributivo e/o assicurativo, l’applicazione di un diverso contratto nazionale o il lavoro in assenza di contratto, il mancato pagamento di mensilità arretrate e/o TFR in caso di cambi d’appalto o di fallimento della cooperativa, la discriminazione etnico-razziale dei lavora­tori. Una debolezza della politica di esternalizzazione nel settore logistico risiede nelle irregolarità più o meno gravi (cooperative spurie, frequenti fallimenti o cambi di appalto fra le imprese appaltatrici) che si verificano nella filiera degli appalti e che determinano perdite economiche dirette e indirette alle imprese multinazionali.

 

Capitolo 5 (L’importanza del sistema dei controlli interni: la figura del preposto per la prevenzione e protezione dei lavoratori): Le tre figure tipiche della sovra-ordinazione gerarchica, destinatarie degli obblighi giuridici di sicurezza, sono i datori di lavoro, i quali eserciscono l’attività dell’impresa (operano le scelte gestionali di fondo); i dirigenti i quali devo dirigere le attività dell’impresa (pongono in essere la concreta organizza­ zione delle attività di lavoro); i preposti i quali devono sovraintendere (vigilare personalmente sul corretto stato di ambienti e attrezzature e sui corretti comportamenti di prevenzione e protezione da parte dei lavoratori). L’obbligo penalmente rilevante di individuare il preposto o i preposti si evidenzia come una novità assoluta rispetto a tutta la precedente normativa di sicurezza sul lavoro: tutte le precedenti regolamentazioni (rispetto alla riforma introdotta dalla legge nr. 215/2021), in materia, pur ponendo in capo al preposto obblighi di sovraintendenza e vigilanza, non prevedevano anche l’obbligo in capo al datore di lavoro di individuare espressamente la figura o le figure dei preposti. Il Decreto Legislativo 81/08, prima dell’attuale riforma, si era limitato a stabilire semplicemente l’obbligo per i preposti di frequenza di “appositi corsi di formazione”.

 

Capitolo 6 (Il Covid 19 e la sicurezza sui luoghi di lavoro). A circa due anni dalla definizione del caso “0” di Sars Cov-2 nel nostro Paese, all’INAIL sono stati denunciati circa 200.000 infortuni sul lavoro da contagio professionale al virus; di questi poco meno di 140.000 hanno interessato il comparto sanità.

Capitolo 7 (Le principali proposte di intervento normativo): le stesse sono riportate all’interno dello schema che segue:

La Relazione si conclude con specifiche ipotesi normative d’intervento volte a contrastare l’utilizzo di forme di sfruttamento lavorativo e a introdurre una specifica responsabilità dell’ente in tal contesto di riferimento, che vengono rimesse alla valutazione della Commissione stessa per le determinazioni di competenza.

Seguono, allegate alla relazione, tutte le audizioni svolte dalla Commissione.

 

(a cura di Ludovica Simbula, Master APC dell’Università di Pisa)