Premessa. Nella relazione conclusiva della Commissione Parlamentare Antimafia relativa alla XVIII Legislatura, una specifica attenzione è dedicata alle intimidazioni e ai condizionamenti nel mondo del giornalismo e dell’informazione, tematica approfondita dal XIV Comitato.

Il Comitato ha svolto un articolato ciclo di audizioni di giornalisti, editori, associazioni, personalità minacciate o sotto tutela e scorta, che hanno testimoniato la loro esperienza e restituito una fotografia, in molti casi preoccupante, della realtà italiana.

Ritiene la Commissione sia necessario tutelare i giornalisti non solo con le scorte o le tutele, strumenti preziosi ed indispensabili, grazie alle forze dell’ordine, ma altresì garantendo la protezione al diritto all’informazione delle istituzioni, della pubblica opinione e della politica. Massima attenzione va data ai giornalisti più esposti, ai cronisti locali, agli operatori televisivi di testate locali, a quelli di inchiesta, spesso oggetto di minacce e di atti intimidatori, a coloro che lavorano in contesti difficili e in realtà più piccole e nelle terre di mafia e che non hanno alle spalle società editoriali solide con uffici legali che li tutelino.

In questo senso, assume particolare rilievo la questione del precariato nella professione giornalistica, con una crescente contrazione delle retribuzioni e conseguente, ulteriore indebolimento, soprattutto nei casi in cui il giornalista debba far fronte alle intimidazioni o alle minacce della criminalità organizzata. Superare forme di sfruttamento e precarizzazione, sostenendo le attività editoriali meno strutturate ma più esposte, rappresenta un dovere democratico. Vi è, correlativamente, per evitare che i mezzi di informazione siano concentrati in poche mani, la necessità di porre una maggiore attenzione ai finanziamenti all’editoria, per evitare che con i tagli vengano colpiti quei giornali, spesso piccoli, che in territori complessi e difficili rappresentano uno strumento fondamentale di contrasto e resistenza contro la criminalità organizzata.

Esiste un filo rosso che lega giornalismo di inchiesta e democrazia, libertà di informazione e diritto ad essere informati, coraggio e giustizia. Servono sia la prevenzione, sia gli strumenti di contrasto. Il Parlamento ha approvato norme per evitare le violazioni del principio di «presunzione di innocenza », la spettacolarizzazione delle inchieste, le condanne mediatiche prima di quelle, eventuali, emesse dall’autorità giudiziaria. Ma ciò non può né deve impedire o limitare un’informazione corretta, trasparente e libera, con regole serie e coerenti con i principi fondanti la democrazia che non possono trasmodare nella diffamazione di un soggetto. Va infatti bilanciata la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona.

Le audizioni

Il Comitato ha svolto oltre trenta audizioni di associazioni e di soggetti a vario titolo interessati al tema trattato, sia per la funzione svolta, come nel caso della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), dell’Unione Sindacale Giornalisti Rai (USIGRai), dell’associazione «Libera informazione », dell’associazione « Articolo 21 », dell’osservatorio « Ossigeno per l’informazione », sia per l’attività lavorativa in quanto, quali giornalisti, hanno potuto illustrare, per esperienza diretta, le minacce e le intimidazioni ricevute dalla criminalità organizzata ma anche da altre fonti e matrici non meno pericolose. Attraverso questa serie di audizioni, che fanno seguito ad analogo ciclo di testimonianze raccolte nella precedente legislatura, il Comitato ha acquisto ulteriori ed utili elementi e suggerimenti.

 

Raffaele Lorusso, segretario della FNSI, nell’auspicare un concreto interessamento del Parlamento, ha segnalato:

– il problema delle scorte ai giornalisti, disposte sempre a seguito di decisioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, atteso che la scorta viene assicurata quando vi sia concreto pericolo per l’incolumità personale, non trattandosi di concessione o di privilegio e non potendosi « minacciare » la revoca per effettuare pressioni quando un giornalista manifesti valutazioni differenti rispetto all’orientamento politico del governo;

– lo strumento di intimidazione costituito dalle « querele bavaglio » o dalle richieste di risarcimento dei danni, utilizzato dalla criminalità organizzata e dai rappresentanti del mondo politico, evidenziando la necessità di una norma che preveda, ove venga accertata la temerarietà, la condanna non solo al pagamento delle spese del giudizio ma altresì la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria, proporzionata all’entità del risarcimento richiesto, norma di civiltà che renderebbe più cauti i soggetti che, in realtà, agiscono in giudizio per impedire ai giornalisti l’esercizio del diritto ad informare i cittadini;

– la necessità di contrastare la precarietà lavorativa nel settore giornalistico che comporta assenza di diritti, tutele e garanzie per i lavoratori.

Michele Albanese, giornalista calabrese, sotto scorta dal 2014, per le minacce ricevute dalla ‘ndrangheta, scoperte da una microspia messa dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, è un cronista della testata giornalistica « Il Quotidiano del Sud », nonché presidente della « Unione nazionale cronisti italiani Calabria ».  Il dibattito sulle scorte originato dal caso del collega Sandro Ruotolo – ha precisato Albanese – è fonte di forte preoccupazione, tenuto conto che viene sottovalutato il fatto che tale forma di tutela rende difficile lo svolgimento del proprio lavoro. I tagli all’editoria – ha poi aggiunto – colpiscono, soprattutto i piccoli giornali che operano in territori difficili, « devastati dalle mentalità mafiose, da sistemi di controllo della vita sociale e del potere reale ».

Paolo Berizzi, inviato de « La Repubblica », ha riferito di essere sotto scorta dal 1° febbraio 2019 a causa « di atti intimidatori e minacce ormai seriali, sistemiche » da parte di gruppi ultrà gravitanti nell’estremismo politico e di essere uno dei pochissimi giornalisti sotto scorta in Italia per tali motivi. Ha sottolineato come a Verona, in occasione della presentazione programmata del suo libro « NazItalia », si era creato un problema di ordine pubblico avendo gli ultrà del Verona preannunciato una mobilitazione di piazza per impedire l’evento: «modalità mafiosa: verremo a vigilare, verremo a controllare il giornalista comunista… la zecca rossa non può venire ad infangare Verona e i veronesi”.

Giuseppe Giulietti, Presidente della FNSI, dopo aver evidenziato che il giornalista Massimo Numa (ora deceduto) è stato posto sotto scorta a Torino per le minacce ricevute dagli anarco-insurrezionalisti, come la giornalista Marilena Natale nel casertano per le intimidazioni da parte del c.d. « clan dei Casalesi », ha chiesto alla Commissione di farsi parte attiva con il Ministero dell’Interno affinché la decisione sulle scorte sia adottata anche con una previa interlocuzione con la Commissione antimafia, le associazioni dei giornalisti ed ascoltati i testimoni. Ha ricordato che nella precedente legislatura la Commissione antimafia, anche nella relazione del comitato sulle condizioni dei giornalisti minacciati, presieduto dall’on.Fava, aveva formulato proposte approvate all’unanimità ma poi non concretizzate in leggi, quali la costituzione di un fondo nazionale per i giornalisti precari e minacciati, la previsione di un’assicurazione obbligatoria nazionale, tutele specifiche per i precari, proposte in tema delle cd. « querele bavaglio ». Su tale ultimo punto ha sottolineato che in Parlamento sono state depositate due proposte di legge, del tutto condivise dalla Federazione, che prevedono, in caso di accertata temerarietà, che il querelante sia condannato al pagamento del 50 per cento del risarcimento richiesto.

Il 29 ottobre del 2020 si è svolta, in videoconferenza, l’audizione della giornalista di inchiesta del Tg1, Maria Grazia Mazzola, accompagnata da Lazzaro Pappagallo, segretario dell’Associazione stampa romana. L’audita ha riferito di essere stata aggredita, tramite un pugno sferratogli sul volto, il 9 febbraio 2018, dalla moglie di un boss del clan Strisciuglio di Bari. La Mazzola ha sottolineato come nel quartiere Libertà di Bari (quantomeno nel 2018) non vi era, da parte dello Stato, il controllo del territorio e come vi fosse un problema di corretta informazione sulle questioni o i problemi di mafia, atteso che vi era la tendenza a sminuire la portata di ogni episodio o a stemperare la portata delle parole. La giornalista ha ricevuto gravi minacce anche in relazione alle inchieste svolte all’estero, in Slovacchia e a Malta, per gli omicidi del reporter JanKuciak e della giornalista investigativa maltese Daphne Caruana Galizia. Ha poi ricordato di avere ricevuto assistenza da parte della Polizia postale per altre minacce ricevute via facebook. Ha concluso affermando che «l’informazione sulle mafie oggi è al tramonto, quei cronisti che se ne occupano da trent’anni sono visti come rompiscatole nelle redazioni » e che, per l’infortunio sul lavoro occorsole, un’aggressione mafiosa, a suo avviso conclamata, sta pagando le spese mediche, avendo, per lei, la RAI stipulato una polizza che non prevede tale rimborso in quanto è una inviata e non una dirigente « è un modo per dirti che vai nei luoghi a tuo rischio e pericolo, meglio se non ci vai perché non ti copro». Ha segnalato la situazione della collega barese Marilù Mastrogiovanni, giornalista di inchiesta indipendente, pluriminacciata ed aggredita per gli articoli sulla mafia pugliese.

Giuseppe Bianco, giornalista per il quotidiano « Roma », corrispondente della provincia a Nord di Napoli, ha riferito che la sua vita è cambiata dal 2018, quando, sotto la sua abitazione, era stato minacciato da una persona armata che gli aveva intimato di tacere. Da allora ha ricevuto costanti intimidazioni e lettere minatorie per gli articoli pubblicati sulla situazione del Comune di Arzano (NA), sciolto tre volte per infiltrazioni mafiose, accusato, unitamente a Mimmo Rubio, di avere determinato, con gli articoli pubblicati, l’ultimo scioglimento. Rubio, anche egli giornalista residente ad Arzano, da diversi anni è fatto oggetto di intimidazioni e minacce. Ha fatto proprie le considerazioni svolte dal precedente audito, atteso che, vivendo sul posto e avendo disvelato intrecci tra camorra e politica locale, sono stati tacciati come « i nemici della città, i nemici del popolo ».

Angela Caponnetto ha riferito di essersi occupata sin dal 2016 del problema di flussi migratori. Si è imbarcata varie volte su navi militari e umanitarie, ha realizzato numerosi reportage per la Rai documentando e soffermandosi, in modo particolare, sui bambini e sui minori non accompagnati. Per questo suo impegno professionale ha ricevuto minacce di morte ed aggressioni verbali su facebook da parte di haters che esibivano simboli neonazisti, anche con frasi del tipo « prima o poi ti arriverà l’attentato » tanto da farle ritenere che vi fosse una strategia per spaventarla e per farla desistere dall’argomento. Inoltre, era mutato anche il tipo di insulti: « diventano sessisti, mi auguravano lo stupro, mi auguravano di tutto e di più, di essere licenziata, sei la vergogna del servizio pubblico, giornalisti Rai usano il canone per fare propaganda all’immigrazione, pennivendola, (…) devi fare la fine di Ilaria Alpi ». Tale metodo intimidatorio, ad avviso dell’audita, è del tutto simile a quello mafioso, come le è capitato a Isola di Capo Rizzuto, ove era stata inseguita da due « picciotti della ‘ndrangheta » che le avevano intimato di non scrivere o riprendere più.

 

Conclusioni del Comitato

Il Comitato ha più volte sottolineato che le scorte ai giornalisti, disposte sempre a seguito di decisioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, non debbano mai essere oggetto di polemica politica trattandosi di sistemi di protezione necessari, comportanti limitazioni alle libertà personali del singolo, ma indispensabili per i giornalisti oggetto di minacce e intimidazioni che rischiano la vita per svolgere il proprio lavoro.

Non può che ribadirsi che, per tutelare la libertà e la professionalità dei giornalisti, è necessario un provvedimento legislativo sulle cosiddette querele temerarie o querele bavaglio, che nulla hanno a che fare con le querele sporte dai cittadini che legittimamente agiscono per tutelarsi dalle diffamazioni, ma sono utilizzate frequentemente come strumento di pressione da esponenti della criminalità organizzata per intimidire e colpire giornalisti ed editori con richieste di risarcimento la cui infondatezza deve essere valutata dalla magistratura. Appare opportuno sottolineare che, anche per le sollecitazioni della Commissione, ha ripreso a riunirsi e ad operare, stante la piena disponibilità della ministra Lamorgese, l’Osservatorio per la difesa e il monitoraggio delle minacce ai giornalisti, istituito presso il Ministero dell’Interno, strumento strategico per garantire la sicurezza dei giornalisti minacciati.

Ulteriore sollecitazione attiene alla figura dei freelance, non normata contrattualmente, per assicurare una maggiore sicurezza economica e dignità professionale, prevedendo, quantomeno, un equo compenso per gli articoli scritti. Nel caso di querele temerarie o richieste di risarcimento danni, diverse sono state le proposte: una assicurazione obbligatoria, da stipulare dalla testata giornalistica, o la previsione di un gratuito patrocinio a spese dello Stato o la costituzione di un fondo a tutela dei giornalisti precari.

Rilevante altresì il problema sollevato, relativo alla opportunità di coordinare le fonti normative, anche europee, per consentire di perseguire le minacce via web, aumentate esponenzialmente, provenienti da siti non italiani e valutare se regolamentare l’uso di internet e dei social per arginare « l’odio » o, ancora, introdurre una aggravante ad effetto speciale nel caso di lesioni ai danni di giornalista nell’esercizio della sua attività. Vanno, infine, ribadite le considerazioni iniziali svolte sull’importanza di una stampa libera, sul diritto ad informare e ad essere informati, nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali, non potendosi non ricordare che la stessa Corte EDU attribuisce alla stampa un ruolo di « cane da guardia » della democrazia.