Premessa. La Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza e sulle condizioni di trattamento dei migranti ha approvato a maggioranza, il 26 ottobre 2016, una nuova relazione (doc. XXII bis, n. 8) che riassume l’attività di indagine svolta dalla Commissione con specifico riguardo alle modalità di identificazione e al rispetto delle garanzie di accesso alla procedura di richiesta di protezione internazionale nell’ambito degli hotspot  (per la prima relazione del maggio 2016 leggi questa scheda). Nell’occasione sono stati presentati due documenti di minoranza (doc XXII bis n. 8bis e 8ter)

La normativa europea. Il principio base della normativa europea sul sistema di accoglienza si concretizza nella regola per cui un solo Stato membro è competente per l’esame di una domanda di asilo, salvo quanto diversamente previsto, secondo la gerarchia dei criteri per la determinazione dello Stato competente. Funzionale (e obbligatorio) alla individuazione dello Stato competente per l’esame della domanda di protezione internazionale è l’immediato fotosegnalamento e rilevamento delle impronte digitali del richiedente asilo (Per maggiori approfondimenti sul c.d. Dublino III leggi questa scheda).

Gli hotspot. L’hotspot è il nuovo metodo basato sui punti di crisi prefigurato dall’agenda europea sulla migrazione che prevede che l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri (Frontex) e l’Ufficio di Polizia europeo (Europol) lavorino sul campo, con gli Stati membri, per condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo.

L’iter identificativo parte dall’acquisizione delle generalità dello straniero nel corso di una breve intervista individuale, con l’assistenza di un mediatore linguistico-culturale. Tale fase viene definita di pre-identificazione e consiste nella compilazione del foglio notizie nel quale, con l’ausilio di mediatori culturali, vengono annotate le generalità, la nazionalità e il motivo di ingresso in Italia del migrante e nello scatto di una foto istantanea ed è funzionale anche ad evidenziare particolari necessità dell’immigrato (stato di gravidanza, minore età, patologie particolari etc). Tali informazioni vanno ad alimentare il sistema Eurodac.

Nella roadmap italiana presentata il 28 settembre 2015, in attuazione dell’articolo 8.1 della Proposta della Commissione europea che istituisce misure provvisorie in materia di protezione internazionale a beneficio di Italia e Grecia, il Governo italiano si è impegnato a mettere in atto il nuovo approccio hotspot. Esso è sostanzialmente volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati (Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Taranto, cui in futuro dovranno aggiungersene altri) dove effettuare tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri.

In base agli esiti di tale istruttoria è possibile distinguere i soggetti che richiedono asilo, da avviare ai centri di accoglienza (e, al loro interno, coloro che potrebbero usufruire di programmi di relocation) e quelli che invece saranno oggetto di un’intimazione immediata a lasciare l’Italia: dal 28 settembre 2015 (data di apertura dell’hotspot) al 29 gennaio 2016 i provvedimenti di respingimento sono stati 1426, di cui solo 311 con trattenimento presso il CIE e ben 1115 con invito a lasciare il territorio nazionale entro sette giorni: peraltro il grado di inottemperanza a tale provvedimento è molto elevato, con la conseguenza che i luoghi vicini agli hotspot diventano siti estemporanei di soggiorno di cittadini irregolari.

La relazione presenta un quadro dettagliano della situazione degli hotspot già attivati, pur in assenza di una normativa specifica in materia, nella quale vengono forniti elementi sulle modalità di funzionamento e di gestione dei singoli centri, evidenziando le diverse criticità emerse nel corso dei sopralluoghi effettuati dalla Commissione (adeguatezza degli spazi, assistenza sanitaria e legale, servizi di mensa ed igienici etc).

Divieto di espulsione solo a causa della nazionalità. Uno dei principi generali che regolano la materia, del tutto inderogabile, è quello che vieta di essere respinto o espulso solo per la propria nazionalità. In molteplici occasioni la Commissione ha svolto specifici approfondimenti istruttori per verificare l’osservanza della regola secondo cui tutti coloro che sbarcano in territorio italiano vanno inizialmente considerati potenziali richiedenti asilo. La categoria del migrante economico non ha alcuna cittadinanza nell’ordinamento giuridico, e nessun provvedimento di respingimento può fondarsi esclusivamente sul Paese di provenienza (i cosiddetti Paesi sicuri).

La Commissione ha però registrato diverse critiche su questo specifico aspetto e l’adozione nel tempo di più rigide circolari esplicative dei diritti dei soggetti immigrati. In quest’ottica risulta di fondamentale importanza l’informazione legale e l’opera di mediazione e assistenza culturale, sia precedente che successiva all’intervista ed al fotosegnalamento, che deve essere svolta in collaborazione con le grandi organizzazioni internazionali, come l’UNHCR e l’OIM.

L’evoluzione delle procedure di identificazione. In merito all’identificazione di tutti i migranti che giungono nell’area Schengen, l’Italia ha ottenuto risultati apprezzabili dall’ultimo quadrimestre 2015 alla data di presentazione della presente relazione. Il Capo della Polizia Alessandro Pansa, in audizione in data 20 gennaio 2016, ha dichiarato: “Per quanto riguarda l’identificazione, nel 2015 sono sbarcati in Italia 153.842 stranieri, di cui 57.985 fotosegnalati per ingresso illegale e 71.016 per richiesta di protezione internazionale, per un totale di 129.000 persone fotosegnalate, pari all’83,9 per cento di tutti gli sbarcati.” Tale dato è stato incrementato nel corso del I° semestre 2016: al 15 settembre 2016, è del 92 per cento di fotosegnalamenti sul totale degli sbarchi, come è emerso nell’audizione del dottor Carnevale, il quale ha sottolineato che i fotosegnalati non potranno mai essere pari agli sbarcati, perché i minori di anni 14 non sono sottoposti al fotosegnalamento e perché non sono immediatamente fotosegnalati coloro che hanno bisogno di urgenti interventi sanitari, ma il fotosegnalamento è posposto ad un momento successivo alla chiusura dell’emergenza di tipo sanitario.

Questi risultati sono stati raggiunti grazie a diversi fattori, oltre all’istituzione degli hotspot. Il primo tra questi è l’apertura, nel corso del 2015, del corridoio balcanico che ha sottratto lo zoccolo duro (ovvero i cittadini siriani) di quanti si opponevano al fotosegnalamento. In secondo luogo non è da sottovalutare l’iniziale positiva aspettativa connessa alle ipotesi di relocation, che ha spinto molti eritrei (etnia che si è mostrata restia a sottoporsi al fotosegnalamento) ad abbandonare le vecchie resistenze. Infine a Lampedusa, sfruttando il naturale isolamento dell’isola, si sono potute gestire le resistenze al fotosegnalamento senza ricorrere al trattenimento forzoso all’interno di un centro, ma dilatando i tempi a disposizione.

Permane tuttora il problema della sottoposizione alle procedure di identificazione anche dei soggetti che rifiutino di ottemperare alle richieste da parte delle forze di polizia: la relazione si sofferma sulla normativa e sulla giurisprudenza in materia e sulla necessità di un intervento legislativo volto a legittimare il fermo a fini identificativi; rimane comunque essenziale l’attività di informazione nei confronti di questi soggetti al fine di far conoscere le conseguenze, anche dal punto di vista penale, di tale rifiuto: l’uso della forza, per quanto legittimo, si rivela in ogni caso impraticabile per queste forme di identificazione.

Alcune conclusioni. La relazione sottolinea i risultati positivi del sistema degli hotspot, sopra evidenziati; al tempo stesso, proprio l’esperienza maturata rende necessari una serie di interventi volti, innanzitutto, all’incremento del numero dei centri e alla riqualificazione degli spazi per tener conto del flusso continuo di migranti; in secondo luogo, va approvata una legge che configuri il ruolo degli hotspot e assicuri una solida base giuridica alle attività che ivi vengono svolte e piena omogeneità tra i diversi centri; inoltre vanno adeguatamente potenziati tutti i servizi, a partire dall’assistenza sanitaria fino ai servizi di mediazione linguistica e culturale, garantendo la massima informazione sui diritti degli immigrati.

 

(A cura di Giulia Luciani, giornalista pubblicista)