Premessa. La Commissione parlamentare di inchiesta, nell’ambito degli approfondimenti svolti sulla gestione dei rifiuti urbani in Campania, ha dedicato alcune sedute per le audizioni di magistrati impegnati presso la procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli oltre che della senatrice Rosaria Capacchione, in qualità di giornalista de Il Mattino: vedi le sedute del 25 novembre 2014 , del 9 giugno 2015, del 22 giugno 2015, del 23 giugno 2016 e del 3 novembre 2015. Successivamente ha ascoltato il 18 gennaio 2016 il Presidente della Giunta della Regione Campania, Vincenzo De Luca, accompagnato dai suoi collaboratori.

Le indagini giudiziarie. Nella seduta del 25 novembre 2015, il procuratore della repubblica evidenzia la rilevanza dei fenomeni di riciclaggio illegale dei rifiuti e l’ampiezza dei territori interessati, per i quali sono tuttora in corso verifiche, sulla base anche delle dichiarazioni fornite da alcuni collaboratori di giustizia: si parla di un’area di almeno 800 chilometri quadrati, con 57 comuni ed oltre 2 milioni di abitanti, interessata da problematiche di inquinamento ambientale.

Continuano infatti ad essere scoperti nuovi depositi interrati di bidoni di rifiuti tossici e rifiuti di tipo industriale (con tutte le problematiche connesse all’avvio delle complesse procedure di bonifica), anche se il seppellimento di tali rifiuti risale prevalentemente agli anni passati (anche a 20 o 30 anni fa); a questo si aggiunge la gestione illecita delle discariche e la combustione illecita dei rifiuti, soprattutto nel periodo estivo, che hanno dato luogo ad accertamenti su vasta scala e all’avvio di numerosi procedimenti penali (in particolare quando gli incendi sono motivati dalla volontà di occultare il materiale di scarto prodotte dalla c.d. economia sommersa). Per contrastare più efficacemente il trasferimento illegittimo di rifiuti da un luogo a un altro la procura intende procedere anche al sequestro dei veicoli utilizzati per commettere il reato.

Le conseguenze per l’ambiente sono devastanti, a partire dall’inquinamento delle falde acquifere, con gli inevitabili provvedimenti di sequestro di pozzi (destinati anche ad uso agricolo) situati a molti chilometri di distanza dal logo fisico di interramento dei rifiuti e gli accertamenti da effettuare sui prodotti agricoli coltivati in quelle aree.

Il quadro normativo. Sempre nella seduta del 25 novembre 2015, il procuratore della repubblica si sofferma infine sui problemi applicativi derivanti dalla normativa vigente (ivi incluse le recenti norme introdotte dal decreto legge n. 136 del 2013), sottolineando tra l’altro la necessità di modificare la formulazione dell’art. 257 del codice dell’ambiente, in particolare trasformando in delitto la contravvenzione ivi prevista: ciò che consentirebbe anche di poter disporre intercettazioni e di allungare i termini della prescrizione. Proprio la modifica delle norme sulla prescrizione appare quanto mai utile in un campo nel quale le indagini sono spesso assai complesse e durano molti anni.

Altre proposte riguardano l’obbligo di bonifica e ripristino dei luoghi a carico dell’imputato (a cui subordinare la sospensione condizionale della pena); la possibilità di affidare immediatamente alle forze dell’ordine i veicoli sequestrati alle organizzazioni criminali che operano nel traffico illecito dei rifiuti; un maggior coordinamento tra tutte le istituzioni interessate, ed in particolare per una regolamentazione dei soggetti cui il magistrato debba rivolgersi per le attività di sondaggio, trivellazione e bonifica necessarie per l’accertamento dei fatti.

Smaltimento illecito dei rifiuti pericolosi e gestione legale dei rifiuti. Le altre sedute con i magistrati sono state dedicate soprattutto all’analisi, a partire dagli atti giudiziari, dell’attività svolta dai gruppi camorristici per facilitare lo smaltimento di rifiuti tossici tramite l’intombamento e le discariche abusive, da un lato; e, dall’altro, delle connivenze tra i diversi gruppi criminali (spesso in guerra tra loro per il controllo del territorio), imprenditori e amministratori pubblici nella gestione ordinaria dei rifiuti, con l’affidamento degli appalti ad una serie di ditte predeterminate, con frequente ricorso alla costituzione di società miste (una per tutte, la Eco 4), o all’utilizzo di consorzi e associazioni temporanee di impresa; in alcuni casi, il crearsi di una situazione di “emergenza” ha favorito il ricorso a procedure di affidamento senza gara, con il risultato di premiare anche in questo caso, aziende facenti parte del “sistema”.

La nascita dell’ecomafia. La senatrice Rosaria Capacchione, già giornalista del Mattino, nel corso della sua carriera ha avuto modo di seguire da vicino le varie tappe dell’emergenza rifiuti in Campania e toccare con mano le infiltrazioni della criminalità organizzata nel business connesso. Ricorda la vicenda di quella che diventerà famosa come discarica Bortolotto, abusiva e gestita da persona poi arrestata per associazione mafiosa. “E’ stata per lungo tempo il luogo dei primi accordi che furono siglati tra camorra, un certo tipo di imprenditoria e un certo tipo di politica – spiega la senatrice – Su quella discarica fu siglato il primo accordo che riguardava lo smaltimento dei rifiuti urbani, tra il clan La Torre, gli smaltitori, gli amministratori e i camorristi – sostanzialmente erano un tutt’uno – sia di Mondragone sia di Sessa Aurunca. Sto parlando della zona nord della provincia di Caserta, al confine con il Lazio”.

La Capacchione contestualizza il periodo storico, relativo alla chiusura delle discariche in Lombardia e in Toscana e allo smaltimento abusivo in Campania di una enorme mole di rifiuti urbani, speciali e industriali. “Ciò che io ho notato in tutti questi anni, è stato un gran proliferare di indagini che segnalavano questi problemi e l’assoluta mancanza di sentenze che sanzionassero gli stessi problemi… Queste indagini, in realtà, nascevano morte, o perché venivano contestati reati inesistenti o perché si arrivava in una maniera talmente tardiva rispetto alla scoperta del fatto da lasciar immaginare che non ci fosse una volontà vera di perseguire il fenomeno”.

Il sistema ecomafia. Quello che tratteggia la senatrice Capacchione è il “sistema ecomafia”. Occorrono amministratori che “identifichino un luogo piuttosto che un altro” e consiglieri regionali o presidenti di regione che “identifichino un’area piuttosto che un’altra nella regione dove collocare determinati impianti”.  Nel sistema c’è bisogno di connivenze tra le forze dell’ordine che sorvolino certi fatti. E c’è bisogno “del magistrato che apra un fascicolo e non lo chiuda”.  La senatrice ricorda come nel 2005 l’inchiesta condotta dall’attuale presidente dell’ANAC Raffaele Cantone, all’epoca magistrato presso la Procura di Napoli, scoperchiò “uno scenario molto più ampio di collusioni e di connivenze, che andavano dal funzionario di prefettura al magistrato e al vigile urbano”. Scenario che coinvolgeva personaggi, politici e imprenditori, i cui nomi torneranno ciclicamente nelle inchieste condotte negli anni successivi. “L’appartenenza politica diventa estremamente relativa, come in tutte le cose di mafia. C’è solamente una convenienza di vicinanza a chi in quel momento gestiva”.

Progetto per lo smaltimento delle ecoballe. Il Presidente della Giunta regionale sostiene che il problema della rimozione di 5,5-5,6 milioni di tonnellate di ecoballe, combustibile derivato dalla lavorazione dei rifiuti urbani e speciali non pericolosi, non può essere risolto senza un sostanziale investimento che quantifica in mezzo miliardo di euro. Il progetto delineato dal Presidente consta in tre capitoli: a) un terzo delle ecoballe da trasferire fuori dalla Campania (ipotesi costosa, ma rapida ed “equilibrata” secondo De Luca); b) un terzo da trasformare in combustibile secondario da rifiuti, con un potenziamento degli impianti STIR (Stabilimenti di Tritovagliatura e Imballaggio Rifiuti); c) la ricomposizione morfologica della cave dismesse, utilizzando il restante terzo delle ecoballe come rifiuto inertizzato, accompagnato da progetti di riqualificazione ambientale e sociale delle aree. Il tempo stimato per la realizzazione del progetto è di 3-4 anni. Le procedure di gara sono state concordate con l’Autorità anticorruzione. Sollecitato dai commissari, De Luca specifica che si è voluto abbandonare il piano di costruzione di 4 termovalorizzatori, ritenuto fallimentare, per sostituirlo con la moltiplicazione degli impianti di compostaggio per l’umido (obiettivo 12-13) e l’incremento della raccolta differenziata (obiettivo 55-59%). Su quest’ultimo punto a fronte di un territorio regionale che si pone al di sopra del 40 per cento, c’è la criticità rappresentata da Napoli, ferma alla metà.

La bonifica delle discariche. Il Presidente della Giunta regionale dichiara che tutte le opere di bonifica relativi a 49 siti individuati sono state appaltate. Definisce il capitolo bonifiche “pienamente in corso” ma non ha dati aggiornati su quanti Comuni abbiano completato il lavoro e su quale sia lo stato di avanzamento complessivo o dei finanziamenti in corso.  Un elemento di criticità è rappresentato dalla Resit, una delle discariche più grandi presenti nell’area, la cui opera di bonifica è rallentata da un contenzioso amministrativo. L’impresa aggiudicataria dell’appalto era stata esclusa perché uno dei titolari risultava coinvolto in Mafia Capitale. Rescisso il contratto, l’impresa ha visto accogliere il proprio ricorso dai tribunali amministravi di primo e secondo grado.

Roghi tossici e sistemi di depurazione. Il Presidente della Giunta regionale, citando i numeri forniti da Vigili del Fuoco e Prefettura di Caserta, evidenzia come nell’area i roghi tossici (gomme, pneumatici, plastica, gomma, pellami, stoffe, abbigliamento, etc,) nel 2015 siano diminuiti del 60 per cento rispetto al 2012. Il Presidente della Regione sostiene che il problema non riguarda solo i roghi di rifiuti, ma anche gli scarti di lavorazione industriali a Caserta, a Napoli e nell’Agro Sarnese-Nocerino.

In merito ai sistemi di depurazione sono cinque le gare in corso, ma il Presidente della Giunta critica i tempi lunghi della stazione appaltante, il Provveditorato alle Opere Pubbliche. I depuratori sono destinati a Napoli Nord, Napoli Est, Regi Lagni, Acerra e Cuma, il tempo stimato per la realizzazione è di due anni. Anche in questo caso il Presidente si riserva di fornire in seguito un quadro aggiornato dei lavori in corso. Su Napoli Est specifica che un ulteriore criticità è rappresentata dalla presenza nell’area dei serbatoi delle società petrolifere che secondo il Presidente andrebbero delocalizzati, a fronte di un ulteriore investimento da parte del governo centrale.

 

(ultimo aggiornamento: 31 marzo 2016)

(con la collaborazione di Claudio Forleo, giornalista)