Le vittime delle estorsioni e dell’usura difficilmente denunciano. Questo è quanto scrivono i magistrati torinesi che hanno concluso l’inchiesta “Big Bang”, che nei giorni scorsi ha portato a venti arresti e 41 perquisizioni nel capoluogo piemontese.
La presenza delle mafie a Torino, purtroppo, non è una novità. Nel 1983, un omicidio mafioso aveva tolto la vita al Procuratore della Repubblica, Bruno Caccia. Nel 2011, l’inchiesta Minotauro ha squarciato il velo della presenza ’ndrangheta in città e nella regione.
Il Comune ha istituito una Commissione Speciale per la promozione della cultura della legalità e il contrasto dei fenomeni mafiosi e si è costituito parte civile nel processo. A seguito dell’operazione Big Bang, la Città di Torino ha deciso di istituire un Fondo per la tutela legale e il sostegno alle vittime, alimentato anche dai risarcimenti dei processi.
Avviso Pubblico ha intervistato la coordinatrice regionale per il Piemonte, Fosca Nomis, consigliera del Comune di Torino e Presidente della Commissione Antimafia, per saperne di più.
1. Da dove nasce la scelta di istituire un Fondo per il sostegno alle vittime di racket?
La mia proposta – accolta in tempi brevissimi dal Sindaco Piero Fassino – di istituire un Fondo per tutelare legalmente e sostenere le vittime del racket e dell’usura, nasce dall’assordante silenzio dei cittadini colpiti. Si tratta, soprattutto, di piccoli imprenditori e di giocatori d’azzardo. Per questo abbiamo ritenuto indispensabile immaginare nuovi strumenti e ripensare gli interventi dell’Amministrazione e degli altri attori coinvolti su questa specifica tematica, per arrestare la diffusione della cultura mafiosa anche in Piemonte.
2. Quello che colpisce nell’operazione Big Bang è la mancata denuncia di minacce, violenze ed estorsioni da parte delle vittime…
Nessuna delle vittime ha denunciato e, anche davanti ai magistrati della Procura, si sono dimostrate intimorite. L’inchiesta ha dimostrato che la paura di cittadini e commercianti è reale e che le minacce della ’ndrangheta sono molto più concrete di quanto si potesse immaginare, nonostante il prezioso lavoro svolto da magistratura e forze dell’ordine.
In cinque anni, come pubblicato dai quotidiani, tra Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, soltanto 18 persone si sono rivolte agli sportelli di associazioni private per casi di estorsione e usura. Questo significa che esiste un problema di omertà diffusa, dovuta non solo ad una questione di mancanza di fiducia nelle istituzioni e nella politica. I cittadini si rivolgono poco anche al privato sociale, rimangono chiusi in se stessi, vittime isolate di una criminalità organizzata radicata nel tessuto sociale e imprenditoriale.
3. Come Commissione Legalità cosa state cercando di fare per aiutare i cittadini a superare la paura?
La Commissione Legalità sta lavorando a stretto contatto con la società civile, le organizzazioni di categoria e i sindacati, per costruire e consolidare una rete di persone e corpi intermedi capaci di contrastare la cultura mafiosa e reagire. Un lavoro lungo e molto complesso, su una “zona grigia”, fatta di silenzi, corruzione e ignoranza, dove le organizzazioni criminali trovano spazio e progressivamente si radicano.
A seguito della ricerca realizzata dalla Commissione Legalità con la collaborazione di Università e di Libera e con il sostegno della Camera di Commercio, insieme all’Assessora alla Sicurezza Urbana Giuliana Tedesco, la Città ha avviato un percorso di formazione per la Polizia Municipale (oltre 100 operatori già formati), che può avere un ruolo importante nell’intercettare situazioni di criticità rispetto a racket e usura e fornire informazioni ad eventuali vittime. Particolarmente importante, considerato che dalla nostra ricerca è emerso che la maggior parte degli operatori economici del territorio, ben l’l’85%, non conosce le norme che tutelano chi denuncia gli estorsori.
4. Oltre alla formazione, quali altri strumenti avete deciso di mettere in campo?
Per stare vicini alle vittime, oltre a continuare nella formazione della Polizia Municipale e a intensificare la presenza e il dialogo con il territorio, affinché i civich possano essere sempre più vicini a commercianti e cittadini, bisogna fare rete sul territorio. Pensare a un approccio più integrato tra le associazioni di categoria e del commercio, i sindacati e la società civile, per intercettare, e se possibile prevenire, fenomeni mafiosi. È necessario accompagnare e sostenere le vittime non solo durante la prima fase, quella della denuncia, ma soprattutto successivamente.
Per far questo è necessario operare in rete anche con gli altri Enti Locali – ciò è possibile grazie anche a Comuni e Regioni che fanno parte di Avviso Pubblico e mettono a disposizione buone pratiche, utili alle grandi realtà, così come ai piccoli centri – e sostenere concretamente chi trova il coraggio di reagire all’illegalità e sporgere denuncia. La Città di Torino metterà in campo risorse per la tutela legale e il sostegno a commercianti e imprenditori vittime delle mafie, anche sfruttando eventuali risarcimenti dovuti alla Città come parte civile nel processo Minotauro e – mi auguro – presto anche nel processo Big Bang.
Importante è anche il sostegno pubblico, la vicinanza – anche fisica – ai quartieri in cui si sta infiltrando la ’ndrangheta a Torino. Per questo, sabato 23 gennaio anche Avviso Pubblico sarà in piazza, nei pressi del mercato di via Di Nanni (dove si trovava il “quartier generale” dei fratelli Crea, principali indagati nell’indagine Big Bang) per una manifestazione di solidarietà e promozione della legalità.