In attesa di conoscere le motivazioni del Tribunale di Roma, Avviso Pubblico rivolge un sentito e pubblico ringraziamento ai magistrati e agli investigatori che si sono prodigati nello svolgimento di un’inchiesta particolarmente articolata e complessa, che ha portato, come dimostrano le pesanti condanne di ieri per 250 anni complessivi a 41 dei 46 imputati, al disvelamento e allo sradicamento di un pericoloso sistema criminale e corrotto in grado di influenzare negativamente la vita politica, amministrativa, economica e sociale di Roma e del suo territorio per un lungo arco temporale.
La decisione del Tribunale di non applicare l’art. 416-bis c.p. non cancella due dati incontrovertibili. Il primo: i fatti gravissimi contestati dalla Procura di Roma alle due riconosciute associazioni a delinquere – la capacità di estorcere, di corrompere, di pilotare appalti, di influenzare le scelte della Pubblica Amministrazione di Roma Capitale, ecc. – sono stati provati, dimostrando la permeabilità di pezzi di politica, imprenditoria e pubblica amministrazione. Il secondo: a Roma la presenza delle mafie tradizionali – cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta – la collaborazione tra loro e con le organizzazioni criminali locali per gestire traffici illeciti e affari è già stata accertata e documentata da diverso tempo da inchieste giudiziarie, parlamentari e giornalistiche.
La sentenza del Tribunale di Roma, la sua diversa lettura del fenomeno “Mafia capitale” rispetto ai pronunciamenti della Corte di Cassazione del 2015 sul medesimo procedimento penale, insieme a quanto si può leggere nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, può offrire l’occasione per aprire un dibattito pubblico, serio e costruttivo, che coinvolga più voci credibili e autorevoli, al fine di ragionare su cosa sono diventate le mafie oggi, su come esse operano, non solo al Sud, ma anche in altri territori, su come esse sono percepite e vissute dall’opinione pubblica, dalla politica, dall’economia, dalla finanza, dalla magistratura, dal mondo della cultura nel suo complesso.
Mafie e corruzione non si potranno mai sconfiggere veramente soltanto con le leggi e gli apparati repressivi. Serve una conoscenza corretta ed aggiornata dei fenomeni insieme ad un cambiamento di mentalità e di cultura, una coscienza civica attenta e partecipe, un’etica pubblica e privata fondata sulla responsabilità, una politica credibile e responsabile, un’economia capace di garantire uno sviluppo sano nel rispetto delle leggi.