“Modello Caivano”. Per un import-export di sicurezza partecipata

Cosa rappresentano le periferie delle città? Sono luoghi da presidiare dall’alto, in una logica emergenziale, o spazi nei quali elaborare progetti strutturali volti a coniugare le esigenze concrete di chi li vive con le potenzialità, senza ledere la libertà dei singoli. Stefania Ferraro e Anna D’Ascenzio forniscono un’analisi e una prospettiva dalla ricerca sul campo che stanno svolgendo a Caivano.

Un contributo di Stefania Ferraro* e Anna D’Ascenzio**

Per chi funziona il “modello Caivano”? Quali conseguenze ha sulla popolazione? Limitare e misurare sono i due aspetti inscindibili dell’attività del giurista come del geometra; così spiega Alain Supiot, il quale – nel teorizzare le criticità della contemporanea logica di Gouvernance par les nombres – mostra le pericolosità di un New Public Management oramai fortemente curvato sull’efficace realizzazione di obiettivi misurabili.

Da tali logiche origina anche la prassi di governare territori e popolazioni vulnerabili attraverso specifici modelli caratterizzati da interventi straordinari, in deroga allo stato “normale” delle cose; interventi veloci – dunque – e immediatamente visibili e stimabili. È così, per esempio, che misure urgenti per il contrasto al disagio giovanile possono essere prontamente rappresentate dal nuovo Centro Sportivo “Pino Daniele”, che in soli 5 mesi sostituisce i resti della precedente struttura; illumina Caivano, insomma, per citare il nome del progetto di riqualificazione che ha reso possibile tale opera.

Soluzioni veloci e non interventi strutturali

È da queste logiche dell’immediatamente visibile, edificabile e misurabile che genera, complessivamente, il cosiddetto “modello Caivano”, quale “perfetta” sintesi della contemporanea modalità di gestione delle aree di margine in materia di ripristino della sicurezza. Si tratta di un prototipo di intervento che per la prima volta, nello scenario giuridico italiano, è stato designato attraverso uno specifico dispositivo: il D.L. 15 settembre 2023, n. 123, Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale; in breve, il Decreto interviene in contrasto a molte questioni, troppe forse, con una visone olistica: di tutto, di più, ivi incluso un Commissario straordinario, con il compito di predisporre e attuare un piano straordinario di interventi infrastrutturali e di riqualificazione del territorio, ex Art. 1 del suddetto Decreto.

Peraltro, operare attraverso interventi straordinari e misurabili è un agire in asse con le logiche punitive, poiché in entrambi i casi si perseguono soluzioni veloci e senza alcuna implicazione in termini di interventi strutturali, che – invece – richiederebbero accurate riflessioni rispetto alla definizione delle priorità politiche nel contrasto alla marginalità, con conseguenti investimenti economici e di programmazione a lungo termine.  Non a caso il suddetto Decreto pure interviene in materia di irrigidimento delle misure penali contro la criminalità minorile; per inciso, alle cronache questo dispositivo giuridico è più noto come “Decreto Caivano”, con una dicitura certo non priva di venature etnocentriche.

Sicurezza poco partecipata

Anche il successo e l’esportabilità del “modello Caivano” sono stati sanciti da un dispositivo giuridico: il D.L. 31 dicembre 2024, n. 208, Misure organizzative urgenti per fronteggiare situazioni di particolare emergenza, nonché per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza; tale Decreto avalla la decisione politica di operare attraverso interventi infrastrutturali e progetti di riqualificazione sociale “straordinari” in otto aree ad alta vulnerabilità del Paese.

L’azione straordinaria è rappresentata, nel dibattito pubblico, come un vero e proprio restyling dell’assetto sociale della comunità caivanese, in nome della sicurezza partecipata. Nel concreto, però, si sta procedendo speditamente alla moltiplicazione di impianti di videosorveglianza e al rifacimento di edifici pubblici.

Premesse le non poche criticità teoriche del concetto di sicurezza partecipata, si sa che la sua implementazione prevede l’integrazione di una pluralità di livelli (multi-level) e di agenzie, sia pubbliche sia private, presenti sul territorio (multi-agency).

Ciò detto, diviene necessario interrogarsi su quale sia, però, la possibile integrazione tra le logiche degli interventi straordinari, che agiscono in deroga a molti fattori al fine di assicurare la velocità dell’azione, e il criterio di partecipazione che, invece, per tenere insieme multi-level e multi-agency richiede inevitabilmente un lungo tempo di elaborazione e condivisione degli obiettivi.

In altri termini, spostando l’attenzione dall’efficienza delle azioni straordinarie di intervento infrastrutturale (certamente, in assoluto, è efficiente costruire un centro sportivo in 5 mesi), bisognerebbe riflettere sul potenziale di sicurezza partecipata che tali azioni presumono di determinare. Robert Castel ci ha spiegato che la sicurezza e l’insicurezza sono rapporti relativi ai tipi di protezioni che una società assicura o non assicura in maniera adeguata, in relazione agli specifici bisogni di una popolazione.

Ripartire dalla conoscenza del contesto: Parco Verde

Poiché nella vicenda di Caivano la narrazione degli eventi – a partire dai tragici stupri di due adolescenti nell’agosto del 2023 – e il susseguirsi degli interventi sembrano rispondere alla logica della “parte per il tutto”, proviamo a declinare i bisogni degli abitanti del troppo noto Parco Verde, uno dei quartieri di case popolari costruite per gli sfollati delle aree economicamente più fragili di Napoli, a seguito del terremoto del 1980.

Si tratta di una zona fisicamente separata dal resto della cittadina, segnata da stradoni perpendicolari tra i quali è complesso orientarsi perché sono talmente anonimi che l’unico orientamento che si può avere sono i panni stesi ad asciugare; presenta circa 6000 abitanti, percentuali altissime di disoccupazione e la certezza che nulla è più permanente di un alloggio temporaneo affidato dopo il terremoto del 1980.

Per supportare i reali bisogni delle persone non serve l’esercito

Un quartiere difficile? Difficilissimo, soprattutto per chi lo abita; il contesto ideale per la produzione di devianza, insomma. I bisogni di queste porzioni di popolazione?

Dalla ricerca di campo che stiamo svolgendo emergono chiaramente: un lavoro, case dignitose (senza amianto, senza topi, senza acqua che gronda ovunque), infrastrutture che possano favorire la mobilità. Ciò detto, in merito all’aggettivo “partecipata”, che accompagna il progetto di sicurezza previsto dal “modello Caivano”, ci pare di poter dire che esso non trovi particolare riscontro in quanto finora posto in essere, perché nulla va nella direzione di allontanare dalla popolazione più fragile quel tipo di insicurezza sociale permanente che deriva dalla vulnerabilità delle condizioni di vita e condanna a vivere “alla giornata”, alla mercé del minimo incidente di percorso.

Il nuovo teatro in costruzione, pure edificato sulle macerie di quello preesistente, il centro sportivo “Pino Daniele” non sfamano; inoltre, a danno di ogni principio di partecipazione, la gestione di quest’ultimo è stata affidata alle “Fiamme Oro”, con la declinazione di una politica di definizione dei costi delle iscrizioni alle attività sportive non propriamente inclusiva e una esclusione dell’associazionismo sportivo locale dalla gestione della struttura stessa; del resto, anche altri membri delle realtà di Terzo Settore presenti sul territorio ci hanno consegnato, durante le interviste, il loro senso estraneità al “modello”: «Non abbiamo bisogno dei militari, anche perché non è così che si combatte il crimine, la droga, la camorra. Queste sono attività che si spostano altrove, non si fermano con i militari; è già successo per Scampia, lo sappiamo. L’unico esercito di cui abbiamo bisogno è quello di psicologi, sociologi, assistenti sociali, maestri di strada e risorse per il lavoro. Lo abbiamo detto al primo e unico incontro con i Commissari, ma forse non ci hanno sentito e comunque non ci hanno più chiamato».

Intanto, tra le aree designate all’esportazione del “modello Caivano”, il Quarticciolo, a Roma, scende in piazza contro una logica di intervento definita dai manifestanti un’azione di «militarizzazione […], l’edificazione di un deserto di esperienze di resistenza e vera ricostruzione».

Indipendentemente dal credito che si voglia dare al controcanto del “modello Caivano”, stando all’oggi la sua applicazione non pare offrire prova di un nesso positivo tra interventi straordinari, sicurezza e partecipazione. Del resto, tornando a Supiot, l’assenza di tale nesso sociale è intrinseca al modello stesso poiché, quando libertà e sicurezza sono agite in deroga a leggi applicabili equamente a tutti e ovunque, la dimensione partecipativa è posta inevitabilmente in parentesi rispetto alla replicabilità di obiettivi di governo strettamente misurabili e velocemente perseguibile, nel tempo di un mandato elettorale e una candidatura da replicare.

 

*Professoressa associata di Sociologia politica presso il Dipartimento di Scienze formative, psicologiche e della comunicazione dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli.
** Ricercatrice presso IRCrES-CNR, Torino.

 

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