MAFIE E GUERRA: STORIA DI UN TERRIBILE CONNUBIO. IL CONTRIBUTO DI FABIO ARMAO

Sin dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale le mafie hanno ritagliato un ruolo fondamentale prima, durante e dopo i conflitti. Dal traffico della droga, a quello delle armi fino all’orribile sfruttamento dei profughi. in Sicilia, in Giappone, come in Vietnam o in Afghanistan fino all’invasione dell’Ucraina.  
*DI FABIO ARMAO

Mafie e guerra hanno molto in comune, a partire da un gusto macabro per la morte e per la distruzione della società. Se le mafie, del resto, si definiscono a partire dalla relazione peculiare con la politica – è questo che le distingue dalle “normali” organizzazioni criminali – non possono non intrattenere una relazione altrettanto specifica con “la prosecuzione della politica con altri mezzi”, la guerra appunto.

Anzi, i mezzi della guerra, a partire dalla violenza, sono persino molto più confacenti alle mafie di quanto non lo siano quelli della politica; per non parlare poi delle macerie fisiche e istituzionali che le guerre lasciano sempre dietro di sé e che diventano per le mafie una fonte pressoché inesauribile di arricchimento.

Mafia legittimata sin dall’inizio della Seconda guerra mondiale

Se guardiamo alla storia del Novecento, un primo dato inconfutabile è che la guerra si è trasformata per alcune organizzazioni mafiose in un importante momento di legittimazione politica internazionale. Per noi italiani, il riferimento più ovvio è alla Seconda guerra mondiale, a partire dallo sbarco delle truppe alleate in Sicilia, nel 1943.

Al di là del ruolo da “intermediari” affidato a personaggi come Lucky Luciano, ciò che più conta (e che risulta ormai ampiamente documentato da fonti ufficiali) è che gli anglo-americani decidono di affidarsi per il ruolo di sindaco a notabili prefascisti tra i quali non mancano certo i mafiosi (meno noto, forse, è che già all’inizio del conflitto, agenti del servizio segreto della Marina statunitense si erano rivolti alla mafia italo-americana perché, attraverso i sindacati dei portuali da essa controllati, svolgesse un’azione preventiva nei confronti di eventuali sabotatori filo-nazisti e, soprattutto, prevenisse eventuali scioperi e altre azioni che potessero rallentare l’attività produttiva o il rifornimento delle navi).

Ciò contribuisce a spiegare come, nell’immediato dopoguerra, la mafia siciliana abbia facile gioco a sviluppare relazioni organiche con il movimento separatista per poi, da lì, far transitare alcuni dei suoi esponenti di maggior spicco nel principale partito di governo: la Democrazia cristiana.

In Giappone e in Cina il ruolo della Yakuza

Si potrebbe liquidare questo fatto come una conseguenza imprevista di una strategia in realtà non attentamente pianificata, se non fosse che gli statunitensi commettono lo stesso “errore” anche in Giappone, affidandosi alla Yakuza per gestire il mercato nero, a partire da quello dei generi alimentari soggetti a razionamento, e per garantire la protezione del territorio a fronte del disarmo anche della polizia civile previsto dai trattati di pace.

Alcuni clan della mafia giapponese, del resto, avevano già collaborato con le truppe d’occupazione nipponiche nella Manciuria e nella Cina negli anni Trenta, in particolare con l’ufficio governativo per il monopolio dell’oppio il cui compito era rastrellare denaro attraverso la vendita di droga e quindi, al tempo stesso, favorirne la diffusione in modo anche da fiaccare le velleità di resistenza dei cinesi.

Guerra e droga

Questo episodio ci consente di introdurre un secondo dato altrettanto evidente: la guerra si rivela un fattore di promozione economica internazionale delle mafie, attraverso proprio il traffico di droga. L’antefatto storico più rilevante, in questo caso, è rappresentato da quella che, non a caso, viene ricordata come Guerra dell’oppio (combattuta in due fasi: nel 1839-42 e nel 1858-60): la liberalizzazione del commercio di oppio indiano in Cina imposta con le armi dagli inglesi per riequilibrare la propria bilancia dei pagamenti, in deficit per gli acquisti di tè cinese.

Da allora, il legame tra guerra e droga è diventato indissolubile perché le “sostanze psicoattive” – frutto, vale la pena ricordare, delle ricerche di chimici prima europei, in particolare tedeschi, e poi nordamericani – si sono rivelate utili, a seconda della loro natura calmante o viceversa euforizzante, ad attenuare le sofferenze dei soldati feriti, a sopportare lo stress da combattimento o a migliorare le prestazioni in battaglia (seppure al costo, non certo irrilevante, di creare tra i combattenti un’assuefazione destinata a protrarsi nella vita civile, favorendo così la diffusione del consumo di droghe anche nei loro paesi di origine).

Non è certo un caso che le più grandi aree al mondo di produzione dell’oppio si siano sviluppate ai margini dei due più lunghi e devastanti conflitti successivi alla Seconda guerra mondiale: il Triangolo d’oro (Laos, Birmania e Thailandia) nel corso della guerra del Vietnam e la Mezzaluna d’oro (che si estende anche al Pakistan e a parte dell’Iran) durante la guerra dell’Afghanistan. O che in America latina la produzione e il traffico di cocaina abbiano alimentato con equanimità tanto le guerriglie comuniste, quanto i gruppi controrivoluzionari (finanziati e addestrati dalla CIA).

I vantaggi dalle guerre civili

A partire poi dalla fine della Guerra fredda, le mafie hanno saputo trarre immensi benefici dalla proliferazione, ovunque nel mondo – dai Balcani al Caucaso, dall’Africa e dal Medio oriente all’Asia – di guerre globali civili permanenti: conflitti interni agli stati, combattuti per lo più da ridotte unità di “soldati” (mercenari, gruppi criminali di varia natura, warlords, jihadisti) dotati di armi definite “leggere” eppure in grado di fare strage di civili inermi, guerre destinate a trasformarsi nella condizione quotidiana delle popolazioni coinvolte e a riverberare comunque a livello internazionale (basti pensare al fenomeno dei flussi migratori generati proprio dalle guerre).

In tale contesto, le mafie continuano a soddisfare l’inesauribile domanda delle droghe a livello globale e a monopolizzare il mercato nero dei beni essenziali nelle aree più direttamente interessate dai conflitti. Ma a questo bisogna poi aggiungere il traffico d’armi, il reclutamento e l’invio al fronte di combattenti per le cause più diverse, l’estorsione ai danni dei profughi, costretti a pagare cifre esose nel tentativo di garantirsi un “viaggio della salvezza” (con il corollario, ancor più drammatico, dei minori non accompagnati ridotti in schiavitù, indotti alla prostituzione o costretti a fare da manovalanza alle stesse gang criminali).

L’ultima conferma dalla Russia

Da ultimo, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia rappresenta a tutti gli effetti l’apoteosi del connubio storico tra mafie e guerra. Non solo per il fatto che si svolge nel cuore dell’Europa, per la vastità delle forze impiegate, per il livello di distruzione che sta infliggendo alle città, per i milioni di profughi in fuga dai bombardamenti (e, in conseguenza di tutto ciò, per la straordinaria redditività del mercato nero che è destinata a generare). Ma perché mafioso è lo stesso regime russo che l’ha scatenata: una banda di oligarchi e funzionari corrotti, di cui Putin non è che il boss, che hanno depredato il proprio paese, impadronendosi delle sue immense ricchezze per poi investirle all’estero e occultare i profitti nei paradisi fiscali.

* Docente di Relazioni internazionali all’Università di Torino. Profondo conoscitore delle organizzazioni criminali, collabora con la rivista “Micromega”, per la quale cura un proprio blog, con questo post inizia anche il legame con APprofondimenti.
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