PREMESSA. La Commissione d’inchiesta sulle mafie, nella seduta del 27 marzo 2019, ha concluso l’esame delle ipotesi di modifica del Codice di autoregolamentazione in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali, approvandone il nuovo testo (Doc. XXIII, n. 1): esso costituisce l’aggiornamento di quello proposto dalla stessa Commissione nella precedente legislatura.

Anche nella XVIII Legislatura, infatti, la legge istitutiva (n. 99 del 2018) attribuisce alla Commissione il compito di «indagare sul rapporto tra mafia e politica, sia riguardo alla sua articolazione nel territorio e negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e delle candidature per le assemblee elettive, in relazione anche al codice di autoregolamentazione sulla formazione delle liste elettorali […], sia riguardo alle sue manifestazioni a livello nazionale che, nei diversi momenti storici, hanno determinato delitti e stragi di carattere politico-mafioso» (art. 1, co. 1, lett. i).

LA VERSIONE 2019 DEL CODICE. La presente deliberazione – che, lo si puntualizza, è soggetta ad adesione volontaria e comunque priva di carattere vincolante – si pone in linea di continuità con quelle adottate dal medesimo organismo bicamerale a partire dalla X Legislatura, nonché con il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi (decreto legislativo n. 235 del 2017).

Aderendo al codice, partiti, movimenti, liste civiche e formazioni politiche in genere si impegnano a non candidare o sostenere (anche indirettamente o mediante collegamento ad altre liste) «coloro nei cui confronti, alla data di pubblicazione della convocazione dei comizi elettorali, sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o la citazione diretta a giudizio, ovvero che siano stati condannati con sentenza anche non definitiva di primo grado; coloro nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti [c.d. “patteggiamento della pena”, ndc], ovvero sia stata emessa misura cautelare personale non revocata né annullata; coloro che si trovino in stato di latitanza o di esecuzione di pene detentive o che siano stati condannati con sentenza anche non definitiva di primo grado per danno erariale per reati commessi nell’esercizio delle funzioni di cui alla carica elettiva, allorquando le predette condizioni siano relative a uno dei seguenti reati consumati o tentati» (art. 1, co. 1) [in grassetto le novità rispetto alla precedente versione del codice]:

  • delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, del codice di procedura penale (tra i tanti: associazione mafiosa; contraffazione di marchi e brevetti; commercio di prodotti con segni falsi; traffico illecito di rifiuti; sequestro di persona a scopo di estorsione; istigazione alla pedofilia; prostituzione e pornografia minorile; pornografia virtuale; adescamento di minorenni; accesso abusivo ad un sistema informatico; intercettazione o impedimento di comunicazioni telematiche; danneggiamento di sistemi informatici; frode informatica, et al.);
  • concussione; corruzione per l’esercizio della funzione, per un atto contrario ai doveri d’ufficio e in atti giudiziari; induzione indebita a dare o promettere utilità; corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio; istigazione alla corruzione; corruzione di organi e funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri; violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario; traffico di influenze illecite; turbata libertà degli incanti, et al.;
  • assistenza agli associati;
  • scambio elettorale politico-mafioso;
  • estorsione e usura;
  • tratta di persone;
  • intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro;
  • omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte delle persone sottoposte ad una misura di prevenzione disposta ai sensi del Codice antimafia, nonché da parte dei condannati con sentenza definitiva per associazione mafiosa;
  • riciclaggio; impiego di beni o utilità di provenienza illecita; autoriciclaggio;
  • trasferimento fraudolento di valori;
  • disastro ambientale; traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività;
  • bancarotta fraudolenta; false comunicazioni sociali;
  • corruzione e istigazione alla corruzione tra privati.

 

Il codice prevede inoltre le seguenti ulteriori fattispecie di incandidabilità per coloro nei cui confronti ricorra una di tali condizioni (art. 1, co. 2) [in grassetto le novità rispetto alla precedente versione del codice]:

  • adozione di misure di prevenzione personali o patrimoniali, ancorché non definitive, ai sensi del Codice antimafia;
  • rimozione, sospensione o decadimento dall’incarico di amministratore locale ai sensi del Testo unico degli enti locali;
  • aver ricoperto la carica di sindaco o di componente della giunta negli enti sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, ancorché il decreto di scioglimento non sia ancora definitivo;
  • essere destinatari di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti emesso ai sensi dell’articolo 663 c.p.p., o comunque di più condanne irrevocabili, quando le pene per delitti non colposi, consumati o tentati, cumulate fra loro superino i quattro anni (nel cumulo non si tiene conto delle condanne riportate per diffamazione, e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa;
  • aver subito una condanna, anche non definitiva, che importi, quale sanzione accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

 

Tali statuizioni si applicano anche alle nomine di spettanza dei presidenti delle Regioni e delle Province, come pure dei sindaci delle Città metropolitane e dei Comuni (art. 2).

La Commissione antimafia, nell’ambito dei sui poteri e compiti, ha l’onere di verificare l’aderenza al codice di autoregolamentazione delle liste elettorali presentate dalle forze politiche che vi aderiscono (art. 4); le quali, per converso, sono tenute a motivare pubblicamente eventuali scostamenti dalle prescrizioni ivi contenute (art. 3).

 

(a cura di Luca Fiordelmondo, Master APC dell’Università di Pisa)