PREMESSA. La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie, nella seduta del 20 maggio 2020, ha approvato la Relazione (Doc. XXIII, n.3) sulle conseguenze derivanti dalla sentenza n.253 del 2019 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 (“Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”), nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale (associazione mafiosa) e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia.

LE PRONUNCE DELLA CONSULTA E DELLA CORTE EUROPEA. Nella succitata sentenza della Corte Costituzionale, a contrastare con gli articoli 3 e 27, terzo comma, della Carta è “l’assolutezza della presunzione del collegamento con la criminalità organizzata del detenuto non collaborante” dell’articolo 4-bis comma 1 (clicca qui per approfondire). In precedenza anche la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva già sancito la non conformità della misura dell’ergastolo c.d. “ostativo” all’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, a norma del quale «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti» (clicca qui per approfondire).

I CONTENUTI DELLA RELAZIONE. Dopo aver analizzato le due sentenze (pp.12-25), la Commissione riferisce di aver condotto un breve ciclo di audizioni lo scorso mese di dicembre. Sul tema sono stati ascoltati il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (video), il Capo del Dipartimento dell’amministrazione peniten­ziaria (video), il Presidente della Commissione «Carceri ed esecuzione della pena» del Consiglio superiore della magistratura, i presidenti dei Tribunali di sorveglianza di Bologna e Roma (video), un docente di diritto costituzionale.

LE AUDIZIONI.  La Relazione evidenzia come tutti gli auditi siano concordi sull’opportunità che un eventuale intervento di riforma debba rivolgersi non solo al comma 1, oggetto della sentenza della Corte Costituzionale, ma a tutti i benefici penitenziari indicati dall’articolo 4-bis, onde evitare “ulteriori successivi interventi della Corte costituzionale”. Dalle audizioni emerge inoltre come le conseguenze della sentenza, “apparentemente dirompenti”,  siano di fatto attenuate “da rigide condizioni per ottenere la concessione del beneficio, che comunque costituirà un’eccezione alla regola”. Nel corso delle audizioni sono emerse inoltre varie ipotesi sui parametri da utilizzare per valutare l’assenza dei collegamenti fra il detenuto e il sistema criminale a cui apparteneva (pag.28).

“I magistrati di sorveglianza – si legge nella Relazione – hanno poi energicamente ribadito la necessità, ora ancor più cogente a fronte di competenze sempre più articolate e complesse, di implementare gli organici degli uffici di sorve­glianza, anche per ciò che concerne la dotazione del personale ammini­strativo”.

CRITERI E IPOTESI DI RIFORMA. In conclusione (pag. 29) la Commissione illustra alcuni criteri e avanza conseguenti proposte di riforma:

  • per i reati connessi con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva, dovrà gravare sul condannato l’onere di fornire allegazioni, basate su elementi fattuali precisi, concreti ed attuali, dell’esclusione del mantenimento dei contatti con l’organizzazione mafiosa e del pericolo di ripristino;
  • elementi e circostanze che la magistratura di sorveglianza potrà e dovrà valutare ai fini della concessione dei benefici possono essere: il perdurare o meno della operatività del sodalizio criminale; il profilo criminale del condannato e la sua posizione all’interno dell’associazione; la capacità eventualmente manifestata nel corso della detenzione di mantenere collegamenti con l’originaria associazione di appartenenza o con altre organizzazioni, reti o coalizioni anche straniere; la sopravvenienza di nuove incriminazioni o significative infrazioni discipli­nari; l’ammissione dell’attività criminale svolta e delle relazioni e rapporti intrattenuti; la valutazione critica del vissuto in relazione al ravvedimento; le disponibilità economiche del condannato all’interno degli istituti peni­tenziari nonché quelle dei suoi familiari; la sussistenza di concrete e congrue condotte riparatorie, anche di natura non economica; l’intervenuta adozione di provvedimenti patrimoniali ed il loro stato di concreta esecuzione;
  • l’acquisizione di tali elementi imporrà l’avvio delle verifiche che vedranno impegnate le autorità competenti a fornire le necessarie infor­mazioni: Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, direzione del carcere;
  • occorrerà prevedere un termine ampio per l’acquisizione di tali pareri, dal momento che essi dovranno essere preceduti da un’attività di raccolta di informazioni. Viene ritenuto congruo un termine di trenta giorni, prorogabile una sola volta da parte del giudice di sorveglianza.

Prima ipotesi di riforma.  Prevede una giurisdizione esclusiva in capo al tribunale di sorveglianza di Roma in materia di valutazione dell’accesso ai benefici di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis, ivi compresi i permessi premio. In tal caso, la competenza a decidere sui reclami avverso i provvedimenti emessi dal tribunale di Roma in materia di permessi premio
potrebbe essere affidata ad un organo di seconda istanza, quale una sezione della Corte d’Appello di Roma integrata dalla presenza di esperti, o in alternativa allo stesso Tribunale di sorveglianza di Roma in composizione diversa rispetto al collegio che ha emesso il provvedimento impugnato.

La concentrazione della competenza in un unico tribunale a competenza nazionale ovvierebbe al rischio di una giurisprudenza “a macchia di leopardo”, di orientamenti giurisprudenziali eterogenei e difformi pur in situazioni identiche o analoghe. Questa soluzione presupporrebbe necessariamente una modifica della pianta organica nonché un
corrispondente e congruo ampliamento del numero dei giudici, degli esperti e del personale amministrativo addetto al disbrigo degli affari.

Seconda ipotesi di riforma. Prevede un « doppio binario » con una disciplina differenziata in ragione della tipologia di reati per cui il soggetto è stato condannato. In tale ipotesi andrebbe attribuita al tribunale di sorveglianza territoriale la competenza per le istanze di permesso premio presentate dai condannati e dagli internati per reati associativi, per delitti mafiosi e di criminalità organizzata, eversiva o terroristica e per traffico di stupefacenti.

Tale soluzione, immediatamente praticabile, risponderebbe all’esigenza che si impone quando si verte in materia di reati gravi e associativi, di una più articolata ponderazione in quanto assicurata da un giudizio collegiale e rafforzata anche dalla presenza dei componenti esperti non togati e delle relative professionalità, nonché dalla partecipazione all’udienza della pubblica accusa.

Inoltre, al fine di garantire un’adeguata circolarità delle informazioni e di favorire il lavoro dei magistrati di sorveglianza, anche in ragione dei trasferimenti dei detenuti da un carcere all’altro, si propone che, nei confronti di tutti i condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis, comma 1, sia efficacemente implementato il fascicolo elettronico del detenuto o dell’internato (SIDET), nel quale, tra l’altro, dovrebbe confluire la cartella clinica digitale, al fine di consentire ai medici che lo prendono in carico di conoscere in tempo reale le condizioni di salute del detenuto o dell’internato.