Dalla Calabria storia di mafie e di resistenza. Un contributo di Enzo Ciconte

Quale è stato il Comune che per primo ha fatto uno sciopero contro la mafia? E quale comune ha chiesto di essere riconosciuto come parte civile in un processo contro la mafia? La risposta nel racconto del professore Enzo Ciconte. Una storia di resistenza istituzionale e civile alle mafie. Accadde cinquant’anni fa, è ancora in grado di interrogare e far riflettere. 

Cinquant’anni fa, il 5 dicembre 1975, con un documento innovativo illustrato dall’arcivescovo Giovanni Ferro, la Conferenza episcopale calabrese definì la mafia una “disonorante piaga della società” e “uno dei mali più gravi che affliggono la società”. Si parlava di mafia, non di ‘ndrangheta, perché ancora il nome specifico della mafia calabrese non si era affermato. Era un passo avanti anche se molti sacerdoti erano refrattari a cogliere ed accogliere le novità, e ad agire di conseguenza. Faceva eccezione don Natale Bianchi con la sua comunità di base il cui magistero si svolgeva a Gioiosa Jonica e ben presto entrò in contrasto con la curia.

Lo sciopero cittadino

Il fatto più clamoroso di quel dicembre accadde il 29, quando l’amministrazione comunale di Gioiosa Jonica in provincia di Reggio Calabria, poco meno di diecimila abitanti, proclamò uno sciopero cittadino contro la mafia. Uno sciopero così non s’era mai visto. Era il primo in Italia. La cronaca di Franco Martelli, giornalista de “l’Unità”, ci informa che “tutti i negozi hanno abbassato le serrande per l’intera mattinata”. Molti di loro erano sotto estorsione.

L’anima di quella iniziativa fu il comunista Francesco Modafferi, un insegnante elementare che era stato appena eletto sindaco. In mattinata un convegno affollatissimo si tenne al Supercinema e parlarono, oltre a Modafferi, il democristiano Pasquale Barbaro, che era presidente della commissione antimafia del consiglio regionale, i comunisti Girolamo, Mommo, Tripodi sindaco di Polistena, l’avvocato Francesco Martorelli e il deputato socialista Salvatore Frasca, primo firmatario della proposta di legge che chiedeva di estendere alla Calabria le indagini della Commissione parlamentare antimafia che si interessava, per legge, solo della Sicilia. 

L’obbedienza di alcuni, la resistenza di Rocco Gatto

Erano anni di lotte sociali; sul tirreno i braccianti, sullo jonio le gelsominaie. A Gioia Tauro s’erano avviati i lavori del quinto centro siderurgico e uno dei Piromalli fece gli onori di casa quando il ministro Giulio Andreotti partecipò alla cerimonia della posa della prima pietra. A Limbadi, poco distante da Gioia Tauro, cresceva la presenza della ‘ndrina di Francesco Mancuso. Dappertutto le estorsioni spingevano molte ditte a rinunciare ai lavori, mentre altre sottostavano al giogo mafioso. 

Il fulcro rimaneva Gioiosa

Lo si vide domenica 7 novembre 1976, giorno di mercato che era il più grande del circondario; giorno di festa, di acquisti, di vendite, di incontri. Sin dalle prime ore del giorno, all’arrivo dei primi ambulanti che scaricavano le merci, si presentarono giovanotti spavaldi che bloccarono lo scarico, informando gli ambulanti che il mercato non si sarebbe dovuto fare perché era un giorno di lutto. Era successo che in uno scontro a fuoco con i carabinieri era rimasto ucciso Vincenzo Ursini, il capobastone locale; e dunque bisognava onorarlo con un giorno di lutto per tutti non solo per la sua famiglia. A capo chino e a malincuore, chi borbottando chi protestando, tutti gli ambulanti andarono via.

Solo uno non accettò l’imposizione

Era Rocco Gatto, primo di 10 figli, un mugnaio comunista, lavoratore onesto che non aveva mai accettato di dare parte del suo guadagno agli uomini della mafia che passavano e ripassavano dal suo mulino cercando di piegarlo, senza riuscirci. Aveva una sola passione, raccoglieva e riparava orologi vecchi e antichi. E una sera tutti gli orologi sparirono come d’incanto. Ma lui continuò a non pagare.

Anche il padre era un ribelle, non s’era piegato ai fascisti e non aveva indossato la camicia nera. Telefonò ai carabinieri informandoli di quanto stesse succedendo al mercato. Fu chiamato anche il sindaco che convocò il consiglio comunale facendo approvare un ordine del giorno di dura condanna e chiese che i responsabili del raid fossero puniti perché quanto era successo al mercato era molto grave.

Rocco Gatto confermò tutto al capitano dei carabinieri, Gennaro Niglio, un uomo capace e determinato nel combattere i mafiosi, e al giudice istruttore. Quando iniziò il processo i mafiosi decisero che era giunta l’ora di eliminare quell’uomo ostinato. Il 12 marzo 1977 lo uccisero a colpi d’arma da fuoco.

La determinazione di un sindaco 

Fu ancora Modafferi a spingere perché il comune si costituisse parte civile nel processo. Era il primo comune in Italia a costituirsi parte civile. L’avvocato del comune era Francesco Martorelli che in seguito fu membro della commissione antimafia quando si elaborò la legge Rognoni-La Torre. La costituzione di parte civile era una novità assoluta e non era affatto scontato che il tribunale accogliesse quella richiesta. E invece, contro tutte le aspettative, il tribunale di Locri, il cui presidente era Guido Marino, accolse la richiesta.

In un’altra occasione Modafferi andò in tribunale, il giorno in cui si doveva decidere per dei casi di pascolo abusivo in contrada Cessarè, dove le mandrie degli Ursini entravano abusivamente nei campi di sessantaquattro piccoli e medi proprietari di agrumeti e di orti. Quando si arrivò al processo il vice pretore, avvocato Giuseppe Calafati, non trovò nessun avvocato del luogo disposto a fare il pubblico ministero e allora, “tra la meraviglia generale” scrisse Pietro Melia su “Paese Sera”, utilizzando un articolo di legge, scelse il sindaco il quale accettò. Un sindaco pubblico ministero non s’era visto. Il giorno dopo si trovò un avvocato al suo posto.

Aveva esagerato, quel sindaco, e andava fermato. Non ci riuscirono i mafiosi. Lo fecero dimettere i socialisti che agli inizi del 1980 scelsero la DC.


*storico, professore, rappresentante del comitato scientifico di Avviso pubblico
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