Contrastare le infiltrazioni mafiose nell’economia: come consolidare l’utilizzo della certificazione antimafia

L’esperienza concreta di applicazione della disciplina sulla certificazione antimafia si è rivelata particolarmente utile a contrastare le infiltrazioni mafiose nell’economia, a partire dall’affidamento di appalti pubblici di particolare rilievo, come quelli concernenti Expo 2015 o gli interventi di ricostruzione post terremoto, come testimoniato anche dalle relazioni periodiche della Direzione investigativa antimafia e della Direzione nazionale antimafia. La stretta cooperazione tra magistratura (la Dia in particolare) e le diverse forze di polizia e amministrazioni competenti ha permesso di intensificare le attività di verifica su appalti, ivi inclusi i controlli nei cantieri sulle imprese che eseguono in concreto i lavori, sempre con l’obiettivo di coniugare la rapidità nell’istruttoria delle interdittive antimafia con l’indagine approfondita delle singole situazioni: magistratura e forze dell’ordine svolgono quotidianamente un preziosissimo lavoro per individuare le aziende legate alla criminalità organizzata, sulla base di un’accurata analisi delle diverse strategie utilizzate dalle mafie per esercitare il suo condizionamento sulle imprese “sane” ed infiltrarsi in modo silente ma pervicace nell’economia.

Si tratta quindi di proseguire su questa strada affinando ulteriormente le tecniche di indagine e individuando tutti i necessari correttivi, sia di natura legislativa che organizzativa, volti a rafforzare le capacità di contrasto delle infiltrazioni della criminalità – organizzata e non – nell’economia reale, fenomeno purtroppo rilevantissimo, come testimoniato dalle analisi della Commissione Antimafia (leggi le schede su Mafie ed economia e Mafie e Appalti) Da questo punto di vista, appare sicuramente positiva l’estensione – purtroppo ridimensionata da successivi provvedimenti di legge – disposta dalla recente riforma del codice antimafia dell’obbligo di acquisire la documentazione antimafia per le concessioni di terreni agricoli e zootecnici demaniali e per tutti i soggetti che fanno parte di consorzi di impresa, senza le limitazioni finora previste. E appare utile riflettere sull’ipotesi, autorevolmente sostenuta, di ampliare l’ambito di applicazione del potere interdittivo del prefetto anche a contesti di criminalità ordinaria al fine di contrastare fenomeni di corruzione e la turbativa delle gare pubbliche.

Sul sito di Avviso Pubblico, all’interno della sezione Mafie, è disponibile un’ampia ricostruzione della normativa in materia, alla luce anche del prezioso contributo fornito dalla giurisprudenza amministrativa nella definizione dei parametri ai quali vincolare l’attività di verifica e nell’estensione del ricorso alla certificazione antimafia anche aldilà dei casi obbligatoriamente previsti dalla legge. Interessanti analisi sull’espansione delle mafie in aree diverse da quelle tradizionali sono contenute, ad esempio, nei rapporti degli organismi costituiti dalla regione Lazio per contrastare criminalità e corruzione: l’ultimo rapporto di febbraio 2018 riguarda proprio le infiltrazioni mafiose nell’economia del Lazio.

Avviso Pubblico sottolinea la necessità di promuovere un’adeguata pubblicità delle informazioni contenute nelle banche dati riguardanti le ditte colpite da interdittiva antimafia (solo gli elenchi di cui alle white list sono attualmente accessibili); la normativa in materia di privacy può essere logicamente applicata ai titolari delle cariche sociali delle aziende ma appare impropria l’estensione di tale tutela anche alle aziende. Viene così preclusa la conoscenza all’opinione pubblica – ed anche agli altri operatori del settore – perfino della denominazione delle imprese per le quali la pubblica amministrazione ha verificato l’esistenza di condizionamenti da parte della criminalità organizzata, mentre un adeguata pubblicizzazione delle interdittive antimafia renderebbe tutti pienamente consapevoli dei rischi connessi all’instaurazione di rapporti con tali soggetti.

Il discorso vale anche per i provvedimenti adottati dai giudici amministrativi, per i quali attualmente, in attuazione del D.lgs 196 del 2003, si procede all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti interessate. Nelle più recenti sentenze del Consiglio di stato, ad esempio, viene omesso addirittura il riferimento alla precedente decisione del Tar rendendo impossibile ricostruire lo stesso iter. Appare perciò necessaria una sollecita revisione di tale prassi che non consente di conoscere – neppure nei casi di conferma definitiva delle interdittive antimafia – i nominativi delle aziende coinvolte.

Tutto ciò a garanzia delle stesse aziende “sane”, che potrebbero così più agevolmente ridurre il rischio di essere coinvolte in fatti di mafia o in meccanismi di riciclaggio di proventi illeciti.

 

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