E’ stato presentato giovedì 10 novembre, presso la Sala del Tempio di Adriano della Camera di Commercio di Roma, il Rapporto 2016 della SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) sull’economia delle regioni del Sud Italia, alla presenza di Riccardo Padovani e Giuseppe Provenzano, rispettivamente direttore e vicedirettore dell’associazione, e di Adriano Giannola, Presidente di SVIMEZ. Presenti anche il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e il Presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella.
Dopo 7 anni di crisi torna il segno positivo per il Prodotto Interno Lordo del Sud. La valutazione SVIMEZ per la crescita del Mezzogiorno nel 2015 è pari all’1 per cento (+0.7% nel resto del Paese). Un segnale positivo arrivato comunque in ritardo rispetto al resto d’Europa e delle altre aree d’Italia. Un ritardo “cronico” che ha fin qui accentuato il divario tra Nord e Sud, poiché dal 2007 al 2014 il PIL nel Mezzogiorno è calato del 12.3%, quasi il doppio della flessione del Centro – Nord nello stesso periodo (7.1%)
“La crescita del prodotto nelle regioni del Sud ha beneficiato nel 2015 di alcune condizioni peculiari – scrive SVIMEZ – un’annata agraria particolarmente favorevole, la crescita del valore aggiunto nei servizi, soprattutto nel turismo, legata alle crisi geopolitiche nell’area del Mediterraneo che hanno dirottato parte del flusso turistico verso il Mezzogiorno; la chiusura della programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013, che ha portato a un’accelerazione della spesa pubblica legata al loro utilizzo per evitarne la restituzione”.
Ad una lieve crescita dei consumi (+0.3%), degli investimenti (+0.8%) e degli occupati (1,6%), fanno da contraltare la perdita di peso delle occupazioni più qualificate (“cresce piuttosto il lavoro part-time in professioni meno qualificate”), le “migrazioni qualificate” (478mila giovani, di cui 133mila laureati hanno lasciato il Sud) e la crescita dei cosiddetti “nuovi poveri”: “Nel 2015, dieci meridionali su cento risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di sei nel Centro-Nord. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese. Non è più rinviabile una misura organica e universale di contrasto della povertà, soprattutto alla luce della comparsa dei ‘nuovi poveri’, lavoratori anche diplomati o laureati che con la crisi hanno subito un netto peggioramento della condizione economica”.
Criminalità e Mezzogiorno. “L’azione di contrasto delle Forze dell’Ordine ai gruppi mafiosi storici è stata assai incisiva negli ultimi anni – scrive l’associazione – Nonostante ciò, i boss continuano a presentarsi come «regolatori» delle transazioni economiche, dei rapporti tra cittadino e amministrazione, della vita politica e civile. Il punto di forza dei gruppi criminali organizzati risiede proprio nella disponibilità di vari operatori economici ad avvantaggiarsi dei loro rapporti di collaborazione, oltre che nella capacità di internazionalizzazione dei clan, grazie a cui possono reperire risorse ingenti, operando in paesi in cui le normative antimafia sono meno rigorose.
Beni confiscati. Tra i temi toccati nel Rapporto vi sono le linee evolutive della politica antimafia, con particolare riferimento al tema dei beni e aziende oggetto di sequestro e confisca. “Si tratta di una risorsa di enorme valore economico e simbolico, la cui gestione oculata costituirebbe un contributo alla crescita del Paese. L’esigenza principale è di sperimentare delle procedure pienamente tracciabili, che possano coniugare efficienza e trasparenza di gestione”.
Indice Europeo di Qualità delle Istituzioni. Fondamentale per lo sviluppo è la capacità di resistere ai fattori di instabilità (economic resilience) e la qualità delle istituzioni pubbliche e adeguatezza delle strutture economiche. L’Indice europeo di Qualità delle Istituzioni (EQI) del 2013, che prende in considerazione 236 regioni, colloca il Mezzogiorno in fondo alla classifica, tra il 200esimo posto dell’Abruzzo e il 232esimo della Campania. “Le regioni centro-settentrionali (Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio) si attestano su posizioni più elevate, ma comunque inferiori alla media europea e in netto peggioramento rispetto alla precedente rilevazione, effettuata nel 2010”.
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