Premessa. La Commissione sui fenomeni dell’immigrazione, nell’ambito delle diverse problematiche riguardanti i flussi migratori, ha dedicato una specifica attenzione al tema della profilassi, assistenza sanitaria e tutela della salute dei migranti e della popolazione residente, approvando l’8 novembre 2017 una relazione (Doc. XXII bis n. 15), con l’obiettivo di distinguere i problemi da affrontare – nell’ottica delle politiche sanitarie da mettere in campo – da quegli ambiti che non dovrebbero, invece, destare allarme.
Il fenomeno migratorio in Italia. Con i dati aggiornati al 2 novembre 2017, la relazione informa che le persone approdate in Italia negli ultimi quattro anni ammontano a 616.930 mila, con due picchi negli anni 2014 e 2016. I migranti ospiti del sistema nazionale di accoglienza si dividono poi tra i centri di prima accoglienza (la maggior parte) e gli SPRAR (numericamente la porzione minore). Un altro dato interessante riguarda poi la graduatoria dei Paesi di provenienza, attualmente riconducibile al seguente ordine: Nigeria, Guinea, Costa D’Avorio e Bangladesh (a fronte della netta diminuzione degli eritrei). Passando, poi, a una disamina macroscopica il dato più interessante riguarda il complesso della popolazione straniera in Italia: questa dal 1998 a oggi è quintuplicata, ma a ben vedere rapportato alla popolazione complessiva gli stranieri rappresentano l’8,3 per cento della popolazione totale (con un dato più elevato della Francia e di poco inferiore a quello tedesco, ma comunque più basso delle cifre raggiunte in Belgio, Irlanda e Austria). Inoltre nel computo generale – è bene precisare – sono comprese non solo le migrazioni dall’estero, ma anche il numero dei nati in Italia da genitori entrambi stranieri. Sulla composizione per genere l’apparente equilibrio, con il lieve vantaggio femminile, cela in realtà notevoli discrepanze per cittadinanza oltre che per “status” (tra i richiedenti asilo, infatti, la percentuale maschile è largamente preponderante). I dati del 2015 e del 2016 denotano, poi, una diminuzione della popolazione residente in Italia, un trend in atto che solo parzialmente è compensato dall’aumento del numero degli stranieri, peraltro in gran parte in età attiva e in grado, quindi, di produrre reddito.
Quadro normativo. La disciplina sulla tutela della salute degli immigrati, contenuta inizialmente nella cosiddetta “Legge Turco-Napolitano” è confluita nel Testo Unico sull’immigrazione, ai sensi del quale sul tema – un esempio fra tanti – gli stranieri con regolare permesso di soggiorno (anche in fase di rilascio del primo permesso o di eventuale regolarizzazione e nelle more del rinnovo) sono equiparati agli italiani (art.34 del D.Lgs 25 luglio 1998 n.286). L’attuale disciplina delinea, quindi, differenti livelli di tutela, indipendenti dal Paese di nascita, parametrati alla durata e allo “status” di permanenza degli stranieri in Italia; in ambito europeo la direttiva di riferimento è la 2013/33/UE del 26 giugn0 2013, secondo cui gli Stati possono obbligare i richiedenti a sostenere i costi dell’assistenza qualora dispongano di sufficienti risorse. L’accesso all’assistenza è subordinato all’iscrizione anagrafica nel comune di dimora. L’effettivo esercizio dei diritti è, tuttavia, ostacolato spesso da difficoltà pratiche e procedurali come, per esempio, l’attesa di un codice fiscale che ha determinato il ricorso al codice temporaneo STP (Straniero Temporaneamente Presente), al fine di garantire le cure urgenti, essenziali e continuative e con l’apposita tutela del divieto di segnalazione degli stranieri irregolari da parte del personale sanitario all’autorità di pubblica sicurezza.
La spesa sanitaria. Ai sensi del testo unico sull’immigrazione le cure assicurate ai detentori del codice STP sono erogate senza oneri a carico dei richiedenti, se privi di risorse economiche. In particolare, al Ministero dell’Interno spetta il rimborso per prestazioni ospedaliere urgenti ed essenziali; per il resto si provvede nell’ambito delle disponibilità del Fondo sanitario nazionale. Degno di nota nel presente ambito è poi l’Accordo Stato Regioni e Province Autonome, del 20 dicembre 2012, volto a favorire un più omogeneo accesso alle cure da parte della popolazione immigrata e a facilitare il lavoro degli operatori sanitari.
Quadro epidemiologico. Bisogna, innanzitutto, tenere presente che modalità e dinamica del viaggio costituiscono in sé elementi di selezione della popolazione migrante, da cui si può trarre la prima considerazione secondo cui gli immigrati all’arrivo presentano condizioni generali di salute, tendenzialmente migliori di quelle dei residenti. Sebbene “la paura del contagio” abbia giustificazioni prevalentemente sul piano storico, l’esperienza migratoria più recente dimostra che in alcuni Paesi di origine non si è compiuta la cosiddetta “transizione epidemiologica” ponendo, pertanto, la necessità di un adeguamento e specializzazione delle strutture sanitarie del Paese di arrivo verso patologie trasmissibili, di maggiore occorrenza, rispetto a quelle cronico-degenerative su cui si era focalizzata l’Italia per l’evoluzione della nostra società. Secondo la relazione il rischio che i migranti contagino i residenti introducendo vecchie o nuove malattie infettive è “un problema teorico, sostenuto da paure che non trovano riscontri obiettivi”. Le evidenze epidemiologiche hanno dimostrato, inoltre, che l’incidenza delle patologie infettive di importazione è trascurabile, anche perché mancherebbero le condizioni ambientali per la trasmissione delle stesse (come vettori specifici e condizioni socio-economiche). Il dato più recente, che qui si riporta, relativo alla salute dei migranti attiene ai rischi collegati alla continua esposizione a fattori come la povertà, la fame e la marginalità, in quanto spesso sono le condizioni di vita e le deprivazioni materiali e psicologiche e esporre gli immigranti a problemi di salute.
Infezione da HIV, infezione tubercolare e malaria. In particolare per quanto concerne l’infezione da HIV e la tubercolosi si osserva il fenomeno del “migrante sano che depaupera il proprio benessere di salute” durante la permanenza nel Paese di destinazione. Diverso è il caso della malaria che riguarda spesso migranti da tempo residenti in Italia, ma che tornano a visitare i loro Paesi di origine dopo tempo senza misure di profilassi (sebbene nessun caso di trasmissione sia stato ancora mai dimostrato).
I limiti pratici del diritto all’assistenza sanitaria. L’intervento curativo dell’immigrato diventa più difficile anche a causa di complicanze notevoli dovute a difficoltà di gestire bene le fasi dopo il ricovero e ciò determina l’apparente paradosso per cui la perdita di salute del migrante è “una conseguenza della ridotta possibilità e/o capacità di accesso ai servizi sanitari”. Nonostante lo stampo universalistico e la legislazione tendenzialmente favorevole alla popolazione immigrata permangono, tuttavia, forti squilibri e disomogeneità territoriali nel garantire i livelli essenziali di assistenza, oltre che barriere burocratiche e comunicativo-relazionali. La più forte discrasia, altresì, tra popolazione italiana e popolazione straniera residente permane nella propensione a effettuare una visita medica nell’assenza di disturbi o sintomi.
La salute dei migranti. Nel documento approvato il 15 dicembre 2016, nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità- Comitato regionale europeo, sono stati individuati tre argomenti specifici inerenti alla salute dei migranti, quali la necessità di migliorare i servizi dedicati alla salute mentale, l’importanza di formare operatori sanitari culturalmente competenti su esigenze di salute e barriere linguistiche e culturali e la vulnerabilità dei minori non accompagnati.
Iniziative in atto e criticità riscontrate. Le condizioni sanitarie dei migranti riscontrate all’arrivo sono legate, spesso, più alle modalità e alla durata del viaggio che alla presenza di malattie infettive. Il primo controllo consiste in un triage per stabilire la priorità dello barco in banchina o l’invio al ricovero ospedaliero. A effettuare questi primi controlli sono gli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF), in collaborazione con uffici periferici del Ministero della Salute, con autorità locali e con enti come la Croce Rossa. Ciò che manca, però, come viene svelato dalla relazione sono il coordinamento e il raccordo informativo fra le diverse strutture sanitarie intervenute, a cui si aggiungono i rischi derivanti dalle “doppie diagnosi”, insieme al problema del reperimento di farmaci non iscritti nel prontuario nazionale. Sul rilevante tema delle vaccinazioni si nota come, peraltro, intervengano spesso fattori culturali e linguistici nei confronti dei quali la relazione invita a intervenire con strategie ampie ed efficaci. Così come già avvenuto in altri ambiti la relazione dichiara esplicitamente che, anche e soprattutto, nel settore sanitario l’inserimento della figura professionale del mediatore linguistico culturale è indispensabile, della stessa si auspica una sistematizzazione e regolarizzazione in termini normativi a livello nazionale.
Obiettivi di politica sanitaria. Tra le proposte operative, nell’ottica di avviare una politica organica in questo settore, oggetto di particolare attenzione è la tutela della salute mentale della popolazione migrante nell’ottica non più della cura, bensì della prevenzione. Altri obiettivi sono: la digitalizzazione dell’informazione sanitaria, istituendo sorveglianze epidemiologiche e “archivi della fragilità”; l’accelerazione di pratiche burocratiche per l’ottenimento dell’iscrizione al servizio sanitario dei richiedenti asilo; l’elaborazione di linee guida nazionale per la tutela della salute psico-fisica dei migranti; la predisposizione di corsi di studio e, più in generale, di formazione interculturale e l’istituzione di una piattaforma centrale che riunisca le migliori prassi, in atto o da attuare, nel campo dell’inclusione, integrazione e accoglienza. È bene, infine, precisare che la tipologia e l’intensità dei controlli sanitari varia a seconda dello status del migrante se in fase di arrivo, di transito e/o durante la permanenza nelle strutture di accoglienza, in una strategia che sia sempre più di medio-lungo periodo.
Conclusioni. Scopo della relazione è approfondire il tema delle conseguenze a livello sanitario dell’arrivo di rifugiati e migranti col precipuo scopo di evitare la diffusione di paure e false convinzioni non supportate da dati scientifici e statistici. Al contrario emerge in definitiva che non solo non è il migrante a importare malattie, ma che è la sua permanenza nel Paese di destinazione – in cui è sottoposto alle insidie della marginalità – a renderlo sensibile al peggioramento della sua salute (con l’aggiunta dell’interessante dato che dimostra un flusso di ritorno nei Paesi di origine per una parte di migranti, nel frattempo ammalatisi con il conseguente alleggerimento di costi per il servizio sanitario nazionale). Per un’adeguata campagna di informazione che intervenga in tal senso sarebbe opportuna una razionalizzazione dei dati, al momento di difficile realizzazione. A ricoprire un ruolo significativo è, inoltre, la necessità di “accompagnare” il migrante nell’accesso alle cure e nell’aiutarlo a comprendere il proprio malessere, così da passare dal paradigma della cura del paziente alla cura della persona, tutelando la salute “non solo e non soltanto nella fase emergenziale, quanto in quella di normalità”. Per evitare, per esempio, che il disagio e la solitudine si trasformino in malattie fisiche e psichiche si deve intervenire sui “fattori determinanti della salute” come accesso a casa, reddito, istruzione e lavoro.
Da qui la più volte ribadita necessità dell’incontro tra linguaggi e culture, da estrinsecarsi a livello di nuove professionalità – improntate alla multidisciplinarietà – e da inserire e codificare nel sistema a livello sia nazionale sia locale. Interventi, quindi, a tutti i livelli e a rete per un fenomeno di portata storica non provvisorio e che miri a un investimento sanitario, e non solo, sul futuro del Paese, a fianco di una maggiore consapevolezza della società, a cui la presente relazione – tra le altre – mira esplicitamente.
(a cura di Antonia Albanese – studentessa del Master in Parlamento e politiche pubbliche della Luiss Guido Carli)