Gioco d’azzardo: i provvedimenti di limitazione degli orari. Analisi delle recenti sentenze del TAR di Venezia

Negli ultimi anni moltissimi comuni, per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica e di circolazione stradale, hanno adottato misure di limitazione del periodo di accensione delle slot machine e degli orari di apertura delle sale gioco.

Contro tali provvedimenti sono stati presentati numerosi ricorsi, in gran parte respinti dai giudici amministrativi: ad esempio, il Tar Venezia ha emesso nei giorni scorsi tre sentenze, con le quali ha affermato la piena legittimità delle ordinanze dei sindaci di Rovigo, Oderzo e S. Fior (sentenze n. 128, 129 e 130 del 2017, vedi anche allegato). Può essere utile analizzare le motivazioni di tali decisioni.

Il Tar Venezia, sulla base degli indirizzi più volte espressi dalla Corte costituzionale e dal Consiglio di Stato, ha ritenuto tali ordinanze conformi alla Costituzione e alla normativa comunitaria sulla libertà di impresa, che giustificano limiti all’iniziativa economica in nome di principi superiori, come quello della tutela della salute: si tratta di una delle molteplici misure che le autorità pubbliche possono mettere in campo per contrastare la diffusione di fenomeni di dipendenza attraverso una limitazione delle possibilità di accesso al gioco.

Osserva il giudice amministrativo che l’obiettivo perseguito non è quello di eliminare ogni forma di dipendenza patologica dal gioco “che ha radici complesse e rispetto al quale non esistono soluzioni di sicuro effetto […] ma solo quello di prevenire, contrastare, ridurre il rischio di dipendenza patologica derivante dalla frequentazione di sale da gioco o scommessa e dall’utilizzo di apparecchiature per il gioco”.

Da questo punto di vista, la mancata adozione nei comuni limitrofi di analoghi provvedimenti non costituisce motivo di illegittimità delle ordinanze del sindaco, in quanto esse hanno efficacia solo nel rispettivo territorio: “pur essendo auspicabile una regolamentazioni uniforme della disciplina degli orari di apertura delle strutture in cui si esercita l’attività di gioco o scommessa da parte dei Comuni limitrofi, allo stato, non sussiste alcun obbligo in tal senso, potendo ogni Comune provvedere autonomamente”.

La riduzione, anche drastica, degli orari di apertura (nel caso del comune di S. Fior viene stabilito un orario massimo di 8 ore, mentre in precedenza l’esercizio operava H24) è considerata “proporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti (prevenzione, contrasto e riduzione del gioco d’azzardo patologico), realizzando un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare fenomeni di patologia sociale” (si tratta di un passaggio importante, tenuto conto che in passato lo stesso Tar Venezia aveva accolto il ricorso nei confronti dell’ordinanza del sindaco di S. Donà di Piave, che aveva stabilito un tetto massimo di sei ore giornaliere: cfr. sentenza n. 1346 del 2016).

Si ricorda che analogo orientamento è stato più volte ribadito da altri giudici amministrativi: ad esempio, il Tar Torino ha respinto diversi ricorsi nei confronti dei provvedimenti adottati dai comuni piemontesi in attuazione della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2016 (vedi ad esempio l’ordinanza n. 72 del 2017, relativa al Comune di Rivoli; ovvero l’ordinanza n. 18 del 2017, riguardante il comune di Borgaro Torinese).

Anche nel caso del ricorso nei confronti dell’ordinanza del Sindaco di Torino, il Tar aveva negato la sospensiva (ordinanza n. 434 del 2016, confermata dalla successiva ordinanza n. 14 del 2017); il Consiglio di Stato ha scelto invece la via di invitare il Tar a fissare in tempi brevi l’udienza nel merito, riformando sul punto la decisione del Tar (ordinanza n. 138 del 2017). Ed il Comune di Torino ha preferito sospendere la propria ordinanza in attesa della decisione nel merito da parte del giudice amministrativo, impegnandosi a sollecitare il Tar per una tempestiva trattazione del ricorso medesimo.

Per ulteriori approfondimenti è disponibile sul sito di Avviso pubblico un’ampia documentazione sia sul tema della limitazione degli orari di apertura sia degli altri interventi adottati dalle Amministrazioni regionali e locali, con particolare riguardo alle misure di ricollocazione delle sale da gioco, dei requisiti delle sale da gioco, della pubblicità, fino agli incentivi per gli “esercizi no slot” e alle campagne di sensibilizzazione e prevenzione.

Avviso Pubblico continuerà a seguire con attenzione l’evoluzione della giurisprudenza in materia, anche alla luce delle decisioni che saranno assunte dalla Conferenza Unificata, Stato autonomie locali, tenuto conto che nelle proposte avanzate dal Governo risultano anche indicazioni sull’orario minimo di apertura degli esercizi commerciali interessati e sul mancato assoggettamento alle regole adottate da Regioni e Comuni per gli esercizi dotati di particolari requisiti (che potrebbero arrivare fino a 15.000) che verranno classificati all’interno della classe “A”.

Allegato: sentenza n. 130 del 2017 del Tar Venezia

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 17 del 2017, proposto da:

Adria Gaming Vicenza S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Lanaro, Franco Lovato, con domicilio eletto presso l’avv. Elena Giantin in Venezia, San Marco 5134;

contro

Comune di San Fior, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Mattia Matarazzo, con domicilio eletto presso l’avv. Matarazzo in Cordenons, via Sclavons n.181;

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63 (Palazzo ex Rea);

per l’annullamento

previa sospensione della sua efficacia ex art. 55 c.p.a.,

dell’ordinanza n. 9 del 21.10.2016 recante la nuova disciplina comunale degli orari di esercizio delle sale giochi e degli orari di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro installati negli esercizi anche commerciali ove ne è consentita l’installazione;

di tutti gli atti prodromici, endoprocedimentali, presupposti o conseguenti

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Fior e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017 il dott. Marco Rinaldi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società ricorrente è titolare di autorizzazione ex art. 88 del R.D. 773/1931 (TULPS) e dal 2013 gestisce una sala VTL nel Comune di San Fior.

Con il ricorso all’esame ha impugnato l’ordinanza n. 9 del 21 ottobre 2016 con cui il Sindaco del Comune di San Fior ha:

  1. a) ribadito la disciplina dettata dalla precedente ordinanza n. 7 del 6 giugno 2016 in tema di orari di apertura delle sale da gioco o scommessa e degli orari di funzionamento (accensione e spegnimento) degli apparecchi con vincita in denaro installati nei pubblici esercizi autorizzati ex art. 86 e 88 del TULPS e negli esercizi commerciali in cui è consentita la loro installazione;
  2. b) rafforzato l’impianto sanzionatorio previsto a garanzia dei precetti contenuti nell’ordinanza n. 7 del 2016 al fine di aumentarne l’efficacia deterrente.

A sostegno del gravame la ricorrente, che prima, in assenza di una specifica regolamentazione comunale della materia, fruiva di un orario di apertura illimitato (h 24), ha dedotto plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, lamentando in particolare l’incompetenza, il difetto di istruttoria e di motivazione, la violazione delle norme di liberalizzazione delle attività economiche, dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, affidamento e parità di trattamento.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di San Fior e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, contrastando le avverse pretese.

Secondo l’ordine logico delle questioni di cui agli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c. occorre previamente esaminare l’eccezione con cui il Comune di San Fior ha dedotto l’inammissibilità dei motivi di ricorso articolati sub 1), 2) e 4) con i quali la società ricorrente ha contestato la disciplina limitativa degli orari in cui è possibile espletare l’attività di gioco, evidenziando altresì come la stessa comporti un’inaccettabile diminuzione del gettito erariale

L’eccezione è fondata e merita accoglimento.

La disciplina limitativa degli orari di esercizio delle sale giochi e di funzionamento degli apparecchi per il gioco contenuta nell’impugnata ordinanza n. 9 del 21 ottobre 2016 è meramente riproduttiva della identica disciplina dettata sul punto dalla precedente ordinanza n. 7 del 6 giugno 2016, non impugnata dall’istante entro il prescritto termine di decadenza. Dal raffronto cartolare tra le due ordinanze si evince che quella oggi impugnata è, relativamente alla disciplina degli orari, identica alla precedente (parola per parola), sia nelle premesse istruttorie che nella motivazione: ciò che cambia è solo la disciplina delle sanzioni, che viene implementata e integrata.

Com’è noto, l’art. 29, comma 1, c.p.a. stabilisce che “l’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di sessanta giorni”.

Il successivo art. 41, comma 2°, del c.p.a. precisa che il termine di decadenza decorre “dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza (ndr. del provvedimento impugnato), ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge”.

Le surriferite disposizioni normative sono inderogabili, poiché dirette ad assicurare la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico.

E, altresì, noto che la mancata impugnazione di un atto presupposto, immediatamente lesivo, rende inammissibile per originaria carenza d’interesse il ricorso proposto avverso gli atti meramente confermativi, consequenziali, esecutivi o ricognitivi.

Nel caso di specie, la ricorrente non ha tempestivamente impugnato l’ordinanza n. 7 del 6 giugno 2016 con cui l’Ente Civico ha disposto, per la prima volta, la limitazione degli orari di apertura dei pubblici esercizi per cui è causa: tale omissione determina l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse.

La portata lesiva della limitazione degli orari di apertura delle sale VLT era, infatti, percepibile dalla ricorrente già con la pubblicazione nell’Albo Pretorio on line dell’ordinanza n. 7 del 2016 e gli atti conseguenti si limitano a rinnovare e ad approfondire la lesione inferta dalla originaria ordinanza che aveva già limitato gli orari di apertura delle sale da gioco e degli altri esercizi in cui sono installate apparecchiature per il gioco con vincite in denaro.

Considerata l’immediata portata lesiva dell’ordinanza n. 7 del 2016 si imponeva la sua impugnazione, ex art. 41 c.p.a., entro il termine decadenziale di sessanta giorni, decorrente dalla scadenza del periodo di pubblicazione sull’Albo Pretorio on line: trattandosi di atto generale l’ordinanza non andava notificata o comunicata individualmente ai soggetti interessati, ma soltanto pubblicata sull’Albo Pretorio al fine di darne la più ampia conoscenza.

L’intervenuta decadenza non è scongiurata dall’impugnazione della successiva e in parte qua confermativa (riproduttiva) ordinanza n.9 del 2016: il suo eventuale annullamento non sarebbe, infatti, in grado di rimuovere la lesione già prodotta dal precedente atto di limitazione degli orari, di esercizio, ormai divenuto inoppugnabile.

Rimettere in discussione l’assetto di interessi già definito dall’ordinanza n. 7 del 2016 attraverso l’escamotage del ricorso avverso l’ordinanza integrativa n. 9 del 2016 (che si è limitata a modificare e rafforzare l’impianto sanzionatorio, lasciando inalterato il regime degli orari di apertura del pubblico esercizio) significherebbe eludere il termine di decadenza.

Né può dirsi che l’inciso contenuto nell’ordinanza n. 9/2016 secondo cui “il presente provvedimento aggiorna e sostituisce la precedente ordinanza n. 7 del 6.06.2016” abbia riaperto il termine per impugnare la limitazione di orari, dovendo tale inciso essere riferito alla sola disciplina delle sanzioni – l’unica ad essere stata aggiornata, modificata e sostituita – , atteso che la disciplina degli orari è rimasta identica, né vi è stata una nuova istruttoria o una nuova motivazione, e tenuto conto che i termini di decadenza sono inderogabili, poichè diretti ad assicurare la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico.

Alla luce delle suesposte considerazioni i motivi di ricorso proposti sub 1), 2) e 4) vanno dichiarati inammissibili.

Il motivo sub 4) con cui la società ricorrente si duole degli effetti negativi che l’ordinanza produce sulle entrate erariali (diminuzione degli introiti derivanti dal gioco) è inammissibile, oltre che per le ragioni sin qui indicate, anche perché l’istante non ha titolo (legittimazione) né interesse a far valere eventuali ragioni di tutela del gettito erariale: in relazione a tale censura difettano, pertanto, entrambe le condizioni dell’azione.

Ferme le considerazioni che precedono, osserva il Collegio che i motivi sub 1) e 2), anche a volerne in tesi sostenere l’ammissibilità, sono comunque infondati nel merito per le ragioni di seguito indicate.

La limitazione degli orari di apertura delle sale da gioco o scommessa e degli altri esercizi in cui sono installate apparecchiature per il gioco è stata disposta dal Comune per tutelare la salute pubblica e il benessere socio-economico dei cittadini: l’ordinanza impugnata è stata, infatti, adottata dal Sindaco, ex art 50, comma 7, del D.lgs. n. 267/2000, allo scopo di prevenire, contrastare e ridurre il fenomeno del gioco d’azzardo patologico (GAP).

La competenza del Sindaco ad emanare le ordinanze de quibus è pacifica in giurisprudenza (ex multis, Corte costituzionale 18 luglio 2014, n. 220, Consiglio di Stato, Sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4794) e non necessita di particolari glosse.

Prive di pregio è la censura con cui la ricorrente lamenta il difetto d’istruttoria.

Nell’attuale momento storico la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della società civile costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale (per una sintesi dei molteplici interventi di prevenzione e contrasto della ludopatia si veda Cons. St. parere n. 33/2015 che richiama, tra l’altro, i seguenti atti: la Raccomandazione 2014/478/UE del 14 luglio 2014, sui principi per la tutela dei consumatori e degli utenti dei servizi di gioco d’azzardo on line; il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, che ha introdotto numerose misure di contrasto al gioco d’azzardo on line e off line; l’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, recante una delega al Governo per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici volta a prevedere disposizioni per la tutela dei minori e per contrastare il gioco d’azzardo patologico; la legge 3 dicembre 2014, n. 190 che ha trasferito presso il Ministero della Salute l’Osservatorio per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave istituito dal cd. decreto Balduzzi; le numerose leggi regionali, inclusa la L.R.V. n. 6/2015, che demandano agli Enti Locali l’adozione di misure di prevenzione, contrasto e riduzione del rischio della dipendenza da GAP).

Ciò posto, i dati forniti dalla ULSS evidenziano che la crescita del fenomeno della ludopatia ha riguardato anche l’ambito territoriale considerato, risultando dagli atti che presso l’USLL n. 7, nel cui distretto ricade il Comune intimato, un significativo numero di persone (82) sono state prese in carico dall’Ambulatorio a ciò specificamente dedicato in quanto affette da gioco d’azzardo patologico.

E’ verosimile ritenere che il numero reale delle persone affette da GAP sia ancora maggiore, atteso che una parte significativa del fenomeno resta sommerso in quanto molti soggetti ludopatici, poiché provano vergogna o perché sottovalutano la propria patologia o per altre ragioni, non si rivolgono alle strutture sanitarie.

Vanno disattese anche le censure con cui la ricorrente lamenta il difetto di motivazione e la violazione della libertà d’impresa, delle norme di liberalizzazione delle attività economiche e dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, tutela dell’affidamento e disparità di trattamento.

L’ordinanza è adeguatamente motivata con riferimento all’esigenza di tutela della salute pubblica e del benessere individuale e collettivo.

La libertà di iniziativa economica non è assoluta, non potendo svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41 Cost.).

La normativa nazionale in tema di liberalizzazione delle attività economiche e degli orari dei pubblici esercizi consente alle autorità pubbliche di porre limiti e restrizioni all’attività economica per evitare danni alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale (cfr. art. 1, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito nella legge 24 marzo 2012, n. 27; art. 3, comma 1, lett. c, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148; in termini anche Corte Costituzionale, sentenza 200 del 20.7.2012).

La Corte di Giustizia, come rimarcato da Cons. St. parere n. 33/2015 e da TAR Bolzano sentenza n. 31/2017, ha più volte specificato che restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi possono essere giustificate da esigenze imperative connesse all’interesse generale, come ad esempio la tutela dei destinatari del servizio e dell’ordine sociale, la protezione dei consumatori, la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco medesimo (v. in tal senso, sentenza 24 gennaio 2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11, punto 23), con conseguente legittima introduzione, da parte degli Stati membri e delle loro articolazioni ordinamentali, di restrizioni all’apertura di locali adibiti al gioco, a tutela della salute di determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili in funzione della prevenzione della dipendenza dal gioco (interesse fondamentale, salvaguardato dallo stesso Trattato CE).

Secondo la giurisprudenza europea spetta a ciascuno Stato membro decidere, nell’ambito del proprio potere discrezionale, se, nel contesto dei legittimi scopi da esso perseguiti, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività di gioco o scommessa, oppure soltanto limitarle e prevedere, a tal fine, modalità di controllo più o meno rigorose, tenendo presente che la necessità e la proporzionalità delle misure adottate deve essere valutata unicamente alla luce degli obiettivi perseguiti e del livello di tutela, che le autorità nazionali interessate intendono garantire.

Ciò posto, l’impugnata disciplina limitativa degli orari di apertura dei pubblici esercizi in cui si svolgono attività di gioco o scommessa – che consente un’apertura giornaliera pari a otto ore – appare al Collegio proporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti (prevenzione, contrasto e riduzione del gioco d’azzardo patologico), realizzando un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, non essendo revocabile in dubbio che un’illimitata (h 24) o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresce il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia sulla vita personale e familiare dei cittadini, che a carico del servizio sanitario e dei servizi sociali, chiamati a contrastare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie (sulla legittimità di ordinanze o regolamenti comunali che hanno limitato a otto ore giornaliere l’apertura delle sale scommesse o da gioco e la funzionalità degli apparecchi per il gioco installati in altri pubblici esercizi si vedano TAR Veneto, sentenze nn.114/2016, 119/2016, 753/2015 e 811/2015 nonché Cons. St. n. 2519/2016).

L’idoneità dell’atto impugnato a realizzare l’obiettivo perseguito deve essere apprezzata, tenendo presente che scopo dell’ordinanza comunale non è quello di eliminare ogni forma di dipendenza patologica dal gioco (anche quelle generate da gratta e vinci, lotto, superenalotto, giochi on line, ecc.) – obiettivo che travalicherebbe la sfera di attribuzioni del Comune (Tar Veneto, 114/2016) – ma solo quello di prevenire, contrastare, ridurre il rischio di dipendenza patologica derivante dalla frequentazione di sale da gioco o scommessa e dall’utilizzo di apparecchiature per il gioco.

La riduzione degli orari di apertura delle sale pubbliche da gioco è, in altre, parole, solo una delle molteplici misure che le autorità pubbliche possono mettere in campo per combattere il fenomeno della ludopatia, che ha radici complesse e rispetto al quale non esistono soluzioni di sicuro effetto (Cons. St. n. 2519/2016).

Neppure può ritenersi sussistente la lamentata violazione del principio di affidamento, considerato che l’ordinanza impugnata trova giustificazione in fatti e normative sopravvenuti (il forte aumento del numero delle persone affette da disturbi del gioco d’azzardo; l’approvazione della L.R.V. n. 6/2015, il cui art. 20 promuove interventi degli Enti Locali finalizzati alla prevenzione, al contrasto e alla riduzione del rischio di dipendenza dal GAP) e che, in ogni caso, gli imprenditori del settore, in quanto soggetti professionali, erano a conoscenza o avrebbero dovuto conoscere con l’utilizzo della diligenza professionale (1176, comma 2, c.c.), che la normativa europea e nazionale di riferimento consentiva alle autorità pubbliche di porre restrizioni all’esercizio di attività economiche legate all’attività di gioco o scommessa, allo scopo di tutelare la salute pubblica e il benessere socio-economico dei cittadini e in particolare delle fasce più deboli e vulnerabili della popolazione, maggiormente esposte alle lusinghe, suggestioni e illusioni del gioco d’azzardo.

Priva di pregio è anche la doglianza con cui si lamenta la disparità di trattamento rispetto a discipline più favorevoli (per i gestori) adottate da Comuni limitrofi, atteso che i provvedimenti municipali esplicano la loro efficacia solo nei rispettivi territori e che, pur essendo auspicabile una regolamentazioni uniforme della disciplina degli orari di apertura delle strutture in cui si esercita l’attività di gioco o scommessa da parte dei Comuni limitrofi, allo stato, non sussiste alcun obbligo in tal senso, potendo ogni Comune provvedere autonomamente.

Infondate sono, altresì, le censure con cui si lamenta l’assenza dei presupposti di necessità e urgenza, atteso che l’ordinanza impugnata non rientra nel novero delle ordinanze contingibili e urgenti.

Resta da scrutinare il motivo di ricorso articolato sub 3) con cui la società ricorrente contesta il potere del Comune di irrogare la sanzione amministrative accessoria della sospensione dell’attività imprenditoriale per il caso di recidiva. Il motivo è inammissibile per carenza d’interesse, poiché nessuna sanzione di tal fatta risulta essere stata ad oggi comminata alla società ricorrente: manca, pertanto, un interesse attuale e concreto ad impugnare la relativa disposizione comunale.

Per tutte le ragioni sin qui indicate, il ricorso deve essere disatteso.

Le spese di lite sono poste a carico della ricorrente nei rapporti con il Comune in base alla regola della soccombenza e compensate nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, mero convitato di pietra.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile e comunque infondato.

Condanna la società ricorrente a rifondere al Comune le spese di lite, liquidate in € 3000,00, oltre accessori di legge, se dovuti. Spese compensate nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017

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