Sintesi della Relazione sulle missioni svolte a Catanzaro e Vibo Valentia

 

Premessa. Il 9 febbraio 2022 la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali ha approvato la Relazione sulle risultanze di due missioni svolte tra il settembre e l’ottobre del 2020 a Catanzaro e Vibo Valentia. Sono stati auditi prefetti, esponenti delle forze dell’ordine e di uffici giudiziari, rappresentanti degli imprenditori, sindacati, esponenti della società civile.

La premessa da cui parte il lavoro relazionato è che la ‘ndrangheta è un fenomeno criminale che ha ormai assunto una portata mondiale e si riteneva dunque opportuno inviare una delegazione dove l’organizzazione criminale è nata, al fine di delineare il quadro della situazione economica, sociale e criminale della Calabria. L’intento non è tuttavia solo descrittivo: la Commissione vuole infatti «indagare sulle strategie dell’organizzazione in questione, comprendere l’effettivo tasso di condizionamento del tessuto politico, amministrativo e imprenditoriale così da acquisire elementi di valutazione e proposta per garantire una adeguata risposta istituzionale al diffondersi di tale pericolosa forma di criminalità mafiosa» (pp. 177-8).

Le recenti connotazioni della ‘ndrangheta. La Commissione ritiene necessario – prima di addentrarsi nell’analisi delle specifiche realtà territoriali oggetto della Relazione – delineare le attuali caratteristiche dell’associazione criminale calabrese, alla luce dei risultati di recenti indagini.

La ‘ndrangheta è un’organizzazione criminale basata sui legami parentali: questo connotato ne ha costituito il punto di forza più importante, in quanto le dissociazioni e il pentimento risultano ancora più complessi rispetto ad altre realtà criminali. La dimensione familiare ha inoltre portato a una generale sottovalutazione del fenomeno, portando gli investigatori a ritenerla una mafia primitiva, rurale, circoscritta. Grazie a tali elementi, l’organizzazione è riuscita a realizzare una silente espansione al di fuori dei confini regionali (e nazionali) e a costruire addentellati con il mondo della politica e dell’imprenditoria.

La Relazione si concentra poi sulla dimensione transnazionale della ‘ndrangheta, sottolineando «come essa sia presente in tutti e cinque i continenti e in tutti i settori economici tanto che, senza confini e con un fatturato da fare invidia ad una multinazionale, può essere oggi, senza alcun dubbio, ritenuta la più pericolosa tra le mafie italiane» (pag. 179). L’attività dell’organizzazione è infatti riscontrabile non solo in molte Regioni italiane (Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Liguria, Lazio e Valle d’Aosta), ma anche in diversi Stati europei (Francia, Svizzera, Austria, Romania, Regno Unito ma soprattutto Germania, Spagna e Paesi Bassi) e nel mondo (Australia, Stati Uniti, Brasile, Canada).

In questo contesto, assume rilevanza un ulteriore connotato della ‘ndrangheta: le indagini hanno di recente consentito di superare la «tradizionale concezione che riteneva che le varie ‘ndrine operassero in piena autonomia […] e che le stesse fossero accomunate solo dalla medesima origine calabrese e dall’identico modus operandi. È oggi chiaro come la ‘ndrangheta sia una struttura sostanzialmente unitaria», anche se le sue articolazioni sono dislocate in tutto il mondo; ogni ‘ndrina «mantiene una limitata autonomia operativa e riconosce quale proprio vertice un organo decisionale della provincia di Reggio Calabria, denominato “Crimine di Polsi” o più semplicemente Crimine» (pag. 184).

Il carattere di unitarietà della ‘ndrangheta è stato confermato da recenti indagini (cfr. infra), che hanno rivelato inoltre una progressiva riduzione della componente militare. Afferma infatti la Relazione che «la riconducibilità di ciascuna ‘locale’ all’associazione madre e la condivisione con essa della struttura, del modus operandi e delle finalità perseguite, rende l’intimidazione non necessaria» (pag. 188). Altro elemento da mettere in rilievo è una fortissima e pervasiva capacità di penetrare nei vari settori dell’economia e di deviare l’azione delle amministrazioni pubbliche locali dai canoni di efficienza, trasparenza e terzietà che le dovrebbero caratterizzare, soprattutto in tema di appalti pubblici. A essere più permeabili sono i lucrosi settori della gestione del ciclo dei rifiuti e dei servizi sanitari, che permettono il reimpiego di proventi illeciti attraverso canali legali.

 

CATANZARO

La situazione socio-economica. La Commissione si concentra a questo punto sul territorio di Catanzaro: si tratta di un contesto di piccoli Comuni con un elevato indice di vecchiaia e un basso tasso di popolazione giovanile; la percentuale di persone a rischio povertà è tra le più alte in Italia e «non si intravedono significative prospettive di miglioramento» (pag. 195) in termini economici e imprenditoriali. Anche sul fronte dei servizi (sanità, asili, assistenza agli anziani, rifiuti, trasporti) il divario con il resto del Paese è evidente. Il contesto è caratterizzato da un tessuto produttivo poco dinamico e chiuso all’innovazione e la situazione è ulteriormente peggiorata dall’inefficienza di buona parte della pubblica amministrazione. L’insieme dei fattori appena delineati, insieme al dilagante assistenzialismo, «finisce con il soffocare occasioni di sviluppo economico e civile e rende la Calabria terreno fertile per le organizzazioni criminali, disponibili e pronte ad offrirsi per soddisfare le esigenze delle classi meno abbienti, sostituendosi alle istituzioni» (pag. 196), in un contesto che risente pesantemente anche delle conseguenze dell’emergenza sanitaria. Si offre così l’occasione per le consorterie criminali di porsi come welfare alternativo, accrescendo così anche il consenso sociale. Tali dinamiche si riscontrano in termini più accentuati nei territori come quello in esame, dove è in crescita la fascia di popolazione che si muove verso una condizione di povertà e dove sono amplissime le sacche di lavoro nero.

L’ordine pubblico e la criminalità organizzata. Il Prefetto, audito dalla Commissione, si è concentrato su diversi aspetti, tra cui i problemi di integrazione sociale e lo sviluppo di fenomeni di devianza della popolazione rom storicamente presente nel comune di Catanzaro. I settori di principale interesse sono il traffico di stupefacenti, i furti di rame e i furti di automezzi finalizzati alla successiva attuazione di condotte estorsive. La condizione di pressoché totale illegalità in cui vivono gran parte degli appartenenti a tale comunità ha agevolato i rapporti con la criminalità organizzata che li ha dapprima collocati «quale ottima ed utile manovalanza per l’esecuzione di attività illecite» e ne ha poi favorito l’avvicinamento alle “famiglie”, «con la costituzione di alleanze o con forme di ‘apparentamento’ che hanno fatto nascere importanti legami» (pag. 199).

Il Prefetto ha inoltre fornito una specifica mappatura della presenza della criminalità organizzata nel territorio, esplicativa della forte incidenza dei gruppi nella zona. Tale imponente pervasività è emersa anche dalle audizioni delle forze dell’ordine.

Le infiltrazioni nella pubblica amministrazione. Il lavoro della Commissione ha permesso di individuare le pericolose ramificazioni della ‘ndrangheta anche nel campo della pubblica amministrazione. L’audizione con il Prefetto di Catanzaro si è concentrata innanzitutto sullo scioglimento delle amministrazioni locali ex art. 143 TUEL: sono stati esaminati i casi del Comune di Guardavalle, Lamezia Terme e Petronà.

La gravità delle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella pubblica amministrazione è emersa anche dalle indagini condotte sulla proliferazione di assunzioni presso la Fondazione Calabria Etica (ente in house della Regione Calabria), ma è soprattutto il settore della sanità pubblica a meritare attenzione, anche alla luce dell’emergenza pandemica. Il Prefetto ha sottolineato come sia stata proprio la straordinarietà dell’esposizione deficitaria in materia sanitaria a dare origine a molteplici provvedimenti eccezionali del Governo. Sono emerse infatti gravi inadempienze della Regione in materia di risanamento, riequilibrio economico-finanziario e riorganizzazione del Servizio sanitario regionale. La sanità calabrese è tutt’ora afflitta da un rilevante deficit e risente certamente della presenza della criminalità organizzata nel settore, interessata all’assegnazione degli appalti pubblici.

Nel 2019 si è assistito, a Catanzaro, allo scioglimento dell’organo di direzione generale dell’Azienda sanitaria provinciale. Le indagini hanno permesso di individuare dei gruppi di imprenditori riconducibili a una famiglia di ‘ndrangheta radicata sul territorio che aveva imposto da tempo «un vero e proprio regime di monopolio nella gestione del servizio delle autoambulanze a totale discapito di quello pubblico e più in generale delle attività sanitarie» (pag. 211). Le attività della DDA hanno inoltre rivelato una grave situazione creatasi nel reparto pronto soccorso dell’ospedale di Lametia Terme, in cui il personale medico e paramedico versava in uno stato di forte soggezione rispetto ai medesimi gruppi imprenditoriali, che mantenevano così il totale controllo della struttura.

A tutto questo si aggiunge anche il ricorso generalizzato agli affidamenti diretti dei lavori e dei servizi pubblici in totale assenza di procedure di gara a un ristretto numero di ditte. Mancava, inoltre, il controllo sulle informazioni antimafia e sui precedenti e le pendenze giudiziarie a carico dei dipendenti.

Le audizioni della Commissione hanno evidenziato il recente sforzo a sopperire alle gravi carenze organizzative e di legalità dell’ente, con la creazione di uffici deputati specificamente ai controlli. L’azienda sanitaria risulta comunque ancora gravata da moltissimi problemi pratici e logistici che ne ostacolano la piena efficienza e si può senza dubbio affermare che l’ente abbia sofferto di una penetrante infiltrazione mafiosa favorita nel corso degli anni. In questo contesto «l’aspetto più allarmante è senza dubbio l’evidente incapacità ed inefficienza dell’Azienda Sanitaria di Catanzaro nel provvedere autonomamente al ristabilimento della legalità seppur in presenza di situazioni critiche ben note, il tutto a dimostrazione di una totale, grave ed ingiustificabile assenza di strumento di autodifesa» (pag. 217).

Le infiltrazioni nell’economia. Al contesto appena delineato si aggiunge l’imponente capacità della ‘ndrangheta di muoversi nella cosiddetta “area grigia”. Le indagini hanno rivelato l’esistenza di società, anche apparentemente regolari, che instaurano rapporti a prima vista “sani” con la criminalità organizzata. Insieme al fenomeno della “contiguità compiacente”, tale eventualità rende ancora più difficile individuare le relazioni e contrastarle. Gli ambiti coinvolti sono molteplici, anche diversi dai tradizionali settori dell’edilizia e del movimento terra: la ristorazione, i trasporti, il settore alberghiero, oltre al già trattato settore della sanità.

Tale situazione ha dunque indotto l’Ufficio territoriale del Governo di Catanzaro a modificare e aggiornare le strategie operative tradizionalmente usate: si è cercato un approccio nuovo e più dinamico nella fase prodromica al rilascio della documentazione antimafia, partendo dalla consapevolezza che la criminalità organizzata ricorre a strumenti sempre più evoluti per penetrare nell’economia legale.

Particolarmente emblematico è il numero delle interdittive antimafia emesse in Calabria – e nella zona di Catanzaro – negli ultimi anni: nel 2019 sono stati emessi 154 provvedimenti in tutta la Regione e 25 nella provincia di Catanzaro; nei primi nove mesi del 2020 la Prefettura di Catanzaro ne aveva emesse 23. La presenza di un così elevato numero di provvedimenti interdittivi dimostra la significativa risposta delle istituzioni al fenomeno, ma è anche «l’indice chiaro e preoccupante di una pervasività ed infiltrazione della criminalità organizzata, da ritenersi certamente senza paragoni» (pag. 221).

Le audizioni hanno riferito anche della confisca di beni e attività economiche per svariati milioni di euro: i beni erano gestiti dai componenti delle cosche, quasi sempre tramite intestatari fittizi, e impiegati come mezzo per ottenere ulteriori profitti di natura illecita con il reinvestimento o più semplicemente per ripulire i proventi.

Tutti questi dati, conclude la Commissione, «devono valere da monito circa la necessità di tenere sempre molto alto il livello di attenzione e di affinare e aggiornare costantemente quegli strumenti, investendovi risorse sempre maggiori e più qualificate, al fine di garantire una costante e qualificata presenza ed efficiente operatività delle Istituzioni in quei territori» (pag. 223).

Le proposte delle associazioni di categoria e dei sindacati. La missione è stata occasione anche per audire i rappresentanti provinciali delle associazioni di categoria e i rappresentanti regionali dei sindacati confederati. Si elencano brevemente gli argomenti trattati:

  • Confindustria: importanza delle informazioni antimafia per la grande impresa per intercettare le immissioni di flussi illeciti di denaro nell’economia ed eliminare dal circuito legale le imprese contaminate; lavoro nero e subappalti; sollecitazione per controlli più serrati nei confronti delle imprese che si pongono per la prima volta sul mercato; invito all’estensione delle white list al settore privato.
  • Confcommercio: sensibilizzazione fra gli associati per sollecitare la denuncia; pericolo di assorbimento di aziende sane da parte della criminalità organizzata dopo la crisi dovuta all’emergenza pandemica; problema dell’accesso al credito e rischio costituito dalla liquidità che può offrire la criminalità organizzata a imprese in difficoltà.
  • Confagricoltura: difficoltà di accesso al credito nel settore agricolo; preoccupazione che la crisi determinata dalla pandemia possa facilitare fenomeni di infiltrazione.
  • Confapi: preoccupazione per i flussi di denaro provenienti dal Recovery Fund; sollecitazione per più controlli e coinvolgimento delle imprese nelle decisioni.
  • rappresentanti regionali di CGIL, CISL e UIL: tema della sanità e dell’accreditamento delle aziende private; mancanza di garanzie retributive e contributive; inadeguatezza della gestione pandemica da parte della Regione; proposta di un sistema di tracciamento dei flussi di denaro provenienti dal Recovery Fund; tema del caporalato, del mancato rispetto dei contratti collettivi e delle norme in materia di sicurezza in moltissimi settori; invito all’aumento di trasparenza e controllo sociale per contrastare l’infiltrazione della criminalità organizzata.

 

VIBO VALENTIA

La situazione socio-economica. La Commissione passa poi alla disamina delle dinamiche relative a Vibo Valentia. Anche in questo caso, la provincia si presenta costellata di piccoli Comuni con pochi abitanti: solo il capoluogo supera i 10.000. Elevato è il tasso di emigrazione, soprattutto dei più giovani, e il fenomeno della dispersione scolastica.

Gli Enti locali della provincia sono afflitti da endemica carenza di personale e l’età media dei dipendenti è molto elevata, mancando ogni forma di turn over. Molti enti versano in condizioni di “dissesto” o comunque di “predissesto”. Ne consegue una carenza di infrastrutture e servizi.

Il tessuto imprenditoriale è costituito prevalentemente da microimprese operanti nel settore dell’agricoltura, dell’allevamento, del turismo e della trasformazione alimentare.

Vibo Valentia risulta tra le province più povere d’Italia, essendo caratterizzata da un reddito pro capite estremamente basso. L’elevato tasso di disoccupazione e il preoccupante numero di giovani che non studiano e non lavorano (circa il 35%) «rendono estremamente ampio il bacino cui la criminalità organizzata può attingere per reperire manovalanza e, più in genere, un sistema economico così povero e frammentato, costituisce terreno fertile per il suo espandersi e operare» (pag. 235).

L’ordine pubblico e la presenza della criminalità organizzata. Il Prefetto ha segnalato le molteplici criticità del territorio, preoccupanti per la loro capacità di generare tensioni sociali. Viene anche segnalato il dissesto finanziario di buona parte dei Comuni della provincia e della stessa Amministrazione provinciale, foriero di ripercussioni negative sia sulla già grave situazione occupazionale sia sulla qualità dei servizi pubblici offerti alla cittadinanza.

Le audizioni hanno tuttavia chiarito che la principale criticità è rappresentata, nella provincia di Vibo Valentia e nel resto della Regione, dalla radicata e capillare presenza della criminalità organizzata in tutti gli aspetti della vita sociale, economica ed amministrativa del territorio.

I sodalizi criminali storicamente presenti nell’area «si contraddistinguono, infatti, sia per l’impiego di strumenti di pressione di tipo collusivo e corruttivo miranti a condizionare le strutture amministrative, sia per la loro spiccata impostazione imprenditoriale» (pag. 236) che si manifesta nella sempre più pervasiva presenza nelle varie attività economiche.

Particolare rilevanza assume il clan dei Mancuso, che ha stipulato un patto di tipo federativo con le potenti cosche dei Piromalli di Gioia Tauro e dei Pesce di Rosarno, dando vita al cosiddetto “mandamento tirrenico”. Le attività più comuni sono l’usura e l’estorsione, soprattutto nel settore turistico-alberghiero. Il gruppo è poi sempre più presente nel settore degli appalti pubblici, in particolare nel redditizio settore dell’energia pulita.

Anche in questo caso viene fornita una mappatura della presenza criminale nella zona: un lungo elenco che fa comprendere l’enorme sforzo investigativo e giudiziario ma allo stesso tempo «dà contezza dell’estrema e singolare complessità del mondo criminale che si agita nel territorio in questione, sede di una popolazione di soli 160.000 abitanti e, tuttavia, centro d’azione di numerose famiglie di ‘ndrangheta aventi propaggini operative in diverse regioni italiane ed anche all’estero» (pag. 241).

Le infiltrazioni nella pubblica amministrazione. Anche in questa zona le cosche si contraddistinguono per la capacità di infiltrarsi nella pubblica amministrazione, deviandone l’azione ai propri fini. Vengono citati i più recenti casi di scioglimento dei Comuni ex art. 143 TUEL della provincia: Tropea, Nicotera, Limbadi, San Gregorio di Ippona, Briatico e Pizzo Calabro.

Le infiltrazioni nell’economia. L’Autorità Nazionale Anticorruzione parla, nel periodo compreso tra il 2014 e il 2018, di 139 imprese destinatarie di interdittive antimafia nella provincia in esame. Il numero conduce Vibo Valentia ai vertici della classifica nazionale in termini percentuali. Il “tasso di mafiosità”, che nella media nazionale è di 3,3 imprese interdette ogni 100.000 abitanti, si decuplica in questa zona: 86,4 imprese ogni 100.000 abitanti.

La situazione non sembra migliorata negli ultimi anni. I dati mostrano, come già ribadito, l’importante risposta dello Stato, ma allo stesso tempo «rende evidente la imponente pervasività della ‘ndrangheta e la sua preoccupante capacità di resistere e ‘rigenerarsi’, avvicinando ed ingerendosi in sempre nuove attività» (pag. 247). Particolarmente significativi sono i numerosi provvedimenti di confisca di beni e patrimoni illeciti, che vedono spesso il coinvolgimento anche di professionisti collusi.

Il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza ha fornito poi un altro dato degno di attenzione: il numero di segnalazioni di operazioni sospette è particolarmente esiguo, a fronte dei rilevanti flussi di denaro accertati. La Commissione sottolinea che «oltre alla scarsa ‘propensione’ degli intermediari finanziari è stata sottolineata la totale inesistenza di segnalazioni da parte di liberi professionisti (notai, commercialisti, consulenti del lavoro)» e che tale dato rivela «l’ormai compiuta penetrazione della ‘ndrangheta in tutti i gangli della società, tale da consentirle di contare su una vasta rete di coperture» (pag. 250).

Il procedimento Rinascita Scott. La Commissione dedica poi un paragrafo di approfondimento al procedimento Rinascita Scott (2019), che «ha fornito la più recente e completa fotografia della ‘ndrangheta, rivelandone la struttura ed il modo di operare» e ha inoltre permesso di accertare come la locale dei Mancuso di Limbadi «avesse acquisito un ruolo primario sull’intero territorio vibonese» (pag. 251).

Le importanti acquisizioni raccolte nel corso delle indagini hanno rivelato un dato fondamentale, già rilevato precedentemente: pur vantando una sostanziale indipendenza operativa, la locale di Limbadi (come tutte le altre locali di ‘ndrangheta) «manteneva una dipendenza formale dal Crimine di Polsi, organo di raccordo ultraprovinciale tenuto da un lato a garantire il perseguimento degli interessi degli associati e dall’altro ad impedire la proliferazione indiscriminata e non ortodossa di cellule, di cariche (le c.d. ‘doti’) o di riti alternativi, che poteva recare un grave nocumento alla sicurezza delle informazioni» (pag. 252).

Numerosi, oltre ai reati associativi, i reati-fine contestati nel procedimento: estorsione, usura, abusiva attività finanziaria, truffe aggravate, turbativa d’asta, reati in materia di armi e stupefacenti, riciclaggio, ricettazione, corruzione elettorale, omicidi.

Particolarmente rilevanti sono i rapporti dell’organizzazione criminale con il mondo imprenditoriale e l’ormai compiuta penetrazione nel settore della pubblica amministrazione: secondo l’accusa vi erano vere e proprie imprese mafiose, ma anche imprese colluse con cui i vantaggi erano di reciproca convenienza e rapporti personali con svariati professionisti e pubblici dipendenti, grazie ai quali il clan è riuscito a riciclare ingenti quantità di denaro e che «hanno assicurato o comunque agevolato la distorsione delle pubbliche funzioni in favore degli interessi dell’associazione che, per parte sua, ha offerto loro il suo sostegno elettorale» (pag. 254). I rapporti si estendevano anche alle banche, alle università, alle forze dell’ordine e finanche con una parte della massoneria (influente sia a Vibo Valentia sia a Catanzaro, come emerge dalle audizioni).

L’impegno della società civile. La Commissione tiene poi sottolineare l’impegno della società civile, fermo restando che non è sufficiente il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, considerato che «la ‘ndrangheta è ormai profondamente radicata in tutti i settori della vita sociale e si alimenta e tra la sua forza […] anche e soprattutto dal prestigio sociale ed economico che ha ormai acquisito, dal consenso diffuso nella popolazione più povera […] dal timore che ormai incute pur senza compiere atti di violenza che conduce all’omertà» (pag. 256). Combattere la ‘ndrangheta significa privarla del suo prestigio, della sua forza di intimidazione e soprattutto del consenso, costruendo una adeguata base sociale attraverso un processo di formazione ed educazione, soprattutto nei confronti dei giovani.  È quanto sottolineato dal referente regionale dell’associazione Libera e dal referente provinciale di Vibo Valentia, che evidenziano la necessità di costituire un fronte compatto, determinato e comune.

La situazione degli uffici giudiziari al momento delle missioni. Le audizioni dei rappresentanti degli uffici giudiziari hanno permesso di comprendere la difficile situazione che si delinea nel distretto di Catanzaro. Il quadro che emerge è preoccupante, soprattutto in relazione allo scarsità di risorse umane a disposizione e all’insostenibile ritmo con cui si avvicendano i gruppi di magistrati in trasferimento a fronte di numerosissimi procedimenti penali per associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti. La conseguenza è dunque il l’incessante cambiamento dei magistrati, che «impone continui interventi di tipo organizzativo e rende di difficile attuazione ogni progetto tabellare o piano di gestione» (pag. 262). La situazione è particolarmente grave nella provincia di Vibo Valentia, che ha da anni un triste primato nazionale: ha il più alto tasso di crimini violenti, pari a 2 o 3 volte quello delle altre province calabresi e non paragonabile a quello delle altre Regioni.

 

Conclusioni. Le missioni svolte dalla Commissione nelle province di Catanzaro e Vibo Valentia restituiscono l’immagine di una terra in cui la presenza della criminalità organizzata è fortemente radicata e diffusa: una ‘ndrangheta con forte vocazione affaristica e imprenditoriale, imponente abilità espansiva anche su scala internazionale, enorme capacità di infiltrazione nel settore legale e una forza corruttiva tale da poter essere considerata una holding economico-finanziaria. L’organizzazione criminale «dimostra grande capacità di individuare strategie operative sempre nuove, eterogenee e sofisticate al fine di sottrarsi al contrasto posto in essere dalle istituzioni» (pag. 278). La ‘ndrangheta si mostra sempre meno connotata da manifestazioni eclatanti di forza e potenza, preferendo strumenti quali la corruzione, la persuasione degli uomini delle istituzioni e la collusione. Come precedentemente esposto, è il settore della sanità pubblica a destare maggiore preoccupazione. Gli elementi di conoscenza acquisita denotano come spesso anche le competizioni elettorali risultino fortemente condizionate ed inquinate dagli interessi e dall’intervento delle organizzazioni criminali.

Sono stati evidenziati alcuni importanti strumenti antimafia previsti dalla normativa, come le white list e le informazioni antimafia, anche se nella attuale configurazione non appaiono sufficienti a far fronte all’enorme impatto derivato dalla penetrazione della criminalità organizzata. Lo scenario socio-economico, inoltre, è diventato ancor più preoccupante per gli effetti della crisi economica conseguente alla pandemia e costituisce «terreno fertile per le organizzazioni criminali, disponibili ad andare incontro ai bisogno delle classi meno abbienti e delle piccole e medie imprese» (pag. 281). È dunque necessario un focus sul tema dell’accesso al credito e sulla normativa antiusura, che saranno oggetto di approfondimento da parte della Commissione.

Importante anche il tema delle risorse degli uffici giudiziari perché è così che si misura la capacità delle istituzioni di reagire e contrastare la forza d’urto di un’organizzazione criminale.

La Commissione conclude la Relazione facendo riferimento ai giovani, che si allontanano da queste terre per le carenti possibilità di studio e di lavoro e per l’assenza generale di prospettive per il futuro, affermando che è dunque «prioritaria la promozione di una coscienza della legalità e della cittadinanza attiva, in un percorso virtuoso che muova da iniziative volte ad innalzare il livello culturale, offrendo alle nuove generazioni occasioni di formazione e sviluppo» (pp. 285-286).

(A cura di Sara Noto, studentessa Master APC dell’Università di Pisa)