La sentenza emessa dalla Terza Corte d’Appello di Roma sull’inchiesta Mondo di Mezzo, nel riconoscere l’aggravante mafiosa all’operato del sodalizio criminale guidato da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, segna un passo storico nel contrasto alle organizzazioni mafiose.
La sentenza di ieri, ribaltando quella di primo grado, riconosce che a Roma ha operato un’associazione criminale autoctona, che ha utilizzato il metodo mafioso riuscendo a stringere rapporti con pezzi del mondo politico e imprenditoriale locale, condizionandone l’operato attraverso l’esercizio della corruzione, dell’intimidazione e dell’omertà.
Il metodo corruttivo – collusivo è emerso come elemento significativo nell’operato di quella che è stata definita “Mafia Capitale”, confermando quanto riportato anche nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, ossia che la corruzione è diventata il principale strumento utilizzato dalle mafie per intercettare e fare affari con i cosiddetti “colletti bianchi” della società. Mafie come imprese, che sparano di meno e sono più dedite agli affari.
Avviso Pubblico esprime gratitudine e apprezzamento alla Procura della Repubblica e alla Procura generale di Roma e ai Carabinieri del ROS per il lavoro svolto e l’elevata competenza investigativa dimostrata, che permette di superare vecchi negazionismi e preconcetti secondo cui le mafie sono solo quelle tradizionalmente conosciute e sono composte solo da persone del Sud Italia. Le mafie, come ha ricordato il Procuratore Giuseppe Pignatone, esistono laddove è dimostrato che un gruppo di persone è in grado di esercitare la forza di intimidazione, una riserva di violenza e la capacità di controllare un ambiente sociale, politico ed economico, non necessariamente un territorio in senso fisico.
In questo senso, Avviso Pubblico ringrazia anche quei giornalisti che con coraggio e competenza hanno svolto inchieste che in questi anni hanno documentato quanto riconosciuto ieri dalla Corte d’appello di Roma.
L’inchiesta “Mondo di Mezzo” deve rappresentare per la politica – locale e nazionale – una spinta a prendere definitivamente coscienza che le mafie cambiano e si evolvono, che esse sono una minaccia seria, concreta e attuale per la nostra democrazia, la nostra sicurezza e la nostra economia.
La politica è indispensabile per la sconfitta di questi fenomeni e per la promozione della legalità, della trasparenza e della giustizia, a patto che essa sia intesa e praticata come servizio per il bene comune, nel rispetto delle leggi e dei principi costituzionali.
A 36 anni dall’approvazione della legge Rognoni-La Torre si deve prendere atto con forza che la lotta alle mafie e alla corruzione non deve essere un’esclusiva competenza degli apparati repressivi dello Stato, ma deve concretizzarsi in un’azione corale che chiama in causa anche le forze politiche e i cittadini elettori, entrambi chiamati a scegliere con la massima attenzione e responsabilità i propri candidati, controllandone il loro operato una volta eletti, sostenendoli nel loro mandato e, se scoperte, denunciandone le loro malefatte alle autorità competenti.