C’era anche Avviso Pubblico all’incontro “Raccontiamo il bene. Per un rinnovato incontro sui beni confiscati alle mafie“, promosso da Libera venerdì 24 novembre a Roma, per fare il punto sul tema dei beni confiscati e sul loro riutilizzo sociale. Impegno che promette di proseguire sul solco del percorso iniziato a gennaio 2023, che ha coinvolto la rete associativa e territoriale e chi gestisce i beni confiscati e che sostiene il lavoro di Libera in tal senso.
Obiettivo dell’incontro è stato quello di “tutelare lo strumento del riuso sociale”. Libera lo ha fatto con il lancio di un documento che raccoglie gli impegni, traccia una strada comune e promuove una serie di proposte mirate alla progettazione partecipata, alla cura del bene comune e alla formazione degli assegnatari, in primo luogo gli enti pubblici. A partire dalle “esperienze concrete che ne hanno dimostrato la solidità e la sostenibilità nel tempo, vogliamo far crescere in modo esponenziale le storie di rigenerazione intorno ai beni confiscati – scrivono gli ideatori del documento – preservando così lo strumento della confisca nel suo senso risarcitorio più profondo.”
Da nord a sud lo Stivale è percorso da oltre mille realtà sociali che ogni giorno lavorano per “trasformare i luoghi simbolo del dominio criminale e mafioso sul territorio in luoghi in grado di raccontare una storia altra, un modello diverso di società, di comunità, di economia e di sviluppo”, spiega ancora Libera.
Nel gennaio 2023 era stata promossa un’indagine per comprendere lo stato delle cose. Da quel documento – “Raccontiamo il bene” – scaturiscono una serie di elementi di sostenibilità economica e sociale della filiera della confisca e del riutilizzo.
Per questo è essenziale proseguire con impegni concreti. Primo fra tutti dare voce alle storie nate intorno a quei beni: raccontarne gli effetti positivi sui territori e l’impatto sociale. Ma anche fare rete, stabilire alleanze e promuovere strategie di intervento comuni con le realtà sociali, le organizzazioni sindacali e anche con le istituzioni locali. Provando anche a coinvolgere le agenzie educative sui territori, facendo formazione. Perché la gestione e l’utilizzo di un bene confiscato, è innanzitutto costruzione di una cultura della socialità e della cittadinanza attiva.